di Giulia Della Cioppa
Alter Ego, 16 novembre 2023
Mi bacia sul ventre, lì dove tutte le cose nascono, lì dove inizia la vita, lì dove torna. (p. 120)
Margherita vuole uccidersi e mica ci riesce, va in coma e forse non si sveglia più, chiunque la dà per morta, sua madre soltanto non si dimentica di lei - anche se sotto sotto la detesta. Finché arriva Bianca davanti a quel suo letto immobile, come il corpo, e ogni giorno in ospedale la pulisce, accudisce - sorveglia - e poi le parla, tantissimo le parla, a quel corpo fermo ripete che fermo non può stare, che a ventisei anni si deve essere in vita, prendere aria e coraggio, e poi la tocca, con le dita e con la bocca, poco a poco, fino in fondo: Margherita sta scivolando nel mondo dei morti ma Bianca l'attende nel suo.
Mi tocca la faccia e tampona, controlla che io ci sia, che ancora esisto. (p. 66)
Forse la letteratura deve inquietare, piantare germi d'incertezza, e certe strane associazioni non si possono ignorare: ci sono testi che si parlano, hanno in comune la vicinanza anagrafica di chi le scrive, hanno in comune l'urgenza di fuga dalla vita, e raccontano ragazzi e ragazze che questo mondo qua non lo reggono e allora se ne allontanano. Non bisogna scavare troppo nel passato, l'avevamo visto con Gaia Giovagnoli; in Chiedi se vive o se muore (Nottetempo, 2023) il compagno della protagonista tentava il suicidio e diventava oggetto di narrazione, Giulia Della Cioppa si spinge invece a fare del quasi suicida il soggetto stesso, diventando prima persona fantasma di una storia e di un luogo. E poi il coma c'era anche in Lei che non tocca mai terra (NN, 2021) di Andrea Donaera, e allora a far riflettere non è tanto da che parte del letto si sta - se di quel letto si è ospiti o spettatori, se la necessità di farla finita si sia concretizzata o rimasta solo un'idea - ma il fatto che la morte sia una delle possibilità da considerare per chi si sta facendo grande, la risoluzione più cupa di un'età vulnerabile, così opprimente da spingere a volersi mettere da parte, a scacciare lontana la vita degli adulti.
Non la capisco proprio questa tendenza spasmodica ad attaccarsi alla vita. (p. 37)
Ventre insinua il dubbio della vita, si chiede se sia un dono o una maledizione, ci parla di un altrove risolutorio, ma nella sua morbosa e tormentata durezza c'è un però. Si chiama Bianca, un nome piantato non a caso tra le tenebre della solitudine. Una solitudine che si interrompe per contatto, tra pelle e sangue, tra occhi e anima. Ma chi è Bianca? Lo spiraglio di luce o il fondo dell'oscurità? Bianca guarda tutto il giorno Margherita e non s'accorge che le fa da specchio dei suoi tormenti, Bianca la vuole salvare ignorando che ha bisogno di salvezza anche lei.
Mi guarda alla fine di un gesto che sembra un'azione premeditata, ragionata. Tocca il telo di nuovo, mi svela. Lo fa lentamente, accompagnando il lenzuolo con i passi ai piedi del letto, ai piedi e basta. Si siede accanto a me, mi scopre la pancia e ammucchia la maglietta fino alle tette, coperte. Il diaframma, il fegato, resta qualche secondo, i reni, la milza, il pancreas, l'intestino, l'appendice. Ruota attorno all'ombelico, come se non sapesse dove andare con l'indice. L'hai perso? Hai perso il segno? Peritoneo, anse intestinali. Avvicina la bocca alla pelle. "Magra, liscia e porosa." Infila la lingua nel mio ombelico, vedo l'arco rosso, la saliva, le sue labbra gonfiarsi e sgonfiarsi, vedo la carne viva. Di vivo qui non c'è proprio niente, solo tu, Bianca. (pp. 39-40)
Mi morde la vita. Bianca mi morde la vita, il ventre e l'inguine, l'ascella, il petto, la gola, la spalla. Mi pungola. La sua smania di vedermi pronunciare un segno di vita, una reazione di rabbia e di dolore, un movimento fisiologico. "Neanche così senti?". Mi mette sul lato. Mi morde la schiena, la scapola, la spina dorsale. Affonda i denti nella carne che trova, sottile in quelle zone, il gomito, il polso, il dorso della mano. Mi sfianca e mi smuove.
"Non puoi non sentire. Io sono la persona che meglio conosce la pelle, fiorellino. Non puoi non sentire."
Non conosci la mia meglio di me.
Ritorna sul mio corpo. É sudata, umida intorno alle labbra, respira con l'affanno. Gli occhi infossati nella pelle. Ha il viso stanco, disperato. Mi punta la luce negli occhi, preme il pulsante per aumentare di luminosità, di un grado, di due.
"Sbatti gli occhi due volte".
La guardo e non lo faccio.
"Margherita, ti chiami così".
Sì, mi chiamo così.
"Sbatti gli occhi due volte".
Una e due. Hai vinto. (p. 58)
Mi chiami Margherita solo quando devi darmi gli ordini. Sembri mia madre. (p.80)
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