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Una storia di libertà: "I grandi reporter della Magnum in Sardegna" nel volume curato da Fofi e Novellu

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I grandi reporter della Magnum in Sardegna 
a cura di Goffredo Fofi e Salvatore Novellu 
Ilisso, 2017

pp. 112
€ 49,00 (cartaceo)


Quella della Magnum è innanzitutto una storia di libertà: la prima agenzia fotografica indipendente al mondo nasce infatti quando Robert Capa intuisce, insieme ai primi sodali Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger e William Vandivert, l’importanza dell’indipendenza del fotografo rispetto alle testate giornalistiche, della possibilità di disporre pienamente dei prodotti della propria arte o della propria professionalità. Si tratta di un interesse economico, ma anche politico e artistico, della rivendicazione forte di un’autonomia dello sguardo che non si può cedere o svendere. La Magnum vive dunque di questo spirito, che unisce la specificità dei singoli in una visione comune, pienamente coerente, restituita attraverso scatti che si collocano al centro degli eventi storicamente significativi di un secolo. 

In questo volume cartonato edito da Ilisso sono raccolte le impressioni (ottantadue, nello specifico) raccolte da alcuni importanti esponenti dell’agenzia in Sardegna, tra i primi anni ‘50 e gli anni ‘70. Un ventennio in cui, parallelamente a quanto avveniva sul Continente, anche sull’isola si assisteva a una progressiva trasformazione, di tipo produttivo, sociale, antropologico. Si trattava però di una dinamica unica nel suo genere, di un movimento senza scosse, in cui vecchio e nuovo si compenetravano, si passavano il testimone con un’armonia altrove insperata. Lo mette bene in rilievo Goffredo Fofi nella prefazione al volume:

Il mondo cambiava e anche la Sardegna cambiava ma dimostrando […] una persistenza di costumi dettata da una diversità storica e antropologica e, bisogna aggiungere senza timore di sbagliare, da una solida moralità, da una cultura particolare, insulare, fissatasi nel tempo. Altrove era la corsa verso il nuovo […]. In Sardegna il passato e il presente si scontrarono […] con minor violenza, con maggior lentezza che altrove […]. In Sardegna il passato era dentro il presente, e della propria identità e separatezza non c’era da soffrire o da vergognarsi. (p. 7)

I fotografi della Magnum riescono a cogliere questa peculiarità. E se è possibile notare una 
differenza di prospettiva tra quelli che arrivano sull’isola prima del boom, come Bischof o Seymour, o durante, come Cartier-Bresson e Barbey, e quelli che arrivano dopo, come Freed e Scianna, in tutti però si può riconoscere un trait d'union. Si tratta della capacità di cogliere tanto la permanenza nel mutamento, quanto la tensione verso il futuro che serpeggiava anche in tradizioni antiche. Ad attrarre loro, come tutti quelli che prima o dopo si siano trovati a mettere piede sull’isola, è la percezione di «qualcosa che sapeva di autentico in un mondo che, velocemente, si colorava di inautentico» (p. 8). All’interno di questa linea comune, serpeggiante, che funge da collante tra le immagini del volume, ciascuno fa sentire, attraverso gli scatti, la sua voce.

Da un lato troviamo quindi i contrasti, i profondi, talora drammatici, chiaroscuri di Werner Bischof; le donne e i bambini di Iglesias, in bilico tra fatica e innocenza; i pescatori e i contadini fuori dal tempo, cui si contrappongono i lavoratori di Cagliari, immersi in un diverso tipo di frenesia, di pienezza. Dall’altro, più interessato all’anima collettiva della Sardegna appare invece David Seymour, che immortala la processione di Sant’Efisio a Cagliari dando uguale rilievo alle folle in movimento e agli sguardi intensi di un pubblico partecipe, più assorto che festante.


Più luminosi e meno conflittuali sono invece gli scatti di Henri Cartier-Bresson, che coglie lo scarto tra tradizione e modernità con uno sguardo che riesce a essere benevolo senza mai risultare paternalistico. Le sue fotografie, che risalgono a un soggiorno di circa venti giorni effettuato nell’estate del 1962, dialogano e al contempo aprono la via a quelle di Bruno Barbey, scattate nel 1964. Muovendosi negli stessi luoghi esplorati dai colleghi che l’hanno preceduto, Barbey imprime nelle scene che suscitato il suo interesse uno stile personale e riconoscibile. Di lui colpisce soprattutto l’uso delle linee prospettiche, le fughe che emergono dalla sovrapposizioni di piani, di linee e figure geometriche che si allungano in profondità, in scorci inaspettati. Questo appare evidente principalmente negli scatti dedicati alla processione di Sant’Efisio, sfarzosa e vitale, e sarà intrigante per il lettore mettere a confronto queste immagini con quelle catturate da Seymour esattamente dieci anni prima. Alla capacità di leggere il mondo in termini di forme e spazi, o di forme nello spazio, si deve però aggiungere una marcata attenzione all’umano, che viene colto nell’intensità del suo vivere quotidiano, a volte impegnato in azioni semplici, cui viene data però piena dignità (si pensi alle donne di Oliena, che dedicano la stessa concentrazione alla filatura o alla cura dei piedi). E, su tutto, l’atmosfera chiaramente percepibile di un ottimismo sottile, la vibrazione del progresso che integra, senza per forza snaturarli, rituali di lungo corso. 

A ritrarre gli esiti di questo percorso di trasformazione pensano gli ultimi due fotografi rappresentati nel volume: Leonard Freed, presente con un unico scatto che Goffredo Fofi legge come piena espressione della speranza nel futuro che la Sardegna matura negli anni Settanta, e Ferdinando Scianna. Nato a sua volta su un’isola, la Sicilia, quest’ultimo ha un punto di vista peculiare: al centro della sua ricerca, il senso di una comunità che attraversa il tempo, che permane - solida, le radici ben affondate nel proprio terreno natio - nel fluire della modernità.

In un’epoca di globalizzazione, in cui si rischia di perdere il senso del locale, la riscoperta della Sardegna negli occhi di questi artisti trova allora un nuovo senso, che il volume Ilisso prova a indagare e restituire.

 Carolina Pernigo