E io sto ancora aspettando di essere investita da un amore dell'altro mondo che mi rovesci come un calzino ed elimini tutto quello che di marcio mi porto dentro. O se non altro qualcosa che renda la vita tollerabile; basta che non sia un'altra persona che se ne andrà. (p. 229)
Che libro! Iniziando a leggerlo, mi sono detta più volte: che stile espressionistico! Forse un po' troppo? Quanti aggettivi che attingono alla concretezza, che fanno anzitutto sentire e solo dopo vedere! Con tanta crudezza dove ci porterà questa giovane autrice? È poi bastata qualche pagina perché la Oakland raccontata da Leila Mottley attraverso la sua protagonista, Kiara, mi risultasse addirittura familiare. Lurida di degrado, emarginante, esempio di povertà diffusa, la città non offre lavori stabili a chi, come Kiara, ha interrotto la frequenza scolastica. Se sei una donna, nera, non istruita e minorenne, Oakland ti volta le spalle e tutt'al più ti offre qualche lavoretto mal retribuito, saltuario, che ti ricordi bene da dove vieni, che puoi essere licenziato in tronco e che, in ogni caso, non andrai da nessuna parte.
Kiara ha sempre dovuto faticare per rimediare un pasto, da quando è rimasta sola con suo fratello Marcus. Ricorda come una parentesi quasi sognante il tentativo che hanno fatto loro due di vendere i propri dipinti per strada: con vani risultati, sì, ma con un sogno ben stretto. Per il resto, la povertà li ha inghiottiti, togliendo a Kiara qualsiasi velleità di diventare un'artista. Marcus, diversamente, si dedica anima e corpo al rap e spera di sfondare, un giorno, come ha fatto il loro zio, Ty: partito dai bassifondi quanto loro, adesso può vantare featuring importanti e la sua voce risuona nelle casse di molte automobili. Peccato che lo zio Ty si sia dimenticato dei suoi nipoti!
Se Marcus è però sordo alle richieste della sorella di faticare quanto lei a cercarsi (e a tenersi) un lavoro, Kiara è ossessionata dall'incubo dell'affitto da pagare. A questo si aggiunge un profondo senso di responsabilità che la ragazza, appena diciassettenne, sente per il piccolo vicino di casa, Trevor, figlio di una donna ben più interessata alla droga e a sballarsi che a lui. Il rapporto tra Kiara e Trevor è speciale, tanto affettuoso quanto profondo: la ragazza vorrebbe togliere da Trevor quel senso di inadeguatezza che avvince chiunque cresca in un quartiere così. Non sono rari pensieri che potremmo accostare facilmente all'amore di una madre per il proprio figlio:
Questo bambino è una meraviglia. La mia pioggia di autunno. L'ultima immagine che ho del sole prima che tramonti. Il giorno non è possibile senza Trevor. Non sono neanche sicura che il sole esista, senza Trevor. (p. 163)
Ci sono poi gli amici, quelli che attorniano sia Kiara sia Marcus: Ale, Tony, Cole, Shauna, Lacy... Nomi che nel corso della lettura diventano presenze intermittenti, ma che non smettono di essere pensate, desiderate accanto:
Mama mi diceva sempre che il sangue è tutto, ma secondo me ce ne stiamo tutti qua fuori a disimparare questa convinzione, a graffiarci le ginocchia e a chiedere a degli estranei di rimetterci in sesto. (p. 37)
Il problema, semmai, è che ognuno di loro ha i propri problemi da portare avanti, ragion per cui neanche Ale riesce a rimediare un lavoro a Kiara nel ristorante di famiglia o Lacy fallisce, quando prova a offrire a Marcus un lavoro come cameriere nel locale di striptease. È col tarlo della fame, del bisogno di garantire qualcosa, anche un piccolo momento di pausa all'angoscia della povertà, che una sera Kiara inizia a prostituirsi.
L'imperativo di Kiara non è vivere per sé stessa, ma esserci per Marcus e Trevor, tant'è che dopo l'ennesima prova rifletterà: «non c'è una vera alternativa quando questi due ragazzi a pezzi hanno bisogno di me e io non ho pelle sufficiente per dare a entrambi quello che serve per continuare a vivere» (p. 195), ma a quale prezzo?
Con l'ingenuità di chi non sa bene da dove cominciare (Kiara ha appena perso la verginità quando si vende per strada), la protagonista inizia a cercare di mettere a tacere i propri pensieri, a considerare il suo corpo un involucro che può garantire qualche soldo («Tanti modi di camminare per strada, e sono ancora solo una ragazza fatta di pelle», p. 100). Camila, incontrata per strada, si offre di presentare Kiara al suo protettore, ma Kiara è restia, perché comprende che questo comporterebbe di infilarsi in un tunnel senza uscita. E rimanda. Finché una notte incappa in una volante della polizia mentre sta subendo un atto che ha ben poco di diverso da uno stupro: anziché arrestarla per prostituzione, i poliziotti si accordano per iniziare "una collaborazione" con la ragazza. In cambio della protezione e raramente in cambio di denaro. Così Kiara si trova, suo malgrado, ancora minorenne, in un giro di festini di poliziotti, dove distintivi e pistole aiutano a esercitare il proprio desiderio di potere su una minorenne indigente.
Se da un lato seguiamo la vicenda con grande suspense, sperando in un riscatto sociale ed economico della protagonista e in una giusta punizione per gli agenti corrotti, dall'altro speriamo che Trevor possa restare sempre accanto a Kiara, o che Marcus rinsavisca e metta da parte il sogno di sfondare per scendere coi piedi per terra, o che zio Ty torni a interessarsi dei suoi nipoti,... Queste e tante altre speranze muovono la nostra lettura, rendendola sempre più appassionata, ma non dimentichiamoci mai che è un mondo scartavetrato, quello rappresentato da Leila Mottley, un mondo in cui il concetto di giustizia si affaccia di rado. Per questo, le rare volte in cui si vede, appare fulgidamente. La speranza, invece, viene più dai ricordi di momenti felici che da esperienze del presente. Crescere, sembra suggerirci l'autrice, è un cammino verso le difficoltà concrete, e i sogni possono occupare solo un posto remoto delle nostre aspirazioni:
[...] e adesso siamo sedute in una macchina a scappare da cose da cui non si può scappare provando a dimenticare che eravamo solo bambine che volevano fare skate e andarsene a zonzo senza scarpe. (p. 170)