Rosemary Tonks è
una scrittrice scomparsa di recente, la cui vita si potrebbe senza dubbio
definire romanzesca, quasi, o forse tanto quanto, il romanzo che è stato di
recente pubblicato dal Saggiatore. Poetessa prima che romanziera, Tonks ha
vissuto e scritto nella Londra degli anni Sessanta: Il Baccalà è
stato pubblicato proprio nel 1968, all’apice del turbinio rivoluzionario di
cultura e di costumi che caratterizza quella decade nell’immaginario comune. Un
turbinio che Tonks visse in prima persona, di amante in amante, di occasione
sociale in occasione sociale – per poi sparire improvvisamente all’apice della
sua carriera. Da una vita chiacchieratissima alla sparizione più totale: chi avesse voluto mettersi in cerca delle sue tracce poteva solo affidarsi alla notizia
che, prima della sua sparizione, si fosse convertita al cristianesimo e, secondo le voci che correvano, addirittura qualcuno l’aveva avvistata bruciare le copie
dei suoi libri e sostituirle con la Bibbia.
Ma cosa c’è di
così pericoloso in questo libro, rinnegato perfino dalla sua autrice? L’ironia
sconfinata con cui prende vita tra le pagine la quotidianità della protagonista
Min, un personaggio unico nel suo genere. Min ha un marito noioso, un lavoro
alla radio e una pletora di amici. Riguardo agli uomini della sua vita, soprattutto suo marito, la donna afferma caustica che “di questi tempi gli uomini
sono molto delicati e nevrotici, si chiudono come ricci e ingrigiscono se li
tratti bruscamente” (p. 38); già da qui si nota l’irriverenza con cui essa, alla
pari delle sue amiche, riesce a invertire gli stereotipi di genere,
posizionandosi da sola nel ruolo di chi sa essere intelligente o svenevole, sa
comandare o sa farsi comandare, insomma sa recitare tutti i ruoli (perché è
perfettamente consapevole che in questo mondo non si fa altro che recitare un
ruolo).
Un’altra cosa su Billy. La sua attitudine al sesso è aristocratica, lo capisce e lo adora. E mi permette di denigrare altri uomini in continuazione. E poi, è addirittura capace di amare qualcuno e di tenere il sentimento acceso per anni. Oppure è rimasto scapolo troppo a lungo? Riassumendo: sono totalmente a mio agio con lui. Mentre con il B. sto sulle spine, assillata e combattuta e sbatacchiata. Ho la sensazione che uno di questi due uomini sia un bravissimo amante, ma quale? Impossibile dirlo da fuori, tutte le informazioni importanti sono sigillate ermeticamente nei loro sensi, nella loro immaginazione, nel loro coraggio e nelle loro reazioni a me. Come sarebbe Londra senza i suoi superlativi uomini di mezza età? Vuota e desolata. (67-68).
E la vita di Min
sembra proprio un turbinio di attori e comparse, un palco affollatissimo in cui la stessa protagonista ci racconta la sua storia, in prima persona senza mai rivelarsi più di tanto. Un
mio professore all’università aveva definito L’educazione sentimentale di
Flaubert come un “marciapiede rotante” di personaggi: questa definizione mi è
tornata in mente leggendo la pletora di macchiette che affollano le pagine di
questo densissimo romanzetto, eppure in questo caso il marciapiede rotea così
forte che crea un vero e proprio tornado, in cui non di rado si deve tornare
indietro a rileggere qualche pagina, per paura di essersi persi qualcosa. È un libro che ci restituisce il gusto, il sapore, il colore di un modo di vivere
diverso, impressione resa perfettamente anche grazie alla traduzione di
Alessandra Castellazzi, che qui cerca (e raggiunge) una voce peculiare ma
sempre ricercatissima; un sentore di novità che questi anni dovevano avere
anche per chi li stava vivendo, nella consapevolezza di star inventando un modo
di vivere che non era mai stato sperimentato prima.
Marta Olivi
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