Romeo e Rosalina
di Natasha Solomons
Neri Pozza, settembre 2023
Traduzione di Alessandro Zabini
pp. 352
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Sto riscontrando una certa difficoltà nell’organizzare in modo critico e puntuale i pensieri derivati dalla lettura di Romeo e Rosalina, il romanzo storico di Natasha Solomons appena pubblicato da Neri Pozza. Una difficoltà che non è dovuta tanto al giudizio nel complesso negativo dell’opera, quanto alla resa delle ragioni che mi spingono a ricordare più i difetti e le mancanze di questo libro dei suoi punti di forza, che pure non mancano. E forse all’origine un fraintendimento di intenzioni, per quello che invece nella mia lettura si è rivelato un testo più vicino al romance che al romanzo storico, un retelling decisamente interessante nelle intenzioni ma non così riuscito nella sua effettiva resa. Un genere, quest’ultimo, che costituisce una vera e propria tendenza nel mercato editoriale contemporaneo, non solo italiano, forte del grande successo de La canzone di Achille, di Madeline Miller, che ha acceso l’interesse sulle riscritture, in molte forme e con esiti diversi.
Il romanzo di Solomons si ascrive a questo filone, riprendendo due delle figure più emblematiche della tradizione letteraria occidentale, Romeo e Giulietta, non per rinnovare il dramma shakespeariano ma dando voce e corpo a quello che nell’originale è solo un nome e poco più: Rosalina, la donna di cui Romeo era infatuato prima di conoscere Giulietta. Rosalina, che nella tragedia è menzionata qui e là ma mai appare fisicamente in scena e non pronuncia neppure una parola, è però vittima del giudizio e della manipolazione degli uomini che ne fanno il ritratto. Solomons restituisce voce e corpo al personaggio, attingendo per la sua Rosalina anche ad altre omonime o quasi, che appaiono in differenti play shakespeariani, come Pene d’amor perdute e Così è se vi piace. E nel plasmarne la storia, nel fornirle una voce, ribalta ogni idea che avevamo di Romeo e della sua tragica storia con Giulietta. Una scelta che personalmente ho trovato anche interessante, senza dubbio piuttosto coraggiosa, perché certo non è cosa da poco confrontarsi con storia e personaggi tanto radicati nell’immaginario collettivo; così radicati, in effetti, da essersi anche un po’ allontanati da ciò che sono nel testo originale, che pure non manca di ombre e ambiguità nel raccontare l’amore tra la giovane Giulietta e il suo Romeo. Perché è proprio lì in fondo che risiedeva il genio di Shakespeare: la capacità di scandagliare gli abissi più profondi dell’animo umano, raccontarne le virtù e soprattutto i vizi, le zone d’ombra, le ambiguità, le passioni. E se in qualsiasi corso di letteratura elisabettiana e manuale dedicato insegnano che l’opera shakespeariana è grande proprio per la sua capacità di trascendere il tempo e lo spazio come tali sono le passioni umane, non può stupirci né tantomeno scandalizzarci che testi e personaggi vengano costantemente riletti, manipolati, adattati a nuovi mezzi espressivi e contesti storici.
Il romanzo di Solomons, quindi, parte da premesse molto intriganti e per tutta la prima parte, almeno dal punto di vista della trama, regge piuttosto bene. Quell’infatuazione tra Romeo e Rosalina cui Shakespeare accenna, prende vita nelle pagine di Solomons, rivelandosi qualcosa di molto diverso da ciò che ci si aspetterebbe e plasmando un Romeo di conseguenza assai distante dal personaggio che conosciamo. Rosalina è una Capuleti, rimasta orfana di madre per via della peste che affligge la Verona del periodo e che al seguito del padre sta scappando dalla città infestata per trovare rifugio in campagna, nella dimora di famiglia. Gravata dalla perdita, è presto messa di fronte al destino che il padre ha scelto per lei: la attende il convento, di lì a pochi giorni.
Una donna doveva avere un marito, oppure chiudersi in convento. Rosalina sapeva che suo padre aveva sempre creduto in questo adagio. (p. 22)
Masetto Capuleti ha già un figlio maschio che gli ha fornito eredi in numero adeguato e la dote per la figlia sarebbe quindi sprecata; meglio scegliere la strada del convento, concedendole qualche agio, come sostiene fosse volere della madre stessa. La notizia sconvolge Rosalina che appena sedicenne si vede già esclusa dalla vita, costretta a rinunciare al mondo e all’amore per trascorrere i suoi giorni nella prigionia del convento. Ne ha pure qualche ricordo, attraverso le visite sporadiche alle zie, private di ogni contatto con il mondo esterno, chiuse per sempre lì dentro.
Ma non è il tempo perché una donna possa decidere da sé il proprio destino, non del tutto almeno. Acconsente a entrare in convento, a patto di avere dodici giorni per godere ancora del mondo esterno e, senza farne menzione con nessuno, scoprire un po’ di più della vita e dell’amore. Da qui, l’incontro fatale con Romeo Montecchi, abile incantatore, bellissimo ed esperto. Cade facilmente nella rete di un affabulatore tanto affascinate, estranea com’è alle attenzioni, alle parole gentili:
Nessuno le parlava mai così, anzi, spesso nessuno le parlava. Si sentiva quasi sempre invisibile, come se fosse priva di corpo. (p. 61)
È ideale appiglio alla Rosalina senza corpo e voce dell’originale shakespeariano, in un parallelo che porta però alla rovina. Quasi sempre ignorata, Rosalina si sente finalmente vista, eppure le parole del bel Romeo le suonano già in principio un po’ artificiose, quasi che fosse un attore abituato a recitare quella parte. Campanelli d’allarme, diremmo oggi, cui ne seguono di sempre più pericolosi. Romeo è ben diverso da ciò che appare e dall’immagine che di lui ne abbiamo, eroe romantico e tragico perdutamente innamorato e sincero. L’uomo tratteggiato da Solomons è manipolatore e scaltro, maestro dell’inganno e della menzogna che nelle sue trame è aiutato da un fitto sistema di malvagità maschile, a cui una donna difficilmente riesce a sottrarsi.
L’infatuazione per Romeo annebbia il giudizio di Rosalina, eppure in lei c’è già il seme del dubbio, e nella resa alle richieste di lui si delinea chiaramente una stortura dell’amore che non conosce tempo e luogo:
Adesso che il momento era vicino, non era sicura di desiderarlo così tanto come aveva pensato. Senza sapere perché, si sentì soffocare dal pianto come se una crosta di pane le fosse rimasta in gola, ma lo ricacciò indietro prima che lui se ne accorgesse. Non voleva essere giudicata infantile, né cupa e scontrosa. Voleva il suo amore. Doveva essere come un girasole che volge la propria corolla al sole. (p. 97)
Qui si innesca la lettura femminista di cui Solomons investe il personaggio di Rosalina, eroina moderna e caparbia che cerca la propria vendetta. Una mossa intrigante, con l’intento di ripensare la storia in chiave contemporanea alla luce delle urgenze dell’attualità, ma che, ahimè, fa troppo spesso sorgere il dubbio che sia in fondo più il desiderio di cavalcare l’onda che una trattazione davvero riuscita e capace dell’argomento, soffocato da mille altri spunti, inadeguato approfondimento psicologico di personaggi e certe scene, una lingua che la pur accurata traduzione di Alessandro Zabini non ha potuto più di tanto nobilitare. Se tuttavia la prima parte del romanzo concede anche qualche spunto di riflessione interessante e alcuni dettagli degni di nota, da un certo punto in poi i difetti strutturali e formali di Romeo e Rosalina sono troppo frequenti per essere ignorati. Parte che coincide con l’arrivo sulla scena di Giulietta e l’intreccio più stretto con il testo originale. Sia ben chiaro, la mia come si dovrebbe essere capito non è una critica rivolta alla riscrittura, che in generale difendo e di cui non mancano esempi importanti; ma il confronto con un testo specie se tanto noto e radicato nella nostra cultura letteraria è assai difficile e l’autore deve reggere saldamente le redini della narrazione, cosa che purtroppo mi pare nella seconda parte sia mancata a Solomons. È chiaro che l’autrice conosce il testo originale, questo non è messo in dubbio, eppure troppe sono le forzature della trama, le incongruenze, le pieghe della storia ignorate malamente.
Forse sarebbe bastata una premessa differente, un prologo che indicasse al lettore come ciò che della storia dei due sfortunati amanti si è tramandato nei secoli forse sia soltanto una delle versioni possibili e questo finale – idealmente – quello più aderente alla realtà. Di certo sarebbe servita più cura del testo, una maggior presa sulla narrazione e, perché no, un lavoro di editing a monte – non parlo quindi della versione italiana, che si basa “semplicemente” sulla traduzione dell’opera – per smussare i difetti più evidenti. È come se la scrittura di Solomons fosse un fiume in piena che nessuno ha potuto arginare: in certi punti l’impeto è una forza narrativa assai intrigante, ma in altri è solo una piena che travolge ogni cosa. Ci sono poi una premura nelle ultime battute e una deriva splatter di certe scene dell’ultima parte che sono davvero difficili da spiegare.
Tante, troppe cose restano in sospeso o trattate frettolosamente, in modo superficiale: diceva Cechov che se c’è una pistola in scena ecco, prima o poi quella pistola deve sparare; si riferiva all’arte minuziosa del racconto, è vero, ma certe regole narrative dovrebbero essere seguite anche dal romanziere, specie se non alle prime armi. Qui ci sono invece numerose pistole che mai sparano e di cui quindi non è chiara l’utilità in scena; ci sono spunti e domande che non trovano risposta quando invece dovrebbero. C’è, forse, una sovrabbondanza di cose, idee, richiami e sottotrame che non si è riusciti efficacemente a incanalare nella narrazione e che quindi si palesano così, evidenziando le mancanze.
Difficile quindi ignorare i difetti di questo romanzo, che pure ha del potenziale e che, di certo, ha il pregio di aver dato voce a un personaggio intrigante come quello di Rosalina, uno spettro che si aggira tra diverse opere di Shakespeare e che in sé rappresenta il dramma delle donne vittime dell’inganno maschile e degli abusi di cui la violenza fisica è solo una delle forme che possono assumere e la più immediatamente riconoscibile ma non l’unica.
Per un attimo si sentì perseguitata da Romeo. Il suo corteggiamento non sembrava più una danza gioiosa: era una caccia, e lei era la preda. (p. 176)
Una storia di ombre che ci ricorda, come si diceva all’inizio, quelle stesse ombre che spesso ignoriamo ma che esistono già nell’originale shakespeariano, la cui lettura è troppo frequentemente falsata dal filtro dell’amore romantico e tragico. Ed è, questo è certo, l’ulteriore prova del genio inesauribile del drammaturgo inglese, capace davvero di trascendere il tempo e lo spazio in un dialogo ininterrotto con la contemporaneità.
Debora Lambruschini
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