Le conseguenze
di Manuel Muñoz
Edizioni Black Coffee, settembre 2023
Traduzione di Annalisa Nelson
pp. 230
€ 18,00 (cartaceo)
È davvero difficile definire Le conseguenze di Muñoz. È una raccolta di racconti, storie quotidiane di donne e uomini alle prese con un’esistenza faticosa, che hanno varcato i confini del Messico per rincorrere quel sogno americano che si rivela, storia dopo storia, un fallimento, un boccone amaro buttato giù con riluttanza che pure però riempie la pancia e fa pensare che una vita migliore per sé e la propria famiglia esista; si può quindi far finta di dimenticare ciò che si è perso e ancora si sta perdendo per averlo inghiottito, tra lacrime tenaci e sogni sempre all’erta.
Quasi tutte le storie sono ambientate a Fresno e nei suoi dintorni, in California, luoghi scelti da molte famiglie messicane per costruirsi una nuova vita tra alberi polverosi e strade interminabili che sfociano nell’oceano. L’autore ci racconta del duro lavoro degli uomini, che spesso consiste nel lavoro nei campi, tra i filari di alberi da frutto. Agrumi, uva, pesche e susine raccolte con cura e velocità, per non perdere neanche un centesimo del compenso che spetta loro. Peccato che il profumo degli agrumi non arrivi nelle vite di questi uomini, sovrastato dall'amaro della perdita e della disillusione di un sogno che pare non avverarsi mai.
Eravamo come uccelli cui ci si avvicina troppo in fretta, mi spiego? Correvamo tutti insieme. Lontano dalla strada, ci sparpagliavamo tra i filari e cercavamo di dividerci. Capitava che vedevi un furgone della migra alla fine di un filare e dovevi intrufolarti in un altro. Assurdo che riuscivamo a distinguere il verde di un furgone della migra in mezzo a tutte quelle foglie. (p. 171)
E le donne, grandi lavoratrici, di cui si raccontano i viaggi interminabili, svalicando il confine statunitense, in cerca dei loro uomini, portati via su grossi furgoni verdi della migra. Destinazione: i luoghi che si sono lasciati alle spalle, dove abita la lingua di casa, lo spagnolo, così presente nelle pagine di questa raccolta. Viaggi fatti di attese, di sguardi in perenne ricerca, di attenzione ed esistenza sbrigativa, proprie di chi è abituato a fare quella vita, avanti indietro, tra i lunghi filari di frutta e la casa che si è abbandonata. Sembra quasi, metaforicamente, che percorrendo fino in fondo quei filari si arrivi proprio al punto di partenza, allontanandosi sempre di più dalla meta da raggiungere.
Conosco il parco e conosco tutta la procedura: Pershing Square, dove devo aspettare per una notte e vedere se Timoteo si fa vivo da Tijuana, dormire in un motel vicino a Seventh Street, con la porta che affaccia sull’oscurità rumorosa della città. Se Timoteo non si fa vivo, allora devo salire sull’autobus per San Diego e arrivare al capolinea che sta a due passi dal confine, neanche i due Paesi avessero voluto rendere le cose più facili per tutti. Lì vicino c’è un parco come quello di Los Angeles, dove tutti aspettano e aspettano e aspettano. (p. 41)
Inizialmente il lettore potrebbe pensare che si tratti di storie a sé, ognuna a svelare la vita di una famiglia diversa, e in parte è così. Ma il lettore vedrà come l’autore intenda mostrargli, in realtà, una storia collettiva, dove ogni esistenza raccontata è lo specchio dell’altra. Una storia comune che ci presenta queste donne e questi uomini, con un nome e un cognome. E così, in un modo per me abbastanza evidente, la letteratura cerca di cucire quei tagli inflitti dalla realtà, da un mondo in cui i migranti sono solo numeri e statistiche, da un Paese, gli Stati Uniti, che non permette alla voce delle famiglie messicane e di tutti quelli che vogliono entrare negli USA di emergere, li relega in una gabbia numerica, senza né volti né famiglie, investendoli di senso di inadeguatezza e colpa che nemmeno il sole di mille californie potrebbe seccare via.
Le parole in spagnolo, presenti frequentemente nel libro, se da un lato rimarcano fieramente le origini dei protagonisti, dall’altra li oppongono ai locali, creando una collettività emarginata, sottolineando la drammatica impossibilità di far parte di un mondo sognato e raggiunto, cui però non si apparterrà mai realmente.
Il suo inglese non bastava per spiegare cosa avesse e all’ospedale nessuno parlava spagnolo. Questo succede in Texas. (…) "Il bambino aveva la polmonite?" ricordo di averle chiesto, perché all’epoca pensavo che ci dovesse essere sempre una risposta per tutto. Mia madre aveva risposto che a quel tempo non sapeva l'inglese. Era il suo modo per dire che se lo era sempre chiesto anche lei, ma non c’era possibilità di fare domande su qualcosa che non le era dato di capire. (p. 166)
I paesaggi a volte claustrofobici, la triangolazione lavoro-casa-chiesa (non sempre) suggeriscono l’idea che nulla può cambiare, che l’esistenza di queste persone è condannata a non evolversi, a rimanere incastrata in un nietzschiano eterno ritorno dell'uguale. Già in età adolescenziale, infatti, fa venire voglia di scappare, come succede a Teo nel racconto “Che razza di stupida sono?”, che ciclicamente arrangia una borsa alla bell’e meglio e fugge da un luogo in cui si sente soffocare, e a cui sua sorella lo riporta sempre, nel tentativo di salvarlo da se stesso.
Questo è un libro che ci fa aprire gli occhi su un capitolo della storia attuale che sembra così lontano da noi, eppure ci appartiene. Il fallimento del tanto agognato american dream, il dramma di chi lascia una casa, una lingua, un insieme di affetti per cercare fortuna in un luogo che sembra capace solo di dolore. Un luogo che non cede un millimetro alla compassione, alla comprensione e all’inclusione.
Un libro di facile e veloce lettura, in cui ciò che conta non è tanto la forma, il linguaggio, quanto i protagonisti che abitano queste pagine, la restituzione visiva delle vite che conducono e di un’interiorità corale che ne Le conseguenze urla la sua presenza.
E così questo libro di Muñoz capovolge la narrazione: se nel mondo in cui viviamo, là fuori, esiste il sogno americano ma l’esistenza dei migranti non è ammessa, questo libro è del tutto centrato sull’esistenza e sulle storie di queste persone, e il sogno americano altro non è che una nuvola di polvere che si alza dalle ruote del pick up di Delfina durante il dìa de Dios.
Lidia Tecchiati
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