Contro i confini
di Gracie Mae Bradley e Luke de
Noronha
traduzione di Mario Cappello
add editore, settembre 2023
pp. 208
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Non offriamo un piano d’azione o un manuale per giungere all’abolizione delle frontiere, né sappiamo come si presenterà un mondo simile e non vi è una sola via per arrivarci. […] Speriamo di poter offrire qualche suggestione e qualche domanda stimolante, di riuscire a dare conto dei passi che dobbiamo compiere e dei rischi che è bene evitare. (pp. 17-18)
Da sempre impegnato nelle più pungenti tematiche d’attualità, add editore resta coerente con la propria linea editoriale e pubblica un saggio spiccatamente partigiano che ricorda, solo per citare una singola opera pubblicata qualche anno fa, il fotoreportage La crepa di Carlos Spottorno e Guillermo Abril, di cui abbiamo parlato sempre qui.
Il libro di Bradley e de Noronha
non intende offrire una lettura critica della questione vivissima legata ai
flussi migratori e ai problemi che questi incontrano quando si ha a che fare
con i confini nazionali. Il loro obiettivo è piuttosto quello di mostrare al
lettore perché un mondo fatto di confini nazionali sia foriero di iniquità
sociali e perpetui un razzismo da cui sembra non esserci via di fuga. Il fulcro
delle argomentazioni dei due autori ruota intorno a un caposaldo: potendo
decidere chi sta dentro e chi sta fuori, le nazioni – soprattutto quelle del
nord del mondo – hanno un potere pressoché illimitato di vita e di morte nei
confronti delle popolazioni più svantaggiate, le quali sono costrette a condurre esistenze precarie, sempre in bilico fra l'appartenenza e il nomadismo e con accessi ridotti ai diritti di base come il
cibo, il lavoro e l’assistenza sanitaria. Quando si parla di “popolazioni”, il termine è da intendersi in senso lato: non solo infatti Bradley e
de Noronha affrontano il tema dal punto di vista della “razza”, termine qui
utilizzato «in senso politico per operare arbitrarie differenziazioni sul piano
delle relazioni sociali tra gli individui» (p. 6), il che non offrirebbe in
effetti molto di più di quanto già sappiamo sull’argomento; bensì valicano
altri aspetti della questione che spesso vengono ignorati.
È il caso del genere e, sebbene
sia meno preminente, anche dell’orientamento sessuale. In molti stati il
matrimonio, e soprattutto il matrimonio eterosessuale, continua a essere l’unica
struttura intorno alla quale si possa costruire una famiglia in senso stretto,
con tutto ciò che ne deriva in termini di diritti del partner e della prole. Ma
– e qui sta il punto dei due autori – se sono omosessuale, se il mio partner
non è cittadino del paese che ci ospita o se semplicemente non crediamo nel
matrimonio, tutto il castello dei diritti crolla. È quello che è accaduto in
diverse situazioni, sentenziano i due autori: intere famiglie – unite dall’amore reciproco e da un progetto di vita che prevede anche dei figli –
sono state smembrate perché una legge è cambiata o per mutate necessità lavorative.
La disamina del testo prosegue sul concetto generale di capitalismo, sulle questioni di ordine pubblico e sulla guerra al terrore: tutti temi nei quali emerge prepotente il carattere razzista e xenofobo degli stati contemporanei, che si trincerano dietro ai propri confini nazionali per creare vere e proprie barriere politiche – e in taluni casi fisiche – fra "noi" e gli "altri". Si arriva infine, agli ultimi capitoli, a toccare tematiche più contemporanee quali le discriminazioni insite nel sistema di tracciabilità delle persone all’interno dei database governativi.
Contro i confini è un manifesto ideologico che non mira a costruire un
tracciato da seguire ma si limita a proporre al lettore una visione perlopiù
unilaterale della questione. Arrivati in fondo al libro, pur convinti dalle
calorose argomentazioni dei due autori, non ci si può tuttavia non chiedere quale possa
essere l’utilità di un testo del genere. All’inizio dell’articolo
abbiamo parlato di saggio “spiccatamente partigiano”, con tutto ciò che
una definizione del genere può implicare. Prendendo in considerazione
solo la prospettiva abolizionista, senza tener conto delle obiezioni concrete che i portavoce dei confini nazionali possono avere, il testo
rischia di parlare a se stesso e a quel target che è già d’accordo
con la visione degli autori. Non si presta, cioè, a un vero confronto,
incartandosi piuttosto sulle proprie argomentazioni che vengono ripetute,
spesso molto simili, nei vari capitoli. Le immagini evocate sono altamente
suggestive, soprattutto quando si prendono a esempio dei fatti storici;
tuttavia – e qui sta il punto – non è possibile instaurare un vero confronto se
non esiste la voce della controparte. E qui sta il limite di questo
testo con il quale, uscendo dall’articolo, mi trovo in fondamentale accordo.
David Valentini