Non passa giorno che io non avrei voluto dire ciò che devo dire, non è passato giorno ma poi sono passati trent’anni, ventinove per l’esattezza. Un segreto, che poi per me non era un segreto e non era un segreto neanche per loro, per loro Antonio e Grazia, anche se hanno preferito che fosse un mio segreto, hanno preferito il segreto alla realtà dei fatti e questo mi fa male, ma fate come vi pare, sentite, come la fai la sbagli con quei due. (p. 15)
Il pescecane, romanzo d’esordio di Andrea Quattrocchi, viene alle stampe con la casa editrice Agenzia Alcatraz dopo un viaggio piuttosto lungo: vede infatti sia il lavoro presso la Bottega Editoriale di Giulio Mozzi, sia la partecipazione (e conseguente segnalazione) alla XXXIV edizione del Premio Calvino. Il risultato è un testo fittissimo di circa 140 pagine, che arriva al lettore come un unico, lungo soliloquio, reso verosimile dall’interessante espediente letterario della diretta Facebook, che fornisce a Quattrocchi sia un forte elemento di verosimiglianza sia un immediato aggancio alla contemporaneità tramite l’uso di un social network che – fra quelli esistenti oggi – è il più indicato per il tipo di pubblico a cui si rivolge il protagonista. Data la lunghezza e la natura confessionale del testo, e considerando anche il bisogno di rivalsa del protagonista, sarebbe stato meno interessante – sia a livello di trama che di riuscita finale – che il discorso fosse avvenuto interamente nella testa del protagonista, o che si fosse trattato il tutto alla stregua di un monologo teatrale. La scelta di rivelare quanto avvenuto trent’anni prima a un pubblico reale, che sta seguendo la diretta Facebook, è l’elemento che dona al romanzo di Quattrocchi quel quid che sarebbe altrimenti venuto a mancare.
Nel proprio discorso, interrotto
soltanto per rispondere a qualche commento che compare durante la diretta, il
protagonista Debellis – il cui non è dato sapere – decide di confessare
un segreto che si porta dietro da trent’anni. Ma questa confessione,
di per sé, non è realmente al centro della vicenda, o meglio: non è il solo
resoconto al centro della vicenda. Partendo da qui, il protagonista arriva a parlare di tante altre cose, mescolando all'argomentazione principale queste altre narrazioni in modo casuale e confuso, spesso transitando
da un discorso all’altro in maniera estemporanea, cosa che costringe il lettore
a una continua concentrazione al fine di evitare di perdersi qualche passaggio.
Gli argomenti che Debellis tocca sono i più disparati ma, tralasciando riflessioni personali sul mondo, sulla politica e altre divagazioni, quelli su cui si
concentra maggiormente sono tre: la storia della propria famiglia e del conflitto
mai risolto con i propri genitori; un secondo conflitto non risolto con il
cugino Nico, orfano, adottato dai genitori del protagonista e
percepito da quest’ultimo come un pescecane che vuole trarre profitto dai due
anziani; un resoconto tragicomico della vita di provincia, rappresentata dal
piccolo paese di Pietrarossa, disperso da qualche parte in una Sicilia rurale e
ancora attaccata a un momento storico in cui a dare valore alle
persone sono i titoli che queste possiedono, come cavaliere, notaio ecc.
Tutti questi discorsi si intrecciano, si avvitano l’uno sull’altro e si contaminano a tal punto da creare una matassa di voci, personaggi, situazioni difficile da sbrogliare. Se a ciò si aggiunge che il soliloquio è tempestato di ripetizioni e digressioni all’apparenza inutili ma in realtà necessarie a rendere il parlato del protagonista, si può avere chiara la complessità di un testo solo all’apparenza immediato. Si può affermare che la trama principale – quella relativa al segreto da confessare – ricopra un ruolo in fin dei conti secondario rispetto al vero motivo d’interesse del Pescecane, che è invece relativo al lavoro sul linguaggio. È proprio il tentativo – riuscito – di rendere il soliloquio realistico il vero elemento di fascino di questo romanzo. Non si fatica a immaginare Debellis, un uomo affetto da un narcisismo quasi patologico, convinto di essere migliore di chi lo sta ascoltando, che un giorno decide di avviare una diretta Facebook e parlare per quattro ore di seguito, sparando a zero su tutto ciò che per anni si è tenuto dentro e distaccandosi dal proprio egocentrismo solo per rispondere a qualche commento – qualcuno fra i tanti, probabilmente –, con l’intento di essere per una volta soltanto al centro dell’attenzione. Il protagonista di Quattrocchi, un uomo piccolo e insignificante che nella vita ha realizzato poco e niente, in queste quattro ore e circa 140 pagine, si apre al mondo e rivela tutta la propria meschinità, e lo fa convinto di essere invece nel giusto; di essere una sorta di uomo nuovo portatore di verità. L’autoinganno è così feroce da risultare in un ulteriore elemento di genuinità dell’opera.
Il pescecane è un’opera che
funziona bene, sempre a rischio di eccedere in un eccesso che
rovinerebbe l’intera struttura, ma in grado invece di restare al di qua della
linea di sicurezza. Andrea Quattrocchi è certamente un autore di cui sarà interessante
seguire gli sviluppi.
David Valentini
Social Network