La sua paura si era fatta concreta quanto l’esame del sangue che aveva riscontrato una misteriosa sindrome mai sentita nominare. Gli esiti di quel particolare esame erano stati spediti con urgenza a Londra, dove avevano confermato i sospetti, ma risposte inequivocabili non ce n’erano. […] Yael sperava ancora che la faccenda si sarebbe risolta da sé, chiusa. Era da quel medico perché la rassicurasse con una prognosi più favorevole. L’ultimo appiglio. «Trenta per cento di probabilità di malattia genetica» aveva affermato lui, come se quel suo embrione, di cui aveva appena cominciato a sentire i primi movimenti non fosse che un irrilevante dato statistico. (pp. 56-57)
Due sorelle con storie d’amore infelici, che tornano alle origini per un nuovo inizio. Ma sarà veramente un buon inizio? Lascio al lettore la scoperta delle vicende amorose di Yael e Gali; qui interessa sottolineare l’equilibrio compositivo del libro, le figure ben delineate di Yael e di Gali, quelle dei nonni delle due donne, Yoske e Sofie, che vivono nella nostalgia della figlia morta di cancro nel pieno degli anni e nel segreto che hanno tenuto nascosto proprio nella casa di Zipa, nella soffitta al secondo piano, per cinquant’anni.
Com’è possibile che non abbiamo mai saputo di lui? Chi dice che non sapevate? Ci sono tante cose che il cuore sa, ma noi preferiamo dimenticare. (p. 59)
Disseminati tra le pagine, a volte lunghi quanto un breve racconto a volte solo qualche rigo, degli squarci di narrazione corale spezzano la storia raccontata in terza persona da un narratore onnisciente: sembrano le voci all’unisono degli abitanti del villaggio che lamentano la terribile siccità o suggeriscono, senza rivelare troppo, qualche brandello di un importante segreto. È proprio a causa di questi segreti inconfessabili che sul villaggio non piove, ragion per cui la poca acqua a disposizione viene razionalizzata o fatta pagare fior di quattrini dai fraudolenti gestori dei contatori. Talvolta queste interruzioni, scritte in corsivo, sono i pensieri o i ricordi che affiorano alla mente e al cuore di Yael, che possiamo considerare la vera protagonista del libro.
Toccante e indimenticabile è anche sua nonna Sofie, che incarna l’archetipo della nonna/madre forte, generosa, regina della casa, disposta a qualsiasi sacrificio, anche a barattare la propria anima in punto di morte per un miracolo a favore dei suoi cari. E il lettore scoprirà anche cosa chiederà Sofie al cielo!
Poleg ha scritto un esordio che sembra già maturo, grazie a una penna smaliziata ed elegante che si muove con disinvoltura tra le pieghe della storia, distribuendo e bilanciando momenti drammatici e uscite ironiche che alleggeriscono la storia nel momento giusto. Siamo davanti a un libro assolutamente armonioso e godibile, dalla tematica forte, a cui si alternano passaggi ironici e punte tragicomiche. Non ci sono riferimenti alla storia del popolo ebraico e neppure alla religione: in questo romanzo le stesse Yael e Gali vivono in una realtà in bilico tra una modernità “occidentalizzata” e un passato rurale, antico, legato alle tradizioni, di cui, evidentemente, non sono riuscite a liberarsi.
Gali davvero non capisce. Ci prova, ma le è impossibile comprendere la mitizzazione di quel posto, di quella valle che rappresenta l’apice della realizzazione del sionismo e dei suoi valori. Quando le persone sentono da dove arriva restano sempre sorprese, e alla sorpresa segue immancabilmente l’ammirazione. Eppure, nonostante lì sia nata e lì siano le sue radici, Gali si è sempre sentita estranea. Forse perché l’estraneità è uno stato d’animo, o forse perché fin dall’inizio non si è adeguata […]. (p. 108)
In un paese in cui tutti invocano la pioggia (tranne Gali che ha organizzato il suo matrimonio all’aperto), si consumano le vicende di una famiglia ebraica schiacciata dal peso di un segreto inconfessabile e dalla pesante ombra di un’assenza.
A questo punto l’unica cosa che potrebbe salvare la situazione è la pioggia. Una pioggia fitta, violenta, scrosciante, una pioggia che lavi la terra e schizzi con una striscia di fango lo zoccolo delle case. Una pioggia che cancelli anni di polvere e penetri sotto lo spesso strato secco del suolo. (p. 152)