di Beatrice Vallejo
Bompiani, settembre 2023
pp. 224
€ 18 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Coloro che oggi chiamiamo eroi, un giorno furono creature percosse dalla sventura. Dalla vendemmia della sofferenza si distilla il vino delle leggende. Io la sofferenza la conosco, e il dubbio, e la paura, pesante zavorra, ma ho anche sperimentato la redenzione e la consolazione delle parole. Adesso lo so: io sono in grado di scrivere questo poema. Ho trovato la mia voce. (p. 206)
Quando mi avvicino a una riscrittura romanzesca dell'epica, che cosa mi muove ogni volta a dire: sì, voglio leggerla? Credo che sia il desiderio di vedersi animare sulla pagina personaggi che ho molto amato nel contesto originario, a costo di venire a patti con la fedeltà all'opera epica e qualche volta con la verosimiglianza.
Felice dell'interesse che sta suscitando l'Eneide negli ultimi anni, testimoniato ad esempio dalla coraggiosa svolta inventiva di Marilù Oliva nel suo L'Eneide di Didone, ho iniziato con altissime aspettative Il mio arco riposa muto, definito in copertina "il romanzo dell'Eneide". Dunque, qualcosa di finzionale è previsto fin dalla definizione stessa dell'opera. Ma che cosa ha ideato Irene Vallejo, filologa classica e scrittrice che ha fatto molto parlare del suo Papyrus?
In questo romanzo, si parte dal naufragio di Enea sulle coste cartaginesi e dall'ospitalità ottenuta dopo molti dubbi da parte dei locali. Fin da subito attira l'attenzione dei lettori la scelta di narrare le diverse vicende con una focalizzazione variabile: sono gli stessi personaggi a prendere la parola per qualche pagina, mettendo letteralmente in scena - complice l'uso insistito del tempo presente - quanto vedono. Accanto a Enea e a Elissa (Vallejo preferisce il nome locale e più familiare di Didone), uno spazio particolare e delicato è riservato ad Anna, la sorellastra di Elissa, che è qui rappresentata come una preadolescente che non vuole crescere, ora che è ha trovato l'affetto del piccolo Iulio, il figlioletto di Enea. Se nell'originale virgiliano sono Giunone e Venere a pilotare più volte il destino di Enea, in Vallejo - scelta un po' singolare, che non sono riuscita a spiegarmi neanche a livello narrativo - troviamo solo l'apporto di Eros, che, con il distacco proprio di una divinità, non di rado commenta quanto sta avvenendo sulla scena.
Di tanto in tanto alle voci dei personaggi si alterna la voce di Virgilio stesso, che, spesso in chiave metapoetica, si interroga sulla scrittura del poema, sulle difficoltà che sta incontrando dopo che Ottaviano Augusto lo ha convinto a scrivere l'opera epica di Roma. Virgilio è un uomo in preda ai dubbi, fatica a convivere con la sua fama, preso com'è dai suoi problemi di salute e dall'incubo di non essere all'altezza del compito. Le pagine a lui dedicate sono così vivide che spiace siano così poche. In ogni caso, anche sulla sua biografia Vallejo si prende qualche libertà narrativa (un esempio: non si fa cenno a quel viaggio in Grecia e in Asia Minore dove il poeta contrae la malattia che gli sarà fatale).
Osservando il taglio narrativo dato all'opera e l'estensione temporale degli avvenimenti, avremmo potuto definire Il mio arco riposa muto "il romanzo di Cartagine", perché tutto si chiude alla ripartenza di Enea dal porto di Cartagine, con un veloce sguardo alle immediate conseguenze di tale evento su Didone e sulla città stessa.
Ciò che ho apprezzato di più nel testo di Vallejo è che l'autrice immagina ciò che Virgilio tace in quei mesi cartaginesi di Enea e Didone. Il libro IV, come molti di voi ricorderanno, a un certo punto passa in rassegna rapidamente le occupazioni dell'eroe e della regina durante i mesi del loro amore, così come paventa le possibili rivolte interne e le pressioni dei popoli circostanti all'idea che possa arrivare sul trono uno straniero. Irene Vallejo si inserisce morbidamente nei non detti, appoggia avvenimenti che si collocano senza alcuna forzatura nella trama originaria, come se andasse a rallentare e raccontare minutamente ciò che Virgilio ha invece sintetizzato.
Cosa emerge? Ad esempio, il tormento è soprattutto quello dell'esule Enea, che avverte il compito di trovare una nuova terra e, quando sembra dimenticarlo, ci sono i suoi uomini a ricordarglielo. Viene invece risolto piuttosto rapidamente il dissidio interiore di Didone, che invece nella prima parte del libro IV virgiliano prova a resistere in ogni modo all'amore, pur riconoscendo "i segni dell'antica fiamma". A tormentarla nel romanzo è semmai l'idea che il suo corpo stia iniziando a sfiorire e, dunque, nell'offrisi a Enea si preoccupa di non mostrarsi mai in piena luce. Anna è un personaggio molto più indagato - forse è il più originale e il più etereo -: non desidera crescere, perché sa bene che poi dovrà andare in sposa a un uomo che la tratterà come una sua proprietà, togliendole molta della libertà che adesso può ancora godersi. Preferisco non scrivere di Eros, perché, come già anticipato, risulta piuttosto privo di mordente, mancandogli sia il desiderio di protezione di Venere sia il livore acceso di Giunone.
Alla fine della lettura, mi è apparso chiaro che Il mio arco riposa muto ha il potere di farci riflettere sulla condizione mai pacificata dell'esule in una terra straniera. Insomma, è Enea a rilucere, lasciando un po' in ombra Didone-Elissa, di cui si è persa purtroppo la complessità. Questo romanzo resta una lettura piacevole, purché si tenga ben presente la distanza dall'originale virgiliano. O forse, si possono integrare fruttuosamente la scrittura piana di Vallejo con l'esametro virgiliano.
GMGhioni
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