in

Le stelle che hanno illuminato la letteratura russa vengono da San Pietroburgo. Jan Brokken racconta gli autori e le autrici che resero grande la Russia

- -

Bagliori a San Pietroburgo
di Jan Brokken
Iperborea, agosto 2017

Traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo

pp. 220
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Amo la narrativa di viaggio e la cultura russa in toto, quindi non ho potuto aspettare a lungo prima di dedicarmi a questo libro pubblicato da Iperborea nell’estate del 2017. Ho letto molte opere del celebre scrittore e viaggiatore olandese Jan Brokken e Bagliori a San Pietroburgo è sicuramente uno dei più interessanti: la sua penna è concisa, asciutta ed emozionata, e l’amore per la letteratura e la musica russa trasuda dalle pagine del libro, così come nei precedenti Anime baltiche e Il giardino dei cosacchi.

Protagonista indiscussa del libro è San Pietroburgo, capitale dell'Impero russo, dalla sua fondazione nel 1703 a opera dello zar Pietro Il Grande fino al marzo del 1918. Jan Brokken è tornato in questa città numerose volte, vedendo cambiare più volte il suo nome ma mai la sua magia: San Pietroburgo è il luogo dove hanno vissuto, amato e coltivato il proprio genio artistico la poetessa Anna Achmatova,  il poeta Osip Mandel’štam, Fedor Dostoevskij, il musicista Pëtr Čhaikovskij, il giovanissimo poeta Sergej Esenin, morto suicida, e altri ancora.
La città impareggiabile dove si respirano libertà, genio, ribellione, sofferenza, passione è proprio San Pietroburgo. Le strade, le case, i monumenti, testimoniano il passaggio di queste comete della musica e della letteratura di ogni tempo e luogo.
Tutto qui predispone a riflettere, osservare, ricordare; tutto spinge quasi impercettibilmente a una sconsolata malinconia. Se San Pietroburgo non fosse esistita, avrei inventato io questa città che sonnecchia sul fiume, come uno stato d’animo che mi corrisponde per sempre.
Astro luminoso in mezzo agli altri è Anna Achmatova, il cui ritratto realizzato da Natan Al’tman campeggia sulla copertina dell’edizione Iperborea, ed è proprio con lei che inizia anche l’opera di Brokken. Donna fiera, alta e snella, dal portamento da regina, ammaliò lo stesso Boris Pasternak, che le propose di sposarlo in tre occasioni ma per tre volte ricevette un secco rifiuto, perché lo scrittore era moscovita e, agli occhi di lei, che nutriva uno spirito indomito e ribelle, ciò era incompatibile col suo carattere. «Nella descrizione di Iosif Brodskij era di un’eleganza incredibile e aveva gli occhi di un leopardo delle nevi, di un grigioverde pallido – tremo al solo pensiero di occhi del genere che mi guardano».
La poetessa ebbe rapporti molto difficili sia con il regime zarista che con quello sovietico, tanto da vedere bandite le sue opere (anche anni dopo la sua morte che avvenne nel 1966), tuttavia non venne mai arrestata, mentre agli uomini che amava, tra i quali il figlio, capitarono anche il carcere duro e la fucilazione.
Quando, nel 1975, soggiornai per la prima volta nella mia vita a Leningrado, erano trascorsi solo nove anni dal giorno in cui Anna Achmatova aveva esalato l’ultimo respiro. In città la sua influenza era ancora tangibile, ma per non rischiare problemi con le autorità era meglio evitare di nominarla in pubblico. Proprio proibite le sue opere non lo erano più, un leningradese su dieci – a occhio – sapeva recitare a memoria il suo ciclo di poesie Requiem, eppure il suo nome continuava a evocare un sospetto di protesta e dissidenza. La versione completa e non censurata di Requiem in Unione Sovietica non sarebbe apparsa che molti anni dopo, nel 1987; Anna Achmatova era ancora parzialmente sulla lista nera.

Legatissimi alla poetessa furono «Osip Mandel’štam di origine ebraico-lettone-lituana e Iosif Brodskij ebraico-polacca», poeti e intellettuali di grande levatura, ma dalle origini poco gradite dal regime sovietico e non solo. Infatti, entrambi erano tacciati di cosmopolitismo, un peccato imperdonabile in epoca sovietica: l’amore per Shakespeare, Auden, Byron era vietato e così

peccarono di formalismo tanto Mandel’štam quanto l’Achmatova e Brodskij. Tutti pietroburghesi fino al midollo […]. In epoca sovietica suggerire era meglio che esprimere: «Solo da noi hanno rispetto per la poesia», osservò il suo amico Mandel’štam, «visto che uccidono in suo nome. In nessun altro paese uccidono per motivi poetici».

L’aria sovietica è percepita come soffocante e insopportabile anche da chi viaggia e vuole visitare la Russia: ad esempio, mostrarsi con la barba lunga alla Solženicyn desta sospetti, è negato il visto se si viaggia su iniziativa individuale, e le guide turistiche sono quasi sempre delle spie ben pagate.

[…] era anche questa una caratteristica di un viaggio nell’Utopia comunista: dovevi disattivare l’iniziativa individuale e farti prendere per mano come un bambino stupido, ignorante, bisognoso di assistenza. Magari faceva solo finta di essere gentile e invece lavorava per il KGB come – a quanto trapelò in seguito – il novanta per cento di tutte le guide. […]. Chiedere spiegazioni equivale a cercar grane. Sotto questo aspetto il paese non cambierà mai: da straniero è meglio se non t’impicci di come vanno le cose.

Particolarmente interessanti sono le pagine dedicate alla vita pietroburghese del grande Dostoevskij e alle vicissitudini dei suoi libri, da Povera gente fino ai romanzi della maturità (senza dimenticare il capolavoro Delitto e castigo), e l’osservazione di Brokken sulle somiglianze e le differenze tra lui e Gogol’ è molto acuta:
Né era una novità che Dostoevskij scrivesse di «persone comuni»: l’aveva già fatto Gogol’ quattro anni prima, con Anime morte. C’era però una grande differenza con l’onnisciente Gogol’ che guardava dall’alto i suoi personaggi come una sorta di Dio e descriveva i comuni mortali con pungente umorismo: Dostoevskij scriveva, forse per primo nella letteratura mondiale, dal punto di vista dei suoi personaggi, scriveva dal punto di vista degli umiliati e offesi, dava loro un linguaggio, un modo di pensare, esprimeva la loro grettezza, collera, malvagità, il loro disprezzo, i loro piaceri ed espedienti e la loro piccola ed esitante poesia.
Come sempre, le opere di Jan Brokken intrecciano l’esperienza e i ricordi di viaggio con le biografie e gli aneddoti sulle vite degli autori e delle autrici che gli stanno più a cuore, tra cui quello che poi diventò per lui un grande amico, Youri Egorov, protagonista del suo romanzo La casa del pianista (Iperborea 2011): in queste pagine scopriamo che anche lui conosceva Achmatova e Iosif Brodskij, con i quali era capace di chiacchierare al telefono per ore e ore, come solo i russi sanno fare con tanta disinvoltura. Proprio come negli altri suoi libri, Brokken tiene incollati alle pagine grazie alla sua abilità nel raccontare, nel coinvolgere il lettore e farlo a volte anche commuovere. Inoltre, anche in questo caso, a corredo degli scritti, non mancano le foto e le immagini di persone, luoghi, monumenti e opere d’arte che arricchiscono la sua narrazione.

Marianna Inserra