di Gaia Giovagnoli
Nottetempo, 2023
pp. 224
€ 16 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)
Il mazzo di tarocchi va gettato via appena iniziano a succedere cose brutte. (p. 47)
Voglio dire che – mentre ero finalmente lontana, a tre mesi dalla mia partenza, mentre stavo con un altro uomo, Yari – tu ti sei lanciato dal balcone di casa nostra. Quella che era stata la nostra casa. Voglio dire che spero non sia stato un incidente, il tuo. Significherebbe che hai provato a sfilarti dalla mia vita, per lasciarmi libera, o che hai deciso di condannarmi per sempre. Volevi farmi sentire un mostro? Anche il senso di colpa è una forma di dialogo. (p. 12)
Dopo l'esordio di Cos'hai nel sangue (Nottetempo, 2022), Gaia Giovagnoli va faccia a faccia con un amore infestante. Come uno spirito, Leo è entrato nella vita di India, e come uno spirito va scacciato. Il corpo va liberato da ogni residuo di Leo, ripulito dal suo male. Chiedi se vive o se muore è la fuga da una prigionia mascherata da relazione, un inquieto cammino di guarigione. Ma l’unico modo per superare il dolore consiste nell'attraversarlo. Leo è una presenza spettrale e a volte non sono i fantasmi a non lasciarci andare, siamo noi che non lasciamo andare loro: per comprenderli e sconfiggerli.
Chi fa i tarocchi oggi non si mette a divinare, e considera le carte piuttosto come uno strumento utile a guardare dentro se stessi, in una specie di seduta psicologica con candele e incensi. Dicono servano a scavare, dunque, e non a predire il futuro. Ma non è lo stesso? Le carte vedono noi e gli altri, l’alto e il basso; non ti stendono su un lettino e non ti accompagnano solo nei traumi, a volte ti dicono che devi pagare una bolletta in tempo o fare attenzione alla macchina, perché te la potrebbero portare via con il carroattrezzi. Parlano di ieri e oggi e domani, perché sono la stessa cosa. (p. 181)
Chiedi se vive o se muore apre varchi continui e insidiosi. Ogni carta crea uno squarcio o una scappatoia, genera un significato. A volte netto e inequivocabile, altre oscuro. E i tarocchi diventano uno specchio, il riflesso di chi li interroga. Raccontano quello che si è stati per mettere in guardia da quello che si diventerà: il passato inchioda il presente, i confini sfumano, tutto si assottiglia.
Si vaga verso direzioni irrequiete e molteplici: ci sono mondi che si mescolano – il nostro e l’altrove – e India, avanzando in ciò che non può essere afferrato così come nella sua interiorità dilaniata, esplora due abissi, quello delle anime e quello del proprio io, ed è forse il secondo a fare più paura. Andare dentro somiglia a varcare un buco nero: per capire se al di là esiste la luce o l'abisso.
Secondo Jeanne Favret-Sadaa, un'antropologa che fece ricerca sulle pratiche magiche nel bocage normanno, lo studioso che va sul campo cerca sempre di provare che la magia non esiste. È più forte di lui. Malocchi e divinazione non sono cose che si possono provare: non seguono le leggi di causa-effetto; non sono riproducibili, né oggettive. Ci credono solo le persone ignoranti. I discorsi dei tarocchi sono vaghi, come gli oroscopi, mentre la parola, per lo scienziato, ha sempre valore di informazione; un resoconto di qualcosa che è successo o un'etichetta che attesta che una mela è una mela, un asino un asino. Il nome qualcosa di inerte. Lo studioso non sa osservare la magia senza giudizio. E nei sortilegi non funziona così: un nome è parte della persona, come lo sono i suoi capelli e la saliva. Un nome, sommato 60 ad altri nomi, è parte di una storia che è insieme passato, presente e futuro. Attraverso una parola esercito una forza, posso dare ordini, se voglio, spingere qualcuno nella luce o verso un abisso, possederlo. (p. 59)
Gaia Giovagnoli racconta l'amore tossico e la divinazione. L'approccio a una materia misteriosa come quella dei tarocchi è inusuale e convincente, razionale nella giustificazione dell'irrazionale. Si affaccia nel mondo dei morti per comprendere quello dei vivi. Racconta nel dettaglio e insegue spiegazioni plausibili. Ammette la necessità di cercare segni e di motivarli. Si procede per tentativi, per frammenti. Aggrappandosi al conosciuto, al visibile. Ai suoni e agli odori. Ai segnali inequivocabili nel corpo. Affascinano i dettagli. Si sfatano i luoghi comuni.
Chiedi se vive o se muore è un romanzo inquieto, insofferente. Suggestivo nella parte di esplorazione dell'ignoto, persuasivo nella rivelazione di pratiche taboo. Si fondono bene la componente orrorifica e quella psicologica. Il timbro crudo e brutale funziona e alcune pagine fanno fisicamente male: allo stomaco, al cuore.
Dicono che i morti è meglio lasciarli stare. Soprattutto i suicidi come lui. Ti chiesi che senso avesse provare a contattarlo: di solito le persone i morti li vogliono lontani, distanti. Ci sono cose da fare per cacciarli via di casa – per non bloccarli negli specchi, non riattirarli dentro ai loro vecchi vestiti e non farli sedere più a tavola. Loro e la loro rabbia incurabile. Si dice di coprire le superfici riflettenti, quando muore qualcuno: lo spirito potrebbe scambiare uno specchio per una finestra e, invece di uscire, rimanere intrappolato. (p. 159)
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