Cambiarsi per trovarsi: un percorso di scoperta di sé tra classicità e folklore nordico in "Metamorfosi pop" di Marina Milani

 




Metamorfosi pop
di Marina Milani
Plesio, 2023

pp. 358

€ 15,00

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Nina, la protagonista di Metamorfosi Pop, è una ragazza di ventidue anni che vive in funzione delle aspettative altrui: studia giurisprudenza senza slancio, per compiacere i genitori, a cui mente su voti ed esami per evitare di deluderli; ha un fidanzato, Guglielmo, figlio di amici di famiglia, che la tratta con supponenza senza che lei neppure se ne accorga; è viziata, sottilmente ignorante, cresciuta nella bambagia, convinta da tutti di essere troppo fragile, anche fisicamente, per poter avere qualunque autonomia. Un personaggio, quindi, che suscita nel lettore sentimenti contrastanti, tra comprensione e sgradevolezza, ma con decisi picchi verso la seconda. La sua scelta di partire per Bergen in cerca di Guglielmo, trasferitosi in Norvegia per lavoro e che troverà, neanche troppo imprevedibilmente, insieme a un’altra, è di per sé un passo azzardato. Per sua fortuna, già all’arrivo Nina si imbatte nella luminosa, generosa Sigrid, che si prende a cuore le sue sorti e intravede in lei una fragilità da accudire. Sarà Sigrid a introdurre la protagonista, letteralmente spaesata, nel gruppo dei giovani del Fisketorget, il mercato del pesce di Bergen, dove tra i banchi e l’area ristoro si coagula un mondo intero: i gemelli francesi Thomas e Thierry, gli italiani Marcella e Bruno, l’irruente spagnola Pepita, la stravagante Karin con le tasche piene di gattini… Nina si trova di fronte a un'umanità estranea eppure accogliente, che sembra accettarla nonostante le sue spigolosità, e che lei pure continua a tenere lontana, rifiutando ostinatamente di abbandonarsi all’amicizia che le viene offerta.

Questo perché Nina non viaggia da sola.

Con lei, all’interno di lei, abita una creatura mostruosa, che rappresenta i suoi istinti, la sua voce nascosta e impulsiva, schiacciata in fondo e tenuta sedata con grandi sforzi e goccette per dormire. Si tratta dell’Animarana, a cui Marina Milani regala un profilo autonomo, una sua fisicità, in quella che è la trovata vincente del romanzo. Perché la creatura ha ciò che a Nina manca: sicurezza, sfacciataggine, coraggio. Emerge, con le sue gambe lunghissime e le labbra tumide, quando la ragazza abbassa la guardia e, ogni qualvolta prende il sopravvento sulla pavida, prevedibile Nina, la narrazione si impenna. I confronti tra le due sono sempre tesi, ostili, anche se l’Animarana chiede semplicemente di essere accettata:

“Perché mi hai seguita? Cosa vuoi?”
“Che tu mi dia spazio. Potresti amarmi un pochino? Solo un po’, mi basterebbe” disse l’Animarana tutto d’un fiato, e improvvisamente a Nina sembrò molto piccola – una bambina con le fattezze di una ranocchia.
“Stai scherzando? Nessuno può amarti. […] C’è spazio solo per una di noi due, e quella sono io”. (p. 100)

Nina fatica ad aprirsi e non ha mai provato veramente a guardarsi dentro, perché quando lo fa ci trova l’Animarana. Nei rari casi in cui però le lascia spazio, dai momenti introspettivi scaturiscono lampi di verità: «Mi sento come un terreno dove abbiano demolito una casa. Non sono solo vuota, ma anche piena di macerie. Da quando Guglielmo mi ha scaricata non me ne va bene una» (p. 120). Eppure è difficile uscire dai vecchi schemi mentali, specie se consolidati da anni di autopersuasione e pressioni esterne neanche troppo sottili. Per questo, pur se tradita e abbandonata, pur se sempre più attratta dal carismatico Bruno con la sua tempra sregolata, ma buona, d’artista, Nina continua a essere ossessionata dall’idea di riportare a sé l’ex fidanzato, ed è disposta a tutto pur di riuscire.

In questo sistema narrativo che pare ruotare intorno al tema del doppio (due sono gli uomini tra cui si dibatte Nina, due le città, due le vite possibili), apparentemente contrapposta all’Animarana è la figura di Fra Hulda, una donna imponente, carismatica, che intercetta la vita di Nina sempre in momenti significativi, quando si pone un po’ come soccorritrice, un po’ come forza travolgente e destabilizzante.

In seguito a un piccolo inconveniente al mercato del pesce, Nina è costretta ad accettare la proposta della donna: andrà a lavorare al suo servizio come domestica per quattro mesi, in cambio di vitto e alloggio nella sua villa ai margini del bosco, in un paesino non troppo distante da Bergen. Dovrà occuparsi delle pulizie, dell’accudimento delle mucche che Fra Hulda tratta amorevolmente, come membri della famiglia, cucinare e accogliere i suoi stranissimi ospiti. Fra Hulda si mostra fin da subito come una figura misteriosa, legata al mondo della natura e alle creature della terra e dell’aria. Se già frequentando Sigrid e la sua buffa famiglia ne aveva avuto un’anticipazione, a casa di Fra Hulda lo spirito razionale di Nina si scontra con il folklore e le tradizioni nordiche, di cui si ha intuizione ben prima che ne vengano date ragioni a livello di trama. Quello che sembrava un romanzo di formazione relativamente lineare, viene impastato presto con nuovi ingredienti.

Certo, la soluzione proposta da Milani è ardita, e obbliga il lettore a sottoscrivere un grosso patto narrativo. Questo d’altronde permette all’autrice di sviluppare l’opera intorno al tema della metamorfosi, che diventa così leggibile su un piano sia metaforico che letterale, e che viene svolto con coerenza una volta che se ne accettano i presupposti fantastici.

È davvero arduo parlare della trama di Metamorfosi pop senza anticipare dettagli che al lettore piacerà scoprire in maniera autonoma. Gli basti quindi solo sapere che Nina imparerà, in modi e forme decisamente inattesi. Scoprirà, proprio nel momento in cui rinuncerà ad avere il controllo su tutto, di averne molto più di quanto pensasse. Lo scoprirà attraverso amici che i suoi genitori avrebbero disapprovato, un lavoro che non pensava di volere, un talento per la fotografia che non sapeva le appartenesse:

Fotografare significava preparare meticolosamente un’attrezzatura, scegliere gli obiettivi giusti, uscire da sola, perseguire lo scatto perfetto. Le piaceva la solitudine che quell’attività portava con sé. Le piaceva la dedizione. Le piacevano il metodo e la disciplina che doveva imporsi, così come le piaceva il guizzo senza il quale un’opera d’arte non poteva realizzarsi. (p. 266)

In questa transizione, si può dire a ragione in questa metamorfosi, Nina inizia a provare tenerezza per l’Animarana, cioè per se stessa. E l’Animarana, una volta che si sente accolta, che trova spazio, diventa meno aggressiva e rivela lati positivi, dimostrandosi ironica, a tratti saggia. Le due iniziano, finalmente, ad assomigliarsi di più, e Nina non capisce bene se sia davvero l’Animarana a essere cambiata, o non piuttosto il suo sguardo.

Mentre la Norvegia le si dispiega di fronte nel fascino della sua cultura e della sua storia, la protagonista impara a trovare il proprio posto nel mondo, a rivendicare per sé la gestione della propria vita di fronte a chiunque provi a insidiarla, fosse anche la sua stessa paura.

Marina Milani riesce - operazione tutt’altro che scontata in un’epoca in cui la narrativa mainstream sembra dominata dal dramma - a scrivere un romanzo lieve, fondato su una trovata imprevista e assolutamente efficace, e che lascia un sorriso sulle labbra una volta oltrepassata l’ultima riga. 

Carolina Pernigo