La spiegazione onomatopeica di questa espressione si basa sul suono delle gambe quando sono affaticate. Il suono in questione sarebbe "ciac ciac" oppure "giac giac", da cui deriverebbe il nome Giacomo Giacomo. Invece l'origine francese pone le radici durante la Guerra dei Cento Anni, in cui a causa di una rivolta cittadini dovuta al peso delle tasse, i contadini indossavano "le Jacque", cioè giacchette leggere irrobustite da fili di ferro. Gli aristocratici presero spunto da questo tipo di vestiario per identificarli in modo dispregiativo, con l'espressione "Jacque Bonhomme" cioè "vigliacco" o "imbecille". In seguito, proprio in Francia, si diffuse il modo di dire "Faire le Jacques", che si può tradurre in italiano come "fare lo sciocco o fare il vigliacco", indicando le gambe dei contadini che tremavano dalla paura davanti alle milizie.
«Ma io sono Giacomo e, quando le cose vanno male, divento, con le mie gambe molli e balbettanti, due volte Giacomo». (p. 11)
Arrivando al nome, al significato che trasmette, si percepisce l'importanza di avere un nome proprio, con l'altrettanta saggezza di saperlo dare. Avere un nome significa riconoscimento del proprio diritto ad esistere in piena dignità. Chiamare qualcuno col suo nome significa riconoscergli altrettanta dignità, altrettanto diritto, significa, ancora di più, abbracciare la sua individualità, unica, irripetibile, come ogni storia. Anche la più nera, anche la più sporca, anche la più persa delle storie ha dentro un protagonista che la natura, con tutta la sua potenza, non potrà più replicare in modo identico. Allora occorre un nome, non per mescolare a forza tutte le esistenze, ma occorre un nome per distinguere e per onorare l’irreplicabilità di ogni singola persona.
Giacomo Giacomo. Un romanzo indie è un romanzo ricco di rimandi, sottili intuizioni e spunti che hanno un effetto deliziosamente cinematografico. È l’allegro, ma non scanzonato e sguaiato, racconto di un mondo triste, che molti preferirebbero non guardare in faccia. Giacomo, invece, prova a farlo, o così dice o è convinto di fare. Gli anni che racconta sono quelli della scoperta della filosofia e dei primi amori difficili. Sulla sua pelle scoprirà che l’amore, la cosa più genuina che dovrebbe esserci e che dovrebbe essere alla portata di tutti, può essere un’impresa ad alto rischio di fallimento. Gli amici (pochi, in realtà, come Leo e Francis) e la sua passione per la filosofia gli sono di conforto. Sente di essere un personaggio “indie”, tanto per la musica che ascolta, quanto perché ha consapevolezza di essere uno poco etichettabile. Piange per il destino di un albero abbandonato all’incuria e sogna una vita su Marte, come David Bowie. Vorrebbe agire segretamente e altrettanto discretamente togliere il disturbo quando giungerà l’ora.
Vorrebbe fare mille cose, ha tantissimi pensieri, come gli suggerisce la sua giovane età, e trovare la forza che non ha per metterne a segno almeno una parte. Tutto questo in una quindicina di brevi capitoli che prendono di petto la vita con quell’onestà di cui solo certi adolescenti sono forse capaci, e la loro stessa personalissima nave di dubbi:
«La mia testa è una camera stagna in cui risuonano parole. Messe insieme, formano sequenze. Deve essere così che nascono i pensieri e io devo avere un cervello che si alimenta di immagini sottotitolato, perchè i miei pensieri sono calchi di parole di altri, parole e pensieri che devo avere già sentito e di cui non ricordo l'origine. Ne sono convinto, e la cosa non mi dà pace: nelle nostre teste rimbombano pensieri pensati da altri, parole usate da altri. Tante teste in una testa, e mille altre teste ancora raccolte in infernali matrioske. Nessun pensiero originale [...] Li penso, vengono e vanno, tracciano scie e muoiono quasi sempre per indigenza. Sì, è proprio così, muoiono di fame, perché io non do loro da mangiare. E allora il pensiero cannibale divora i pensieri per farsi spazio». (p.22)
Giacomo Giacomo. Un romanzo indie è uno di quei romanzi che rimandano indietro nel tempo, a quei momenti di grande e profonda introspezione generazionale, lontano da certi rigidi schemi, ma vicini a tutte quelle crisi e lunaticità che contraddistinguono un periodo ben preciso. Fu già Enrico Brizzi, attraverso il personaggio di Alex, col suo romanzo d'esordio Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Una maestosa storia d'amore e di «rock parrocchiale», a raccontare i disagi e gli smarrimenti dell'adolescenza, un'età complessa che non sempre è vissuta con la consapevolezza di chi ce la farà ad essere un adulto esemplare, ma dal romanzo di Giuseppe Pulina emerge tutto il desiderio materiale e intellettivo di libertà di Giacomo; anche un adulto leggendone le parole e le illusioni potrebbe fare un passo indietro nel tempo, sorridere e pensare "alla fine... ce l'ho fatta!".
Serena Palmese