Non si è persuaso che lui non esiste. Giovanni Papini ci racconta "Il diavolo"




Il diavolo
di Giovanni Papini
Edizioni Clichy, 2023

A cura di Luca Scarlini

pp. 320
€ 18,00 (cartaceo)


Furono scritti sul Diavolo centinaia di volumi. Non avrei avuto la sfrontatezza di scriverne uno di più se non fossi sicuro che questo mio è diverso da tutti. Diverso nell'intenzione, diverso nello spirito, diverso almeno in gran parte, nel metodo e nel contenuto. (p. 19)

Con uno stile avvincente e diretto, Giovanni Papini ripercorre da un punto di vista, a suo dire, inusuale («questo è il primo libro sul Diavolo scritto da un cristiano, secondo il senso più profondo del Cristianesimo») la figura del Diavolo nella religione cristiana, nella filosofia e nella teologia, nelle altre religioni, nell'arte e nella letteratura.

Così presentata potrebbe apparire un'opera di difficile accesso e nozionistica, ma è lo stesso Papini, nella Presentazione a ricordare cosa quest'opera non è: non una scorribanda erudita, né un'arida trattazione concettuale, né tantomeno un prontuario ascetico per proteggere le anime dagli assalti del demonio. Papini intanto parte dalla convinzione che il Diavolo esista e che se lo spirito illuminista che è soffiato in Europa ha fatto sì che il razionalismo di filosofi e dell'intellighenzia borghese irridesse l'esistenza del Diavolo, 

i poeti e i narratori, cioè gli artisti, tanto più sensibili agli effluvi spirituali e che conoscono la vita umana e sovrumana più davvicino che non i giocolatori dei «concetti», non sono dello stesso parere. Già da qualche secolo i poeti hanno preso il posto disertato dai teologi e dai filosofi. (p.26)

Il decimo capitolo è interamente dedicato al Diavolo e la letteratura, partendo dalla citazione di Baudelaire  "La più bella astuzia del diavolo è quella di persuadervi che egli non esiste!!" e passando dal titanismo romantico, a Byron, Dos Passos e, ovviamente, Goethe e Thomas Mann. La prossimità dell'arte al Diavolo è così spiegata da Papini:

La creazione dell'opera d'arte esige ed implica una certa dose di sensualità e una certa dose di orgoglio, e suppone perciò una qualche complicità, non sempre avvertita, del Diavolo. Un artista che non ha qualche familiarità col Diavolo, sia pure per schivarlo e dominarlo, non può essere un vero artista. (p. 206)

L'indagine di Papini, però, non è meramente estetica. Una parte analogamente interessante è quella dedicata ai Diavoli stranieri (questo il titolo del capitolo XI). Qui tocchiamo con mano il carattere enciclopedico della cultura di Papini e la sua smisurata curiosità e attenzione verso le creazioni dello spirito umano in qualsiasi campo e di qualsiasi luogo geografico. Egli analizza la concezione del Male nelle varie religioni, partendo dagli Egizi e attraversando la cultura persiana, greca, mussulmana.

La parte più cospicua del libro, tuttavia, è quella dedicata al cristianesimo e alla indigeribilità del problema del Male nella teologia cristiana. Dichiarando di scrivere un libro da cristiano e per i cristiani, Papini era consapevole di entrare in un vespaio. La pubblicazione del saggio, nel 1953, suscitò imbarazzo e talora sdegno negli ambienti cattolici e trovò dei validi estimatori in Jorge Luis Borges, Tommaso Landolfi e Mircea Eliade, che ravvisò nell'opera di Papini un'importante novità teologica.

Per questi e altri motivi, l'opera di Papini merita di ritornare in libreria e all'attenzione dei lettori, proprio per lo stile agile con cui affronta uno dei problemi più spinosi e insolubili della filosofia e della religione.

Deborah Donato