di Violet Kupersmith
NN Editore, 2023
Traduzione di Michele Martino
pp. 432
€ 20,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Per scrivere questa recensione ho avuto bisogno di prendermi del tempo per digerire l’esperienza del viaggio oltreoceano che mi sono trovato a intraprendere insieme alla protagonista.
Immaginate di volervene andare. Lontano, dove nessuno vi conosce e potreste ricominciare da zero. Immaginate che il vostro obiettivo sia quello di sentirvi quanto più lontani da casa possibile. Immaginate di desiderarlo fino al punto di bramare di sparire, smaterializzarvi e compenetrare nell’anima dell’albero della gomma. Immaginate che per farlo ritornate nel luogo da cui la vostra famiglia è partita migrante, per costruirsi una vita fatta di successi professionali e affermazione sociale in un nuovo continente. Immaginate che sia proprio l’inadeguatezza verso la brama del sogno capitalista americano di “realizzazione” che la vostra famiglia immigrata dal Sudest asiatico ha voluto per voi a farvi desiderare di sparire, l’inferiorità verso i vostri fratelli e sorelle che hanno trovato un posto nel mondo e si sono sposati, hanno avuto figli, una carriera, una vita ordinaria, a farvi sentire inadeguati.
È tutto questo che motiva Winnie, la protagonista di Costruisci la tua casa intorno al mio corpo di Violet Kupersmith, a partire per Saigon e a lasciare gli Stati Uniti, per intraprendere un’attività di insegnamento di lingua inglese presso una scuola internazionale in Vietnam. Quello che Winnie non ha considerato è quanto questo luogo, a cui Winnie appartiene per origine ma non certo per cultura o costumi locali, contribuirà a farla mettere di fronte a se stessa e alle proprie fragilità, lasciandola scendere in un vortice psichedelico fatto di strade malfamate, banchetti di street food, spiriti, demoni e leggende oscure.
Non è semplice cercare di trovare il filo che dipani la matassa di questo corposo e convincente esordio letterario di Violet Kupersmith, vietnamita-statunitense, che ha voluto addentrarsi nelle origini di un Sud Est asiatico del cui folklore spesso si indaga così poco. Come fa notare Michele Martino, traduttore italiano del romanzo, nella postfazione, e come ha fatto osservare prima di lui lo scrittore David Mitchell: «il primo merito del romanzo di Violet Kupersmith è rendere consapevole il lettore di quanto poco conosciamo la storia e la cultura vietnamite» (p. 427), per quanto l’obiettivo di Kupersmith non sia quello di fornirci una guida di Saigon o del Vietnam, quanto piuttosto di condurci attraverso il gioco labirintico della sua scrittura nella discesa nel limbo di Winnie, che in maniera affannata, tra i fumi dell’alcool, il sudore, la sporcizia della metropoli, dei vicoletti e dei night club, che si mescolano alle pagode e ai templi buddhisti, desidera perdersi irreversibilmente, alla ricerca di qualcosa di così sommerso in se stessa che non viene affidato alla comunicazione verbale. Abbiamo coscienza del malessere di Winnie perché come degli accompagnatori silenziosi restiamo al suo fianco nel suo peregrinare, eppure le sue azioni talvolta autodistruttive non ci aiutano a capire se Winnie, effettivamente, sia alla ricerca di qualcosa, e questo potremo comprenderlo solo arrivando fino alla fine, o all’inizio, del suo viaggio. Forse, dice Martino,
«il mistero e il fascino del libro stanno proprio qui: nel costante oscillare di Winnie tra una ricerca interiore condotta suo malgrado e destinata a naufragare nell’untuoso bailamme di Saigon, e una minaccia indefinita che riemerge dal passato sotto varie forme: esseri fantasmatici, animali parlanti, serpenti a due teste». (p. 427)
Costruisci la tua casa intorno al mio corpo, infatti, è un romanzo corale e non lineare, il cui unico filo conduttore che tiene unite tutte le sottotrame in cui si dipana è la distanza temporale dalla scomparsa di Winnie, che è l’elemento chiave della storia. Ogni capitolo si apre con una collocazione temporale che ha come unità di misura la sparizione di Winnie, ecco dunque che ci orientiamo ora con la dicitura “tre mesi prima della scomparsa” oppure “sessantadue anni prima della scomparsa”, “due giorni dopo la scomparsa”, e così via in una spirale che ci guida sempre più a fondo nel cuore di un mistero insondabile, permettendoci lentamente di addentrarci nelle vite degli altri attori della vicenda, tutti collegati sottilmente da un continuo interscambio con l’universo paranormale che pervade la scena e sconvolge i personaggi. Incontreremo dunque donne spettro assetate di vendetta, demoni ectoplasmatici che si divertono a possedere cagnolini, esorcisti dalle doti divinatorie, e finanche coloni francesi arrivati negli Altopiani del Vietnam e divorati dall’indomabilità di quei luoghi a loro sconosciuti, luoghi animati da una forza spietata e onirica che infesta corpi e sogni di chi li abita.
Kupersmith, con questo esordio, rientra a pieno titolo in quella schiera di scrittori postcoloniali che hanno fatto del realismo magico lo strumento per raccontare una cultura e una società che ancora oggi viene considerata “del margine”, come Salman Rushdie ha fatto con l’India, come Toni Morrison ha fatto con la comunità nera americana, come Jorge Amado ha fatto parlando di Teresa Batista e di Bahia. Seguendo la narrazione oscillatoria e aspettando che i tasselli del mosaico della Kupersmith vadano al loro posto, seguiamo il viaggio di perdita e liberazione di Winnie, alla quale fanno eco il suo ragazzo Long, suo fratello Tan, e la misteriosa e irrequieta Binh, controparte di Winnie e allegoria della vendetta fantasmatica che si abbatte sugli uomini. Come l'Amatissima di Toni Morrison, il cui fantasma riemergeva dalle acque del fiume Ohio incarnando la vendetta mostruosa della maternità spezzata delle donne afroamericane soggiogate dalla schiavitù, allo stesso modo le figure demoniache femminili che incontriamo in questo romanzo portano in sé la traccia di un passato coloniale, misogino e violento che riecheggia e interferisce nelle vite di chi abita oggi il Vietnam. Si fa presto, infatti, a imparare che in questo romanzo, reale e paranormale convivono nella totale rassegnazione dei personaggi.
Se avete amato gli horror asiatici come Shutter, Goksung, A Tale of Two Sisters, Kairo e Cure, storie abitate da leggende urbane ricorrenti, tradizioni e un senso del perturbante che si intrufola nel reale con prepotenza e in un crescendo inesorabile, non potrete non restare folgorati dalla bellezza sensuale di questo romanzo, che avviluppa nelle sue spire come il cobra a due teste che attraversa i capitoli come un fil rouge simbolico e silenzioso, che anziché soddisfare gli interrogativi presentati dall’autrice ne innesca di nuovi.
Menzione di merito alla traduzione di Martino, che è riuscito a restituire la prosa saporita e precisa della Kupersmith.
Matteo Cardillo