Le ombre bianche
di Dominique Fortier
Alter Ego, settembre 2023
Traduzione di Camilla Diez
pp. 244
€ 18 (cartaceo)
Emily Dickinson. Poesie d'amore. Testo inglese a fronte
a cura di Massimo Bacigalupo
Bompiani, luglio 2023
Traduzioni di Margherita Guidacci e Ariodante Marianni
pp. 144
€ 10 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)
Anni fa – era il 2019 per la precisione – scrivendo a proposito del Meridiano dedicato a Emily Dickinson dicevo che a un certo punto della mia vita avevo sentito l’esigenza di scoprire la poetessa americana liberandola dalla leggenda che nel tempo l’aveva avvolta; all’epoca guardavo con una certa diffidenza o fastidio alle varie manipolazioni del personaggio, dell’opera, della sua legacy. Per certi versi oggi ho in parte mutato quelle opinioni. Mi spiego meglio: studi e ricerche che si sono susseguiti nel tempo mi hanno permesso di leggere la poetessa svincolandola dall’immagine pop, dagli stereotipi, dalle sterili considerazioni che poco hanno a che fare con la critica letteraria; similmente a quanto mi accadde con Charlotte Brontë, che con Dickinson condivide per certi versi la costruzione di una leggenda intorno alla personale figura. Quello che è mutato più o meno radicalmente – e qui vado a reclamare il diritto di cambiare idea, nella vita come nell’arte – è la mia disposizione verso quelli che all’epoca definivo rimaneggiamenti, manipolazioni e che oggi invece nelle loro esecuzioni migliori mi appaiono per quello che forse sono realmente: il rinnovarsi di un’ispirazione che non può esaurirsi.
In questi esperimenti, tributi, retelling o che altro nome e declinazione assumano, leggo la fascinazione verso il personaggio e ancora di più verso la sua opera che ha ampiamente travalicato confini geografici e temporali con immutata forza e dirompenza. E li osservo mettendo a tacere il rigore accademico per avventurarmi in quelle terre straniere di evocazione, omaggio, invenzione. Tra le opere letterarie più recenti di questo tipo penso immediatamente ai contributi di Dominique Fortier, ricercatrice e scrittrice canadese che alla figura di Emily Dickinson aveva già dedicato un bellissimo testo pubblicato nel 2020 da Alter Ego edizioni e che ora approda di nuovo in libreria per la stessa casa editrice e traduttrice, Camilla Diez, con un’altra opera incentrata sulla poetessa: Le ombre bianche, uscito a inizio settembre a un anno dalla sua prima apparizione, riprende idealmente il discorso del volume citato in precedenza – mentre a livello di pubblicazione è stato intervallato da un altro lavoro notevole quale E tutt’intorno il mare, sempre Alter Ego – così come ne riprende la forma ibrida tra romanzo, saggio, memoir.
In modo simile anch’io riprendo il discorso su Emily Dickinson, per mezzo di questo libro e di un’altra pubblicazione recente, la selezione di poesie curata dal prof. Massimo Bacigalupo per Bompiani, con testo inglese a fronte, ma anche attraverso – lo confesso – la serie televisiva Dickinson trasmessa su Apple Tv. Lo riprendo, dicevo, con immutato amore per i versi di Dickinson, che a ogni esperienza di lettura si svelano diversi e con, invece, mutata opinione sulla malleabilità di una storia, un personaggio, un’idea. E se la serie tv potrebbe rientrare in quella categoria di guilty pleasure che su queste pagine in fondo non ha molta ragione di sostare a lungo – altro discorso quel guilty legato al pleasure, un accostamento che quasi mai mi pare opportuno – i due volumi citati, la selezione di poesie d’amore di Bompiani e il testo di Fortier, a cui si aggiunge inevitabilmente il Meridiano Mondadori di cui già in apertura, sono invece strettamente connessi tra loro, nell’ottica di un dialogo letterario più ampio.
Con Le ombre bianche Fortier, si diceva, riprende in un certo senso il discorso interrotto alla fine de Le città di carta, ma lo fa scegliendo un’angolatura differente: Emily Dickinson è ancora il cuore pulsante della narrazione, la attraversa e ne imbeve ogni pagina, ma è in realtà un fantasma; la narrazione si innesca infatti all’indomani della sua scomparsa e ciò che l’autrice immagina è quello che viene dopo, nell’intimità di chi più di altri l’ha amata o ammirata e la strada che porterà alla prima edizione delle sue poesie. Fortier, in una storia al femminile, restituisce quindi anima e corpo a Lavinia, Susan, Mabel: sorella, cognata-amica, amante del fratello e prima curatrice delle poesie. Tre donne reali – come in buona misura lo sono i fatti principali e quelli che hanno portato alla pubblicazione – su cui si innesta l’invenzione letteraria, a diversi gradi di libertà e immaginazione.
Lavinia è la custode della casa e dell’eredità della sorella e risponde immediatamente alla richiesta di Emily di distruggere le numerose lettere di una corrispondenza con amici, parenti e intellettuali durata tutto il corso della sua vita. Le getta nel fuoco, come da sua volontà.
Poi Lavinia apre l’ultimo cassetto. Ne scaturisce una valanga di foglietti, soffiati fuori da una tempesta invisibile. Come uno stormo di gavine, prendono il volo pezzi di buste strappate, angoli di sacchi di farina, lembi di pacchetti di zucchero, ritagli di carta con cui si avvolgono le spezie, e poi pezzi di liste, perfino frammenti di spartiti musicali. Si sprigiona un odore di cannella, cioccolato, sapone e pepe nero. (p. 34)
Quelle parole sono ormai impossibili da rinchiudere nel cassetto. Inizia così, tra realtà e invenzione letteraria, il cammino delle poesie di Emily nel mondo, non più attraverso le lettere e i bigliettini ad amici e destinatari della sua corrispondenza ma in forma compiuta di libro.
È a Susan che Fortier immagina Lavinia si rivolga per prima quando avverte il desiderio di pubblicare i versi della sorella da poco scomparsa; oltre che cognata (è sposata con il loro unico fratello, Austin)
Susan è soprattutto l’amica più intima di Emily e il dolore per la sua perdita è lo stesso di quello di Lavinia, forse perfino amplificato nella folla di fantasmi e mancanze che è diventata la sua vita adulta. Ma è proprio questo dolore a farle rifiutare l’idea, forse il desiderio di preservare per sé stessa una parte dell’amica perduta.
Su suggerimento del fratello, Lavinia si rivolge così alla terza protagonista di questa storia, Mabel, l’amante di Austin: non ha mai conosciuto Emily di persona, nonostante lo abbia desiderato intensamente – e dalla quale ricevette però un bigliettino e una poesia, per ringraziarla dell’esibizione al pianoforte cui aveva assistito nascosta – , ma, nella ricostruzione di Fortier, è rimasta profondamente attratta dalla figura riservata eppure potentissima della donna vestita di bianco; Mabel è una donna dalle forti passioni e idee, che rifiuta i codici morali imposti dalla società vittoriana al suo sesso e che, forse, nutre ambizioni che il talento come musicista non ha potuto soddisfare. Accostare il suo nome – come curatrice delle opere – a quello della straordinaria Dickinson le darà l’ebrezza dell’eternità.
C’è ancora una terza figura femminile protagonista seppur defilata di questa storia; si aggira tra le stanze a passo leggero e parlando sottovoce, non del tutto consapevole di quello che sta accadendo nel mondo degli adulti, anche lei in qualche modo ammaliata dal fascino della signorina Emily. È Millicent, la figlia di Mabel, bambina timida dall’animo sensibile, che Fortier tratteggia mirabilmente, dandole con buone probabilità un ruolo ben più centrale di quello che è stato nella realtà ma che in questa storia, nei suoi aspetti più letterari, è pieno di fascino e mistero, così ben calato nella narrazione. Animo poetico, creatura dei boschi e del silenzio, Millicent decifra parole quando a tutti paiono incomprensibili, avverte la presenza di lei che non c’è più ma ancora permea l’aria e la vita di quelle stanze con la sua personalità ben più consistente della sua presenza fisica.
Tre donne, quello che resta alla scomparsa di Emily e che, ognuna in forme diverse, hanno contribuito a mantenerla in vita, a farla arrivare fino a noi.
Ho sentito il bisogno di scrivere la storia delle donne che le sono sopravvissute e che in qualche modo le hanno ridato vita: sua sorella Lavinia; la sua migliore amica e cognata Susan, moglie di Austin Dickinson; Mabel, l’amante di quest’ultimo; Millicent, la figlia di Mabel, ancora una bambina all’epoca dei fatti narrati. (introduzione, p. 7)
Ma accanto a loro anche la stessa Fortier, le sue riflessioni a intervallare la narrazione: il mestiere di scrivere, l’invenzione letteraria e la realtà, le donne che restano e i loro dolori.
Da quel cassetto sono usciti – e questi sono dati reali – 1775 frammenti: quaranta fascicoli cuciti artigianalmente da Emily, quindi set (sequenze di fogli non legati), numerosissimi scraps (ossia versi scritti su buste, carte, fogli di ricette…). Del fiume di parole di Emily solo sette poesie pubblicate quando lei era ancora in vita, in forma anonima e/o rimaneggiate dagli editori; molte, come si diceva, sono finite nelle numerose lettere che Emily scriveva, nei bigliettini che donava agli amici intimi. Quel corpus grandioso di 1775 frammenti, quindi, che ha visto la luce nella sua interezza – se di interezza possiamo parlare in effetti, perché è evidente che qualcosa sia andato perduto o volutamente distrutto – solo nel 1955, è fatto di tutto questo: delle parole fuoriuscite da un cassetto, dei versi salvati dalle lettere, dei biglietti conservati.
Le introduzioni e i commenti ai volumi Bompiani e Mondadori ci ricordano anche il tumultuoso lavoro di pubblicazione, che pure Fortier immagina in modo efficace e sentito mescolando dato storico e invenzione insieme alla partecipazione dell’essere lettrice di Dickinson e scrittrice. Il monumentale lavoro di raccolta – e potremmo dire bene di decifrazione della scrittura di Emily – fu effettivamente svolto alla fine da Mabel, che vi si dedicò con strenua tenacia e passione, nonostante la difficoltà del compito; a dare autorevolezza al lavoro, tuttavia, non poteva per i tempi che essere un uomo, il critico Thomas Higginson, con il quale Emily aveva avuto un certo numero di scambi epistolari. E fu sua la scelta di intervenire tanto pesantemente sui testi originali, per renderli più aderenti al canone contemporaneo, incapace di comprenderne la potenza dirompente che avrebbero poi garantito alle poesie di Dickinson l’immortalità.
Il 12 novembre 1890 viene quindi pubblicata questa prima edizione di poesie profondamente modificate, cui seguiranno altre due edizioni (1924-35) dopo il ritrovamento di altri testi da parte di Martha, figlia di Susan. È, dicevamo, del 1955 invece, la prima edizione critica maggiormente inalterata dei versi di Dickinson: un lavoro notevole, su cui si sarebbe poggiato tutto quanto a venire, curato da Thomas H. Johnson e che comprende appunto un corpus di 1775 testi, per la prima volta ordinati cronologicamente e nella loro forma originale.
Rimaneggiamenti, originale, eredità, sono parole che si rincorrono in queste mie riflessioni e che danno in parte spiegazione della natura conflittuale della gestione delle opere di Dickinson. Quale che sia il punto di osservazione e la lente che utilizziamo per entrare in queste storie, dall’invenzione letteraria al rigore accademico, dalla totalità dell’opera dickinsoniana alla selezione per tematiche/spunti, è innegabile quanto stratificate siano le considerazioni che coinvolgono l’autrice e la sua opera, la costruzione della leggenda, la potenza delle parole, la realtà e l’immaginazione.
Bacigalupo nel testo curato per Bompiani sceglie la lente del tema amoroso per operare una selezione delle poesie di Dickinson e già da qui potremmo aprire a innumerevoli considerazioni sulla natura del sentimento, gli interlocutori a cui si rivolge, l’appagamento di una vita scelta esattamente su misura per se stessa, svincolata da ogni pressione sociale esterna che non le appartenesse. Fondamentale, sempre e con Dickinson ancora di più, il testo originale a fronte, che ben ci fornisce misura del ritmo, della musicalità, delle scelte tipografiche operate. È «un istante d’estasi» di cui si paga angoscia commisurata, uno «sgualcito petalo d’un fiore» a innescare il ricordo di qualcosa di perduto, sono l’amore, la vita, la morte, inevitabilmente legate, che scaturiscono dai componimenti selezionati.
Il rigore accademico ci tiene ancorati a terra, ma le parole ci portano altrove, più in alto e le poesie sembrano compiersi davvero solo in dialogo con noi lettori ed è l’invenzione di Fortier a farcene rendere conto in modo tanto immediato:
Ciò che Mabel percepisce e che Higginson si rifiuterà sempre di vedere, è che Emily non ha mai scritto altro che poesie a metà: l’altra metà appartiene a chi la legge, è la voce che si leva in ciascuno per risponderle. Per fare la poesia completa, quella viva e quella morta, occorrono entrambe le voci. (p. 219)
A ogni lettura e rilettura completiamo i versi e, soprattutto, restituiamo corpo e vita a Emily Dickinson. Emily, che «non viveva in un mondo incantato; era lei l’incanto».
Debora Lambruschini