"Qui, solo Qui" di Christelle Dabos: l'agghiacciante sistema chiuso delle scuole medie in vista dell'apocalisse




 
Qui, solo Qui
di Christelle Dabos
edizioni e/o, 2023

Traduzione di Alberto Bracci Testasecca

pp. 248
€ 16,00 (cartaceo)
€ 11,99 (eBook)

 
Per i ragazzi che le frequentano, le scuole medie rappresentano un universo totalizzante in cui vigono leggi diverse da quelle del mondo esterno. Tra regole espresse o tacite, collette forzate, gerarchie, divieti tassativi, basta un passo falso per la rovina sociale. Etichette come quelle di dispari, pidocchiosi, pervertiti sono condanne senza scampo, conducono a un’esclusione senza possibilità di redenzione. Gli adulti (professori, bidelli, dirigenti) non ci sono, e se ci sono preferiscono non vedere, certamente non intervenire. Solo la giovane supplente, che è stata prima studentessa e non è ancora stata inghiottita dalla routine, riesce a smascherare l’eterno ritorno di uguali dinamiche, e esterna la paura che tutto possa ripetersi uguale ancora e ancora:

“Non è cambiato niente. […] ovvio, non sono gli stessi nomi e le stesse facce, ma gli alunni sono gli stessi. Le classi dispari, per esempio: c’è sempre il pidocchioso. E quella ragazzina trincerata nell’aula 1 come se davvero fosse la prima ad avere una crisi mistica. Al quarto piano hanno un principe. Noi avevamo una regina.” (p. 93)
Incerta se osservare le cose dall’esterno o lasciarsi implicare, la donna ha delle informazioni che potrebbero aiutare gli studenti a vivere se non bene, almeno meno peggio, ma in un primo momento non riesce a uscire dalla visione adulta che, pur comprendendo, non può fare a meno di tirare un sospiro di sollievo pensando al pericolo scampato, a quella distanza di anni che determinano l’immunità al virus che sembra dilagare all’interno delle mura.
A scuola la cosa peggiore non sono le lezioni, ma tutto quello che c’è in mezzo. Qui anche la consistenza del tempo è diversa. La ricreazione dura un’eternità. Non è che ci scocciamo, no, la noia almeno ha qualcosa di morbido, di quasi rassicurante. Noi, invece, stiamo sempre a combattere contro la paura del passo falso e a far finta di divertirci. (p. 29)
Christelle Dabos, autrice della nota saga dell’Attraversaspecchi, offre in questo volume autoconcluso una rappresentazione volutamente iperbolica, grottesca, dell’ambiente scolastico, di questo Qui che diventa quasi assoluto per gli studenti che si muovono al suo interno. Dominato da una rigida logica determinista, il collège esaurisce le vite di chi lo attraversa: ciò che è fuori rimane una nebbia indistinta, evocata per cenni, in un rovesciamento dell’ordine delle priorità.

La narrazione si sviluppa attraverso un alternarsi dei punti di vista. Oltre a quello della supplente, emergono in particolare quattro personaggi: Iris è la neofita, quella che per la prima volta mette piede all’interno del collège e si conforma immediatamente alla massa, tutto pur di non farsi notare («Mi guardo nello specchio dei cessi. Non sono io. Potrebbe essere una qualunque altra ragazza della mia classe. Stessi anelli, stessi orecchini, stessi fermagli, stesse bretelline, stessi braccialetti, stessi gioiellini, stesso fard, stessa camicetta e naturalmente stesso negozio. Ci ho speso tutte le mie paghette. […] Il prezzo della trasparenza», p. 27); Pierre è al secondo anno e continua a essere la vittima predestinata, si identifica con questo ruolo che ritiene necessario agli equilibri generali e quindi si offre spontaneamente alle violenze e alle angherie dei compagni, disposto a sacrificare qualsiasi occasione di felicità. Al terzo c’è Madeleine, che pur essendo sgraziata e per niente sicura di sé come la compagna di banco Louise, sa di essere chiamata a qualcosa di importante, anche se non ha capito ancora bene a cosa, e attende un qualche segnale che le indichi cosa accadrà, mentre cerca la sua voce («è Qui che deve succedere quello per cui sono stata Scelta. Ogni giorno aspetto di scoprire cos’è», p. 45). Infine Guy, che giunto al quarto e ultimo anno dopo una carriera scolastica in cui, quasi inspiegabilmente, ha fatto parte del gruppo elitario degli Alti, si trova adesso a confrontarsi con una Bassa, la straniera, che non condivide le regole generali e improvvisamente lo porta a rimettere tutto in discussione.

Si osservano così messe in campo dinamiche contrapposte: da un lato chi si omologa troppo rischia di scomparire, letteralmente, di non essere più visto, e questo può, in un mondo dai valori sovvertiti, essere dapprima considerato non come un elemento negativo ma come un’occasione di libertà; dall’altro chi mette in dubbio, con uno slancio inaspettato, i dettami assoluti e condivisi inizia ad acquisire una nuova percezione del reale: per la prima volta vede, sente, riconosce connessioni tra i fenomeni.

Il clima di tensione progressiva che Dabos riesce a costruire è legato da un lato a una prospettata e imminente «fine del mondo», studiata da un Club Ultrasegreto che ne identifica la causa in una «distorsione del campo di realtà intra muros» (responsabile di ciò una sostanza misteriosa, lo schmoill, a cui si potrebbero ricondurre molte delle stranezze osservabili all’interno della scuola); dall’altro al fatto che non è chiaro per buona parte dell’opera dove l’autrice stia cercando di condurre il lettore, quale sia la chiave di decifrazione dei fenomeni rappresentati, e questa incertezza non fa che accrescere la sospensione in cui paiono galleggiare sia la scuola che i personaggi.

Se l’ambiente scolastico è un sistema chiuso, anzi, blindato, è interessante in particolare notare gli effetti prodotti dall’irruzione di un elemento incongruo: Sofie, la straniera, si pone immediatamente come pietra d’inciampo. Non si sottomette alle aspettative altrui, si interroga continuamente, non accetta risposte facili, esercita il suo spirito critico per interpretare ciò che le accade intorno, fuori e dentro la scuola, e così facendo aiuta anche altri personaggi a immaginare possibilità diverse da quelle prospettate.

Qui, solo Qui è un libro decisamente particolare, al di fuori di qualsiasi definizione di genere, che per la brevità e le pagine ariose si dovrebbe poter leggere velocemente e invece ti rallenta, per il modo in cui ti obbliga a rimasticare e digerire atrocità raccontate con disinvoltura, assumendo la prospettiva di personaggi per cui tutto ciò è normale e inesorabile. È complicato anche definire il target di riferimento, che difficilmente può essere quello della fascia middle grade, data la natura simbolica e metaforica di quanto rappresentato, ma anche un linguaggio mimetico decisamente colorito. Al contempo, Dabos inserisce in quella che appare una grande allegoria tutta una serie di temi caldi: il bullismo, le relazioni che si confrontano con ruoli e stereotipi, la difficoltà ad accettarsi, e quella che ha il mondo adulto a comprendere i giovani, così come la percezione estrema che spesso questi hanno del loro vissuto quotidiano. Dietro la narrazione esasperata del romanzo, si riconoscono sempre dinamiche reali, così che il lettore si trova sempre in bilico tra lo stupore e il riconoscimento. L’apocalisse tanto temuta non è altro che quella che ciascuno porta, più o meno volontariamente, nella vita degli altri, in particolare di chi fatica a stare in un gioco che ha ben poco di divertente, perché la persona che entra al collège, inevitabilmente, non è la stessa che ne uscirà. Anche per questo, forse, come sembra suggerire Dabos, bisogna avere coraggio: il coraggio di guardare, di fare ciò che è giusto, di essere se stessi. 

Carolina Pernigo