Fernando Aramburu è conosciuto su questo sito grazie alle recensioni di Anni lenti, del suo capolavoro assoluto Patria, e del nuovissimo Figli della favola. Romanzi impegnati e impegnativi, che narrano il periodo tragico della lotta armata fra i separatisti dell’ETA e lo Stato centrale spagnolo. Dopo le fiamme, questa preziosa raccolta di brevi racconti, risale al 2006, dieci anni prima dei suoi lavori più noti e proprio grazie al successo di questi è stata ristampata nel 2019.
Le storie raccontate si svolgono a San Sebastián, a Guipuzcoa, a Donostia, in quelle terre dove le vite di chiunque, a prescindere dalla posizione tenuta nei confronti dell’indipendentismo, furono in ogni caso condizionate non solo dal pericolo costante rappresentato dai numerosi attentati ma anche dal clima di sospetto e di odio creatosi fra le persone. Quella stagione violenta di fatto fu, oltre che una delle tante eredità tossiche lasciate dal fascismo spagnolo, una vera e propria guerra civile all’interno della comunità residente nelle province basche, che si trascinò con una scia impressionante di vittime per oltre mezzo secolo. Proprio qui peraltro, sulle pagine di CriticaLetteraria, è possibile leggere una riflessione, sintetica ma estremamente puntuale, sulla natura di questo fenomeno, a opera dello scrittore Alessio Piras in seguito alla lettura di Patria.
Spesso siamo portati a credere, volgendo il ricordo al periodo di attività dell’ETA, che il pericolo di restare coinvolti in un’esplosione o in una sparatoria riguardasse i cittadini madrileni o delle città spagnole più grandi, dove effettivamente ebbero luogo gran parte degli innumerevoli episodi di quel tipo. In realtà, e Aramburu in quanto basco parla anche per esperienza diretta, le azioni terroristiche dell’ETA ebbero un effetto devastante anche nei Paesi Baschi e direttamente su quella popolazione, spaccata in una divisione implacabile fra chi propugnava il separatismo a qualsiasi costo e con qualsiasi metodo e tutti gli altri, contrari magari più al terrorismo in sé che all’idea di indipendenza oppure semplicemente poco interessati alla questione. Un altro pericolosissimo fattore di contrapposizione fu anche (e forse lo è ancora oggi, ma credo in misura minore) l’appartenenza etnica, ossia l’essere basco o no. In un certo senso, nei Paesi Baschi si precorsero i tempi rispetto a quanto sarebbe poi accaduto nell’ex Jugoslavia degli anni Novanta.
Ecco, tutto ciò costituisce la base narrativa e di contesto su cui Aramburu costruisce i suoi lavori. In questo Dopo le fiamme, il focus è proprio sulle persone, sulle famiglie che, loro malgrado, devono ricalibrare le proprie esistenze in seguito alle conseguenze delle azioni violente da parte dell’ETA; una ragazza coinvolta nell’esplosione di un’autobomba e devastata nel fisico e nella psiche, una donna ostracizzata dopo l’uccisione del marito solo perché non basco, una madre che deve rivelare al figlio le circostanze della morte del padre avvenuta anni prima, due ragazzini con il futuro già segnato che simulano attentati con petardi e auto giocattolo, un uomo sospettato di essere un simpatizzante del governo centrale e quindi sbrigativamente ucciso in quanto traditore, una bambina che ricorda i momenti successivi all’assassinio del padre.
Storie di una comunità sgretolata e divisa da odio e diffidenza; storie narrate in modo mirabile, lieve e partecipato allo stesso tempo. Colpisce soprattutto la strepitosa capacità di Aramburu nell’alternare registri diversi per descrivere la quotidianità in un contesto drammatico come quello in cui i racconti hanno luogo. Dall’ironia nel ritrarre mogli bisbetiche e mariti petulanti all’estrema dolcezza nel descrivere due bambini nel pomeriggio in cui il padre viene ucciso dall’ETA, al realismo nel rappresentare le giornate di un etarra rinchiuso in un carcere spagnolo, in cui maltrattamenti e torture erano prassi consolidate. Ma forse il racconto più emblematico è quello che descrive il rapporto (o meglio, il non-rapporto) fra un terrorista detenuto e la madre: due mondi separati e inconciliabili, una pressoché assoluta incomunicabilità. Due personaggi, madre e figlio, che diventano personificazione ed epitome di un’intera comunità e di un fenomeno nel suo complesso.
Un piccolo tesoro questa raccolta di racconti, utili a comprendere - per quanto possibile - un fenomeno che ha segnato la vita di un intero popolo e che ha inferto ferite inguaribili.
Stefano Crivelli