Provo a obiettare che mio padre non è che deliri, è proprio cattivo e violento, e a lungo andare genera cattiveria e violenza in chi gli sta accanto. (p. 67)
Cosa non si farebbe per vincere le elezioni?! Lo abbiamo detto tante volte ascoltando discorsi politici in tv o assistendo all'ultimo ritrovato della propaganda per smuovere gli elettori sui social. Nel suo La conca buia, Claudio Morandini, autore di talento già recensito sul nostro sito, ci presenta una campagna elettorale decisamente sui generis. Ambienta il romanzo in montagna - cosa a lui cara -, ma questa volta il protagonista è un sindaco uscente che spera nella rielezione: Franco Gavaglià ha perso l'aspetto da alpinista e pare ormai un cittadino pigro e avvezzo a ingurgitare troppe calorie. Neanche questo basta però a riempire un vuoto di affetti che avverte e che ha radici profonde. Negli anni, mentre dimenticava le bellezze delle sue montagne, ha invece imparato a venire a compromessi in tante (troppe, pensiamo noi lettori) occasioni.
Ora che si avvicinano le nuove elezioni, a un collaboratore di Franco viene un'idea: farsi affiancare nei vari impegni istituzionali e nei proclami dal vecchio Gavaglià. Il padre di Franco, in fondo, è sempre stato un vero uomo di montagna, di poche parole, abituato alla fatica e a stare in mezzo alla natura, con le sue bestie al pascolo e le scarse comodità date dall'altitudine. Questa è la visione comune. Ciò che gli altri non sanno fino in fondo, nonostante Franco cerchi di spiegare quanto sia terribile il rapporto con lui, è che il padre è sempre stato violento fino al midollo, sadico, avvezzo a provocare dolore e umiliazione sia al figlioletto sia alla moglie:
Quando ero piccolo papà a volte fingeva di dormire: e se mi avvicinavo troppo mi afferrava il collo, per tirarmi a sé. Non mi lamentavo per il dolore, perché sapevo che non sarebbe servito. Lui, in un raro momento di confidenza, aveva detto che si esercitava su di me per non sbagliare con le bestie. Coltivava un'attitudine da predatore solitario, con me e con i mosconi che catturava al volo, velocissimo, muovendo una mano sola e rimanendo immobile con tutto il resto del corpo. (p. 215)
Non c'è mai stata pietà in lui, neanche quando sua moglie ha iniziato ad avere problemi fisici e mentali. Ed è per questo che il figlio Franco fatica anche solo a pensare di potersi portare appresso il padre in occasioni ufficiali, da cui potrebbe dipendere la sua immagine pubblica e, quindi, il risultato delle elezioni. Gli sembra che le uscite di suo padre potrebbero rovinare il suo lavoro di anni. Poi, un'idea si affaccia, timida, sotto forma di domanda: «Come rendere innocuo mio padre durante gli incontri elettorali?» (p. 65), e questa è già una parziale apertura a un progetto di per sé molto pericoloso e moralmente discutibile. Basta tenere il vecchio sotto antidepressivi e ansiolitici, costringendolo a uno stato di torpore tale per cui agli occhi di tutti apparirebbe solo come "un povero padre anziano e inoffensivo", mentre Franco sembrerebbe il figlio amorevole, che spinge la carrozzina e si prende cura del genitore.
Questa, che inizialmente pare un'idea balzana, prende forma davanti ai nostri occhi di lettori e non ci vuole molto perché Franco eserciti tutto il suo potere sul padre, una volta tanto, come se si trattasse di una silenziosa vendetta. Persino Leda, la figlia di Franco, narrataria del romanzo, non sa quale piano sia stato architettato; si preoccupa, anzi, per il nonno, che sembra in progressivo decadimento fisico e mentale. Anche Leda sminuisce gli episodi di violenza che il padre le racconta, perché è abituata alle "sparate" di Franco e pensa che stia ingigantendo tutto. È davvero così o Leda, personaggio moralmente integro, non riesce a sfondare le pareti del quieto vivere? Cosa sta succedendo davvero? E, soprattutto, il monologo che Franco io-narrante tiene con la figlia Leda nel corso di tutta la narrazione basterà a scagionarlo dai sensi di colpa della sua coscienza, che di tanto in tanto si fanno comunque sentire?
Mentre seguiamo le diverse occasioni in cui padre e figlio si trovano a condividere spazi, palcoscenici, processioni, ci chiediamo dove possa portare un accanimento terapeutico del genere. Perché in effetti il vecchio Gavaglià sembra essere sempre più sonnolento e meno reattivo; persino camminare gli costa una fatica immensa e non parla quasi più.
Questo romanzo è profondamente intriso di dilemmi etici, risolti qualche volta con ironia, altrove con amarezza. E non di rado le due componenti - ironia e amarezza - si intrecciano mentre seguiamo con ammirazione la prosa decisamente curata della Conca buia. Romanzo che sfugge alle mode editoriali del momento, a cominciare da un lessico sorvegliato e da una sintassi ritmata con una ricerca che raramente si trova in un romanzo contemporaneo, La conca buia è anche interpretabile come una drammatica resa dei conti tra un figlio ormai adulto e un anziano che regredisce, sullo sfondo degli intrighi politici. Intrighi ridotti all'osso, quanto la vita di montagna, che porta all'essenzialità.
Morandini è maestro nel prepararci scene imprevedibili e svolte decisamente memorabili, che porteranno i protagonisti a sperimentare i propri limiti. Fisici, mentali, morali, di sopportazione, di disperazione.
GMGhioni