Punto croce
di Jazmina Barrera
La Nuova Frontiera, giugno 2023
Traduzione di Federica Niola
pp. 224
€ 17,50 (cartaceo)
€ 11 (ebook)
Al terzo libro che leggo di Jazmina Barrera, talentuosa scrittrice messicana, mi appare sempre più evidente quanto i suoi testi rifuggano etichette troppo rigide per muoversi invece liberamente oltre confini di genere e forma, in quella che per certi versi potremmo pure considerare una tendenza delle narrazioni più contemporanee. Con Quaderno dei fari Barrera evocava la sua ossessione, in un intreccio perfetto tra luoghi – reali o immaginari –, storie, letteratura, scrittura e vita; con Linea nigra indagava il tema della maternità intrecciando ancora una volta i fili dell’esperienza personale alla storia letteraria, la vita alla scrittura.
Punto croce, pubblicato quest’anno sempre da La nuova frontiera ancora una volta nella puntuale traduzione di Federica Niola, è in apparenza il testo più etichettabile come romanzo puro, ma di nuovo Barrera svicola dalle rigide imposizioni: all’impianto narrativo tradizionale si intrecciano appunti, riflessioni e spunti sulla storia del ricamo e sull’atto creativo, mediante una narrazione su diversi livelli temporali. Ed è il ricamo, appunto, a tenere insieme i fili di questa storia e a legare – più saldamente o meno – le tre protagoniste Mila (voce narrante), Dalia e Citlali, adolescenti poi adulte.
Il ricamo, già da un punto di vista antropologico, è sorellanza, resistenza all’oppressione, possibilità di esprimersi; una costante nelle vite delle tre ragazze e il mezzo con cui Barrera tesse la sua trama di rimandi, echi letterari, storia culturale, finzione. Anche da un punto di vista grafico, con i piccoli segni caratteristici del punto croce a indicare i capitoletti in cui la storia è suddivisa. Punto croce è anche prima di tutto un racconto di fantasmi: la scomparsa di Citlali, avvenuta in circostanze misteriose a migliaia di chilometri da casa, il vuoto che lascia, le domande sospese; ma Citlali era già uno spettro molti anni prima, con i suoi silenzi, le fughe, i segreti che non potranno mai essere svelati davvero. E Punto croce è quindi prima di tutto la storia di un’amicizia, di legami che si vanno costruendo, di come il tempo faccia allentare la trama che li tiene insieme, del ritrovarsi per qualche istante; dell’adolescenza e della sua confusione, della perdita e del dolore di chi resta.
Mi scombussola ancora: sono arrabbiata con lei perché si è lasciata andare, perché non si è mai ripresa da quell’idiota di suo padre, dalla morte di sua madre, perché non si è mai ripresa da se stessa. (p. 33)
E, ancora, è fare i conti con la mancanza e il senso di colpa, con il peso del mondo che qualche volta è impossibile da sopportare, mentre il discorso si intreccia alla maternità, alla malleabilità del ricordo, la rabbia al dolore.
Le rimprovero di essersi arresa al mondo in cui ora vive anche mia figlia. Ma un’altra parte di me è arrabbiata con se stessa, si sente impotente e insieme responsabile di non essersi presa meglio cura di lei. La rabbia e la disperazione si alternano a ondate. (p. 34)
Squarci, lampi sulla pagina con cui Barrera sembra tessere ancora una volta un dialogo che si fa metaletterario e dal testo scritto arriva al lettore, all’esperienza personale, alla vita reale, in cerca forse di quelle risposte che il testo da solo non può fornire. È in quelle pieghe però, in quel non detto, che sta la forza della narrazione.
[…] la parola “testo” e la parola “tessuto” condividono la radice latina texere, tessere, intrecciare, collegare. (p. 37)
Il tema del ricamo che si rincorre tra le pagine svela anche un interessante parallelo con la scrittura: nel ritmo, nella dedizione, nella costruzione di una trama, nella lentezza e nell’artigianalità dell’atto compositivo, che sono tanto del ricamo quanto dello scrivere. Entrambe le forme raccontano storie, usando un mezzo espressivo differente, ma per certi versi strumenti e approccio simili; la riflessione sulla scrittura si amplifica nel ruolo della voce narrante e la sua identità di scrittrice, con tutto ciò che comporta, nelle numerose citazioni, titoli e spunti che accompagnano l’amicizia tra Mila, Citlali e Dalia. È una fascinazione che Barrera costruisce abilmente da un testo all’altro e che non appesantisce la narrazione ma la intensifica, mettendola in dialogo anche con storie altre: per Quaderno dei fari erano gli innumerevoli spunti letterari intorno al tema-ossessione, da Virginia Woolf a Poe, ma in questo ibridismo di forma, nel gioco metaletterario e nelle suggestioni che evocano le storie di Barrera si inseriscono in un discorso letterario molto ampio, che comprende per esempio le narrazioni di Dominique Fortier – penso soprattutto a E tutt’intorno il mare – , di Olivia Laing, di Judith Schalansky.
In questo incrocio di voci, storie, forme, il centro nevralgico di Punto croce è l’amicizia: quella impetuosa e disordinata dell’adolescenza, dove ogni cosa, ogni sentimento o ideale sono amplificati. Mila, Citlali e Dalia non potrebbero essere più diverse e il loro è un legame di giovani donne che scoprono la vita fuori dal mondo in cui sono cresciute, viaggiano, si legano profondamente l’una all’altra per poi allontanarsi.
Le cose che sentivamo in quel periodo erano così: disordinate, confuse e di un’intensità dolorosa. (p. 161)
Ci sono tutte le insicurezze dell’essere giovani, l’intensità dei sentimenti e delle proprie convinzioni, le paure e fragilità, ci sono i corpi tra rifiuto e cambiamento. È una fotografia – e in questo ha così tanto in comune con la forma racconto – di quel momento, della gioventù, bellissima e crudele.
Dicevamo all’inizio che Punto croce è una storia di fantasmi, di mancanze: l’assenza di Citlali, in una forma o nell’altra, attraversa tutto il romanzo, ben prima della sua effettiva scomparsa con il mistero che si porta dietro. Rappresenta il fantasma che Dalia e Mila inseguono in Europa, i segreti e le mezze verità svelate. Un’assenza che si fa distanza, la trama della loro storia comune che si sfilaccia e al suo posto la vita adulta, le scelte, le responsabilità; la confidenza di un tempo che viene meno, gli incontri sempre più rari.
Forse perché solo lì, in quel preciso momento della loro gioventù, Dalia, Mila e Citlali potevano tessere insieme l’arazzo delle loro vite, in un momento che mai più ritornerà, non uguale, non altrettanto potente. Non è la morte, ma la vita adulta a spezzare l’incanto, sono le cose che non ci diciamo, le persone che smettiamo di conoscere. Per poi ritrovarsi, almeno in parte. Riprendere in mano l’ago e il filo, cercare le tracce di quello che sono state, ritrovarsi per l’ultima volta ancora tutte e tre insieme.
Avanti e indietro nel tempo, con Punto croce Barrera si conferma scrittrice sensibile e libera dagli stereotipi di forma, immersa in un dialogo letterario e umano che crea un ponte tra le pagine e la realtà.
Debora Lambruschini