In quelle ore la città di sopra si spopolava, la vita scorreva nella città di sotto. Come se Napoli fosse stata concepita sul vuoto per offrire ai suoi abitanti un riparo naturale dalla catastrofe del mondo (p. 52)
Sempre più spesso di notte bisognava fuggire. Non avrei mai dimenticato l'ebbrezza di quei momenti. L'udito prendeva il sopravvento su tutti gli altri sensi. Mi sono sempre chiesta se il terrore sarebbe stato uguale senza la sirena dell'allarme antiaereo. Un urlo sovrumano che entrava nella pelle, scuoteva muri e finestre, faceva tintinnare i vetri come bicchieri che cozzano per un brindisi (p. 51)
Numerose saranno le descrizioni delle fughe notturne di Cenzina e della sua famiglia - il marito Pasquale e le due figlie Sofia e Anna - e anche le digressioni nel suo passato, che ci aiutano a capire meglio il suo carattere, i suoi conflitti, il perché di certe scelte. Una donna che, di facciata, sembra avere tutto - soldi, affetto, una famiglia - eppure profondamente insoddisfatta, incompleta in qualche maniera. Le ragioni vanno ricercate in un'infanzia dolorosa, a cavallo tra una madre e un fratello molto amati/odiati ma assenti e uno zio ricco che farà di tutto per trattarla come una figlia, incluso trovarle un buon partito per contrarre un matrimonio vantaggioso.
A un certo punto della narrazione, in piena guerra, Cenzina e tutti gli abitanti del condominio in cui vive, accoglieranno David e Yossi, due aviatori polacchi ebrei che precipitano proprio in città, nascondendoli nelle cantine. Il rischio è altissimo, ma Cenzina spinge appassionatamente per la carità cristiana. Curioso questo aspetto perché Cenzina non è quel che si suol dire una vera credente: prega costantemente solo Santa Elena, in una sorta di viaggio spiritico in cui la santa le parla e le vaticina in futuro.
Quasi una medium, proprio come lo zio.
"Dal buio della stanza" continuai lentamente, "emerse un'ombra. Era una donna con un mantello lungo fino ai piedi e una corona. Una regina. Avrei voluto chiederle, stringerle la mano, dire grazie ma non avevo nemmeno un residuo di forze. Alzò il lenzuolo, come aveva fatto il dottore, mi accarezzò la pancia e il dolore si acquietò all'improvviso [...] (p. 65)
La risoluzioni dei conflitti presenti nel testo nonché dello spettro onnipresente dell'abbandono, come dicevo, confluiranno durante quelle quattro giornate decisive, in cui il popolo napoletano, stanco per la fame, i soprusi e le privazioni, si ribellerà ai nazisti.
Si tratta di un romanzo, nonostante la tematica, "leggero", scorrevole, si legge davvero in un pomeriggio. Interessante che la vicenda si rifaccia a un personaggio realmente esistito, proprio Cenzina, la nonna dell'autrice: nelle sue parole, la volontà di non dimenticare una pagina della storia della sua famiglia e della città stessa che si riassume nella solidarietà, in un passato che pare lontano, ma che, a guardare bene, è quasi accanto a noi, perché seppure il titolo ci dice che la guerra non torna di notte, il testo ci insegna che è proprio quello il momento di maggiore pericolo, il momento in cui c'è bisogno di stringersi.
Deborah D'Addetta