«Occidente è un termine vago e antico. In origine fu genericamente identificato con l’Europa, oppure con tutti quei territori a ovest dello stretto dei Dardanelli. Tuttavia la geografia conta poco in questa storia». (p. 7)
Lo stato-nazione - l’applicazione di un potere sovrano a una società civile multiforme, viva e vibrante - richiedeva qualcosa di più se doveva sopravvivere e prosperare, anzi doveva restare unito. Esso necessitava di un’ideologia: il «nazionalismo». Offuscato dal retaggio del fascismo e del nazionalsocialismo, oggi il nazionalismo appare come una forma di tribalismo che sa di xenofobia, ignoranza, fanatismo, faziosità e aperto razzismo. La medesima immagine, con varie sfumature e concessioni alla sensibilità pubblica, emerge nella retorica della nuova destra europea: Rassemblement National in Francia, Alba Dorata in Grecia, Lega e ora Fratelli d’Italia, Alleanza Fiamminga, il Partito popolare danese, i Veri Finlandesi, Alternativa per la Germania e simili. (p. 42)
I partiti citati hanno trovato sostegno soprattutto nei ceti medio-bassi (come ha ben spiegato l’eurodeputata Elisabetta Gualmini in Mamma Europa) quelli cioè più deboli che hanno accusato le più pesanti difficoltà della disoccupazione, quelli che non hanno i mezzi, le competenze e le conoscenze per inserirsi in un mondo del lavoro che cambia a ritmi incontrollabili e che rende obsoleti i mestieri tradizionali. Sono questi partiti, in gran parte populisti, anche se meno reazionari di un tempo - ammette Pagden - a spingere negli anni a posizioni euroscettiche. Curioso leggere nel libro che «tuttavia il nazionalismo non è sempre stato populista e autoritario come questi partiti odierni e come lo sono stati i fascisti e i nazisti […] . Di fatto le sue origini furono liberali e, paradossalmente, internazionaliste» (p. 43). Basti pensare a Giuseppe Mazzini e alla sua «Giovine Europa»: l’illustre italiano andò contro ogni principio deterministico:
A coloro che sostenevano che di fatto la nazione era soltanto una «manifestazione del passato, un concetto medievale che ha causato molto spargimento di sangue e continua a frazionare il pensiero di Dio sulla terra», Mazzini rispose che la nuova «nazionalità» non sarebbe stata «un’aspra guerra all’individualismo». […] [Mazzini] condannava i tre pilastri della razza, la lingua e il clima su cui si era in precedenza basato tanto eccezionalismo. […] Tutto quello che si poteva sperare per il futuro prossimo dell’umanità era ciò che Mazzini chiamava «armonizzazione», un processo che nell’Europa frammentata e discorde emersa dalla devastazione delle guerre napoleoniche poteva essere avviato e realizzato solo dalla nazione. (pp. 43-44)
L’esperimento dell’Unione Europea (UE), checché se ne dica, risulta a oggi l’unico ben riuscito: uniti nella diversità, i ventisette stati hanno iniziato dapprima (non tutti nello stesso momento, ovviamente, gli ingressi sono aumentai negli anni) a collaborare per la ripresa economica dopo la devastazione delle guerre mondiali fino ad arrivare a una Costituzione e a un’unica moneta. I passaggi sono stati graduali ma costanti. L’Europa può essere veramente considerata una federazione di stati, sostiene Pagden, dal momento che vengono condivise delle norme che hanno integrato i singoli sistemi legislativi. Lo studioso dedica un intero capitolo, intitolato Dal nazionale all’internazionale proprio a questo passaggio dal diritto particolare di una singola comunità a quello universale, ossia al «cosmopolitismo giuridico», quello che riguarda soprattutto quelli che vengono chiamati «diritti umani», ma non soltanto quelli. È veramente fondamentale, come si evince dal lavoro di Pagden e come avevano già preannunciato i filosofi già citati, la collaborazione tra i popoli per superare situazioni di empasse socio-economiche, per scongiurare guerre, per lottare contro le discriminazioni: ormai il mondo è talmente interconnesso che neppure gli stati autarchici possono sognare di vivere isolati. D’altronde la storia insegna, scrive l’autore:
Le federazioni, le leghe, le alleanze tra gli stati e le associazioni transnazionali hanno svolto un ruolo cruciale nello sviluppo e, a volte, nella sopravvivenza dell’Occidente. Senza le alleanze che consentirono a tutte le città-stato greche, per quanto frammentate possano essere state per altri aspetti, di contrastare il potente impero persiano, la civiltà greco-romana e l’intera civiltà occidentale non sarebbero mai esistite. (p. 184)
In un mondo plurale e complesso, che cambia a ritmi vertiginosi e con tante sfide da affrontare, prima tra tutte quella climatica, cosa dovremo aspettarci se non che la società umana del pianeta si aggreghi in un’unica federazione di stati federali? Ma forse potremo trovarci in un futuro prossimo di fronte a qualcosa di simile:
Molto prima che accada qualcosa di questo genere, tuttavia, presumibilmente il pianeta si dividerà in modo ancora più netto fra le tre regioni principali già esistenti: gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina. I paesi che gravitano nella loro orbita con ogni probabilità stringeranno alleanze più forti, o nuove alleanze, qualora non esistessero ancora. È possibile che paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda, la Corea del Sud (o una Corea unita) e Taiwan (qualora sopravviva alla crescente aggressione da parte della Cina) stabiliscano relazioni politiche - o federali - più strette con gli Stati Uniti […]. Forse l’Europa si amplierà fino a comprendere non solo Israele, ma anche i paesi della costa nordafricana. (p. 211)
Non ci resta che attendere e restare vigili - anche grazie a libri come questo - per scoprire cosa accadrà.
Marianna Inserra
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