di He-Yin Zhen
2023, D Editore
Traduzione di Cristina Manzone
€ 17,90 (cartaceo)
€ 6,29 (ebook)
Quando si leggono testi femministi, capita di sentirsi interpellate personalmente da alcune voci. E non di rado, quelle che più spesso riescono a risuonare alle nostre orecchie sono anche capaci di travalicare i decenni, di attraversare Stati e oceani, pur restando estremamente specifiche, estremamente localizzate nella volontà ferrea di cambiare il mondo che gira o girava intorno all’autrice. La capacità di essere precise e al tempo stesso universali è un'abilità che caratterizza molte scrittrici femministe e la voce tonante di He-Yin Zhen è senza dubbio tra queste.
Per questo, prima
di analizzare il suo messaggio, esploriamo insieme il mondo a cui appartiene quest’autrice,
vissuta tra Ottocento e Novecento in una Cina imperiale scossa da numerosi
movimenti riformisti. Una distanza temporale e geografica che non spaventa,
grazie alla magnifica introduzione della traduttrice e curatrice Cristina
Manzone, un gioiellino di divulgazione che fa sì che anche le lettrici più
distanti da un tale contesto possano fruire degli strumenti per godersi appieno
i discorsi dell’autrice – caratterizzati anch’essi da una chiarezza e pregnanza
magistrali. Tra i movimenti di riforma che volevano una Cina più nazionalista,
anticipando la caduta dell’impero che si sarebbe verificata di lì a breve,
Manzone inquadra con abilità il modo in cui i discorsi relativi alla parità di
genere erano riusciti a infiltrarsi in ogni tipo di discussione politica a
culturale, anche al di fuori del dibattito spiccatamente anarchico in cui He-Yin
Zhen si introduce; se l’oppressione tradizionale della donna veniva portata
avanti perfino grazie a interpretazioni letterali e strumentalizzate della
dottrina confuciana, la liberazione della donna doveva invece essere portata in
prima linea tanto nella discussione politica quanto in quella culturale, perché
solo liberando chi nasce, vive e muore in prigionia, si può raggiungere un vero
ideale di giustizia per tutte e per tutti.
I saggi che compongono quest'opera,
pubblicati tutti nel 1907, nella rivista fondata da He-Yin Zhen stessa durante
il suo soggiorno (quasi un esilio politico) a Tokyo, vanno dritti al sodo, ed elencano puntualmente le modalità in cui questo ideale di liberazione può
essere raggiunto. Il titolo stesso della rivista è una dichiarazione d’intenti:
Tianyi, letteralmente “giustizia naturale”, quell’ideale di giustizia che sappia andare al di là della condizione giuridica.
Gli scopi (della rivista) sono di distruggere le caratteristiche intrinseche della società, instaurare l'uguaglianza tra gli esseri umani, di sostenere non solo la rivoluzione delle donne, ma anche quella razziale, politica ed economica. Da qui il nome Giustizia Naturale. (p. 33)
Dopo quest’annuncio
programmatico, ecco il primo numero di Tianyi, che si apre con un
vero e proprio elenco delle cose contro cui le femministe dovrebbero lottare: l’istituzione
del matrimonio nonché tutti gli altri riti tradizionali che lavorano per
opprimere la donna; tutti i doveri che comunemente vengono attribuiti alle
donne; l’educazione differenziale per bambine e bambini; la convenzione per le
donne di assumere il cognome del marito; e molto altro. Se da una parte spicca
la menzione dell’educazione infantile, ancora oggi elemento trascurato all’interno
dei discorsi di genere, dall’altra ci sono ovviamente battaglie che oggi non ci
sembrano più attuali o giuste, come quella per la monogamia o per l’abolizione del sex
work. Eppure la logica ferrea dei discorsi di He-Yin Zhen sa convincere, portando
sempre esempi concreti del perché nel suo contesto tali elementi risultassero da combattere.
E così via, di
saggio in saggio, toccando temi come l’antimilitarismo, la comparazione con i
movimenti femministi di altri Paesi, e, nel saggio più lungo e complesso della
raccolta, l’ideale di “vendetta” che le donne dovrebbero portare avanti nei
confronti degli uomini, basandosi su una storia lunga e dettagliata
dell’oppressione che in Cina le donne hanno dovuto subire sotto tutti i punti
di vista – quello delle istituzioni sociali, come la poligamia e il
concubinato; quello linguistico, con l’analisi dei caratteri del cinese
classico; quello legato ai riti tradizionali come ad esempio le disparità
legate al modo in cui uomini e donne portano il lutto, e tanto altro.
Donne cinesi, sapete che l'uomo è il vostro più grande nemico? E sapete che le donne sopportano la sottomissione maschile da migliaia di anni? Gli antichi dicevano "chi mi opprime è mio nemico". Oggi non vi è un solo uomo che non sia crudele nei confronti delle donne, perciò non vi è una donna che non abbia il diritto di chiedere vendetta. (p. 53)
Insomma, le pagine
di He-Yin Zhen sanno trasportarci in un mondo diversissimo dal nostro e sono in grado di guidarci all'interno di un femminismo diverso, in cui entrare rispettose e in punta di piedi.
Ma allo stesso tempo la mano che He-Yin Zhen ci allunga arriva presentissima ai
giorni nostri, e ci ricorda che il femminismo è sempre e prima di tutto una
posizione politica: un modo di vivere la società in cui ci troviamo – e,
auspicabilmente, di cambiarla.
Marta Olivi
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