di Tracy Rees
Neri Pozza, agosto 2023
Traduzione di Ada Arduini
pp. 384
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
«L’istruzione per le donne è vitale, Otty. Usa la tua intelligenza, affinala. […] Quali ambizioni hai? Qualunque esse siano, tutte iniziano con una buona istruzione». «Ambizioni?» ripeto. Nessuno me l’ha mai chiesto. Pronunciata da Olive questa parola mi pare vasta, sfacciata, un orizzonte aperto. (p. 141)
Neri Pozza ha appena portato in libreria il romanzo storico Il giardino delle rose, della scrittrice gallese Tracy Rees, nell’elegante traduzione di Ada Arduini: e parto da qui, da questa citazione, perché a mio avviso rappresenta perfettamente il cuore del romanzo e apre a molti spunti e suggestioni legati al periodo della narrazione. Ambientato nel 1895 a Londra – Hampstead, principalmente – il romanzo di Rees rievoca un momento storico e culturale molto preciso, quella fin de siècle caratterizzata da un’atmosfera inquieta, mutamenti economico sociali profondi, di fermento e contraddizioni. Gli anni ’80-’90 sono stati un momento cruciale nella società tardo vittoriana, attraversati da tensioni e problematiche interne ed esterne, ma anche, come si è detto, di fermento e trasformazione. Un’atmosfera inquieta che dal punto di vista culturale si caratterizza per la tensione fra continuità e rottura e da mutamenti profondi: la crisi del three decker e delle circulating library, l’incremento del numero e della tipologia di lettori anche in conseguenza all’Elementary Education Act del 1870, la trasformazione del mercato letterario ed editoriale. È anche un periodo di forti contraddizioni: l’industrializzazione ha mutato profondamente lo stile di vita delle persone, ma parallelamente ha acuito le tensioni sociali e accanto a elementi di democratizzazione della società tardo vittoriana il divario sociale è ancora particolarmente evidente. È in questo momento che il dibattito intorno alla Woman Question diviene sempre più acceso e molte delle concezioni vittoriane vengono riconsiderate: la tradizionale divisione tra sfera domestica/privata e sfera pubblica, la questione matrimoniale, la riflessione su divorzio, diritti di custodia dei figli, di proprietà, ma anche riflessioni su sessualità, desiderio, maternità e, non da ultimo, sul tema dell’istruzione ed educazione femminile.
Il romanzo di Rees trova quindi il suo setting ideale nella Londra di fin de siècle, nel pieno del fermento che caratterizza gli ultimi decenni dell’Ottocento ed è proprio intorno alla Woman Question che si sviluppa, dando voce a tre donne diverse per età, estrazione sociale, ambizioni e desideri e ne intreccia i destini, mediante una costruzione narrativa che strizza l’occhio ai migliori romanzi d’appendice. Le voci o il punto di vista di Mabs, Olive, Otty – e quella potentissima di Mrs Finch – si alternano a scandire una narrazione densa di spunti e considerazioni che non si esauriscono alla fine della lettura ma permettono di riflettere sul preciso momento storico sociale in cui la vicenda affonda le radici e, soprattutto, costruiscono un ponte con la contemporaneità, ora che la questione femminile non può smettere di interrogarsi su patriarcato, diritti, emancipazione.
Mabs ha diciotto anni e da quando ha perso la madre si occupa dei fratelli e delle sorelle lavorando al canale come trasportatore di blocchi di ghiaccio: un lavoro pericoloso e durissimo, che svolge fingendosi un ragazzo, ma che rappresenta un sostentamento regolare ora che il padre è troppo preso dal suo dolore per badare a loro. È qui, in un giorno che la scuote profondamente per il pericolo mortale appena scampato, che le si presenta un’opportunità: andare a servizio. Per una donna della sua condizione sociale, che non ha istruzione e non ha conosciuto altro che povertà e sporcizia, è l’occasione del riscatto, per tutti loro. Contro ogni pronostico viene scelta proprio lei, diventando la cameriera personale della misteriosa signora Finch, assunta direttamente dal marito di lei. Il mondo che le si spalanca davanti è lontanissimo da tutto quanto ha conosciuto: una grande casa elegante, una stanza tutta per lei, un salario considerevole rispetto ciò a cui era abituata, un lavoro che le permette di stare lontana dal pericolo.
Ma chi è davvero la signora Finch e perché se ne sta reclusa nelle sue stanze? I rapporti con la padrona sono fin da principio complessi, mutevoli come l’umore della donna spesso soggetta a improvvisi scatti d’ira che si alternano all’apatia e a un mutismo stancante nelle lunghe ore condivise. Fragile, gravemente malata: così la descrive il marito, che cerca per lei una compagna – una custode? – che possa assisterla in quelle lunghe ore solitarie e fare riferimento a lui per ogni cosa. C’è qualcosa che non va in quelle stanze eleganti, in quella vita di ricchezza che piano piano si stanno costruendo con il lavoro al canale di Mr Finch, ambizioso uomo d’affari venuto dal nulla. Un mistero intricato e una verità sconvolgente che ci insegna come l’apparenza tante volte possa fuorviare.
In quella stessa casa, tra porte chiuse e segreti, Otty, la figlia minore, tenta di ambientarsi dopo il trasferimento improvviso della famiglia da Durham, scoprendo nelle sue passeggiate solitarie e segrete un mondo e una città che giorno dopo giorno la affascinano sempre più. Con l’incoscienza della giovane età, Otty esplora la brughiera e soprattutto la città, fin nei suoi vicoli e quartieri meno raccomandabili, stringendo amicizie proibite per l’epoca e interrogandosi sulle contraddizioni di un mondo che non comprende, mossa da un bruciante desiderio di libertà, indipendenza, possibilità.
È l’ideale incarnato per lei da Olive, la figlia nubile dei ricchi signori Westallen che abitano poco distanti, ai confini della brughiera, e con la quale stringe presto amicizia, nonostante la differenza di età che le separa. Olive ha quasi trent’anni ed è ormai chiaro a tutti, lei per prima, che non si sposerà mai. Unica figlia di una famiglia molto ricca e rispettata, ha un carattere fiero e indipendente che insieme a un aspetto che non soddisfa affatto i canoni estetici del tempo l’hanno condannata al ruolo di zitella. Ma forse per Olive non si tratta affatto di una condanna. La mente vivace, lo spirito indomito, ha messo da parte sogni romantici e fantasticherie per scegliere una vita più su misura per sé stessa, libera, protetta dal denaro e dal nome della propria famiglia. Intelligente e non particolarmente incline a fare ciò che ci aspetterebbe da una donna della sua condizione sociale, al punto da decidere di soddisfare il desiderio di maternità sempre più urgente anche senza trovarsi costretta in un matrimonio di convenienza: sceglie invece di adottare una bambina (pratica non particolarmente ben vista all’epoca) presso uno degli istituti caritatevoli al quale di frequente ha contribuito con delle donazioni. Ma forse è più appropriato dire che è lei a essere stata scelta come madre, da una bambina minuta, silenziosa, che rappresenterà un mistero non svelato fino in fondo.
Rees intreccia le strade e i destini di queste donne, intessendo una trama da cui è difficile staccarsi anche laddove qualcosa degli sviluppi potremmo già intuire, ma la vicinanza ai personaggi femminili e le tematiche che affiorano fanno presto dimenticare qualche piccolo cedimento della narrazione, anche grazie all’elegante e puntuale traduzione di Arduini che riesce di volta in volta a dare voce e corpo alle protagoniste della storia, ognuna di loro caratterizzata da uno sguardo ben preciso. Il giardino delle rose ci racconta di un mondo che nulla perdona e poco concede a una donna, che vuole sottomessa, a qualunque livello sociale. Ed è proprio nel rappresentare classi sociali differenti e rievocare con attenzione un dato momento storico che la penna di Rees si fa infuocata e il discorso si apre a innumerevoli spunti e urgenze non del tutto soddisfatte. Sottomesse, istruite quel poco che serve per adempiere ai compiti che la loro classe sociale richiede, le donne di Rees si ribellano a un sistema di valori opprimente, abusante, non più tollerabile, ciascuna a proprio modo e solo grazie alla solidarietà che le lega.
Ognuna di loro combatte una personale lotta verso l’emancipazione, lo scardinamento di stereotipi e pregiudizi, la scoperta di sogni e ambizioni da coltivare.
Mabs cerca il riscatto sociale, determinata a non arrendersi allo stato di cose, al ruolo e al pezzo di mondo che ha ereditato per nascita; coglie un’opportunità ma è solo grazie alla sua determinazione che ne potrà davvero trarre profitto e, sottolineo ancora, grazie alla rete di solidarietà femminile che tessono insieme.
Olive è una privilegiata, protetta da soldi e rispettabilità, ma la società vittoriana – solo quella? – non perdona facilmente una donna nubile dalle forte convinzioni; in un mondo in cui il ruolo naturale della donna è quello di moglie e madre, Olive sceglie una strada impervia pur di non perdere sé stessa. Coltiva le proprie passioni, studia nonostante all’epoca questo per una donna porti ancora a poco di concreto e ha imparato a difendersi dalle critiche, dai bisbigli che, guarda un po’, sono prima di tutto insulti sul proprio aspetto, sulle proprie scelte indipendenti.
Otty rappresenta le nuove generazioni, l’ingenuità dell’infanzia che lascia il posto alla scoperta della complessità del mondo, le sue ingiustizie e contraddizioni, a partire dalla sua stessa famiglia, solo in apparenza perfetta. Il suo vagare per Londra è uno scontrarsi con le numerose ingiustizie di una società che condanna chi è diverso, ancora profondamente razzista e nettamente divisa in classi sociali, dove a una donna è richiesto di stare nel ruolo che gli uomini le hanno assegnato. Ma conosce presto il fuoco delle ambizioni e sceglie da sé i propri modelli di riferimento.
E Mrs Finch? Chi è questa donna e che mistero rappresenta? È lei, in fondo, il centro nevralgico del romanzo, la «Mad Woman in the attic», lo scarto dalla norma che genera scompiglio, il propulsore del cambiamento. La sua storia è quella di tante altre donne, esempio di come una scelta sbagliata «in un momento inusuale può cambiare il corso di una vita, per sempre», del potere degli uomini tutelati dalla società patriarcale. Che sia o meno colpevole di ciò che si bisbiglia, che il suo corpo e la sua mente siano davvero fragili o così è solo comodo voler far credere, Mrs Finch è un fuoco che presto o tardi divampa. Ed è un’ulteriore punto di vista sulla questione femminile, che coinvolge le donne di diversa estrazione sociale e appartenenza.
Uno dei temi più dibattuti dell’epoca riguardava il discorso sul divorzio: per una donna ottenere il divorzio era una prassi particolarmente complicata che poteva avere luogo solo attraverso la Chiesa e in pochi specifici casi quali adulterio, crudeltà, sodomia; la donna non aveva diritto di risposarsi, tutte le proprietà restavano all’ex marito e nonostante esistessero leggi a riguardo, le donne erano comunque soggetto al comune doppio standard con il quale la società patriarcale giudicava in maniera più severa le loro scelte rispetto a quelle degli uomini. Un discorso che si infiamma sulla fine del secolo anche in seguito alla promulgazione di nuove leggi sul divorzio e in materia di custodia dei figli e che accendono il dibattito tra chi vi legge un pericolo per la moralità e la conseguente crisi della famiglia – vi suona famigliare? – e chi si interroga invece sulle conseguenze sia morali che fisiche di matrimoni infelici. Pur toccando in modo solo accennato tali questioni, il romanzo di Rees richiama chiaramente il contesto, le contraddizioni e le tensioni dell’epoca in cui la vicenda si sviluppa, spingendo noi lettori a considerare la storia anche nei tanti spunti di riflessione più o meno evidenti, ognuno di noi toccato da una o da un’altra chiave di lettura.
Si diceva, in apertura, quanto il discorso sull’istruzione fosse una delle più forti chiavi di lettura appunto di questo romanzo: l’istruzione e l’educazione femminile, sono al centro del dibattito dell’epoca, perché è chiaro come l’indipendenza passi attraverso la conoscenza, l’istruzione; ma è anche fondamentale, e continua a esserlo, curare l’educazione femminile, dismettendo stereotipi e insegnamenti fuorvianti. Si dibatteva molto all’epoca sul pericolo di un’educazione famigliare che non preparava le ragazze alla vita adulta, a ciò che il matrimonio avrebbe comportato ed è un tema che, con diverse sfumature, resta ancora attualissimo, per le ragazze e i ragazzi di oggi. Nel desiderio di Otty di studiare, in quello di Mabs di immaginare un futuro diverso dal mondo che ha sempre conosciuto, in quello di Olive di lasciare in eredità alla figlia qualcosa di più importante del denaro e di un nome, c’è la forza di tante donne reali che con il loro impegno hanno smosso le montagne e sognato una società più libera, egualitaria. È questa l’eredità che ci è stata lasciata, il diritto di sognare e poi fare tutto quello desideriamo. Libere, da stereotipi, ruoli imposti, patriarcato.
E qualcuno che da poco non c’è più ci ha insegnato che non basta sognarlo, bisogna soprattutto farlo.
Ma che ne è di quelle donne che non hanno un capitano James Westallen a difenderle? Ora Clover è una bambina, ma crescerà. Devo pensare a che tipo di mondo voglio che abiti e a che tipo di madre voglio essere. Cosa voglio insegnarle sull’essere donna? (p. 81)
Debora Lambruschini