Donna vita libertà
Traduzione di Lara Pollero
pp. 272
“Donna Vita Libertà” è uno slogan nato in Siria, utilizzato prima dal PKK curdo, e poi dai battaglioni di autodifesa femminile del Rojava, un «laboratorio di democrazia diretta, […] che stabilisce il principio di uguaglianza, senza distinzione di razza, religione o sesso» (p. 28). Ripreso nel 2022 nel contesto delle manifestazioni che hanno infiammato l’Iran dopo l’insensata morte di una giovane donna colpevole di aver indossato il velo in modo non conforme al regime, questo motto diventa ora il titolo di un volume prezioso e necessario. Quella edita in Italia da Rizzoli è un’opera collettanea, intimamente vissuta da tutti coloro che hanno scelto di farne parte, selezionati dalla curatrice Marjane Satrapi (già nota per il suo meraviglioso Persepolis, di cui abbiamo scritto qui) in base alla loro vicinanza o conoscenza della realtà iraniana. Il politologo Farid Vahid, il reporter Jean-Pierre Perrin e lo storico Abbas Milani affiancano i diciassette illustratori che hanno accettato di prestare la propria arte a tradurre in immagini i contenuti testuali redatti dagli esperti. L’insieme delle diverse voci, degli stili grafici, delle scelte espressive, compone quindi un affresco variegato e potentissimo, in cui ogni sensibilità si può trovare rappresentata.
Nella seconda sezione si
esplorano le radici storiche che
hanno condotto alla Repubblica Islamica: dalla Rivoluzione di Khomeini,
inizialmente supportata dagli Stati europei, ai diversi organi che sono oggi
responsabili del controllo, come il corpo dei Guardiani della Rivoluzione
Islamica, il Consiglio supremo di sicurezza nazionale, la polizia morale; ampio
spazio viene dato a una riflessione sulla dissolutezza delle élite di potere, sulle contraddizioni
tra le regole che impongono e lo stile di vita dei loro stessi figli, gli Aghâ
Zadeh, rampolli viziati e «maestri
dell’ipocrisia» (p. 146), «simbolo
definitivo della corruzione e dell’ingiustizia» (p. 141). Toccante è “Il
dialogo dei morti”, in cui Paco Roca mette a confronto le ragioni dei “martiri”
del regime («I martiri sono la torcia che
illumina l’Islam», o ancora «I nostri
giovani sono destinati al martirio e all’eroismo», proclama negli anni la
Guida suprema) con gli ideali di vita di chi oggi resiste e muore in difesa
della libertà:
“Io mi sentivo iraniano fino alla punta delle dita e amavo profondamente la vita.”
“Ma tu non hai perso la vita per difendere un ideale come noi.”“Sì, ma a malincuore, e la differenza è che sono morto per difendere la vita, perché gli altri potessero approfittare della libertà di decidere della loro.” (p. 163)
I Guardiani della rivoluzione, con gli occhi iniettati e le mani sporche di sangue, «come si evince dal nome non sono incaricati di difendere l’Iran, ma […] il regime iraniano, a ogni costo. […] Rappresentano la violenza, il fanatismo e la corruzione del nostro Paese» (p. 137), spiega Marjane Satrapi in “Temuti e odiati”. A loro, alle forze becere e stantie di chi vuole tenere l’Iran di un passatismo che gli va stretto, vengono contrapposte le voci dei molti che si sono opposti, delle ragazze che hanno tolto e bruciato il velo, delle giornaliste che hanno denunciato i crimini, delle madri e sorelle e zie che hanno pianto cari strappati loro a forza, degli uomini, spesso giovanissimi, che hanno rivendicato una libertà negata. In più pagine del volume i loro nomi sono fatti, ripetuti, celebrati. I loro volti sono tratteggiati perché diventino pietra d’inciampo, tassello di una memoria da custodire («Nika jan, ti hanno ucciso una prima volta, poi una seconda impedendo che ti fosse reso omaggio… Non lo dimenticheremo mai! Non perdoneremo mai!», p. 173). In alcuni interventi, come quello Touka Neyestani, “L’inverno delle esecuzioni”, sotto ai ritratti degli ultimi caduti per mano della Repubblica Islamica, la Guida Suprema Khamenei viene mostrata mentre avanza, fino a sprofondare e a essere ricoperta dal bagno di sangue delle vittime innocenti.
La terza e ultima sezione si incentra soprattutto sul presente, sulle forme in cui la resistenza oggi dilaga attraverso
la popolazione, all’interno del Paese ma anche all’estero, e assume forme sempre nuove e diverse,
coinvolgendo anche ambiti collaterali, come quello sportivo, o entrando a gamba
tesa in quello religioso, che il regime sfrutta come proprio vessillo in un
Iran che non è mai stato meno credente di ora. Smontare gli stereotipi, rivelare le tensioni che agitano una
superficie sempre meno calma, gridare a gran voce per denunciare l’assenza di
libertà che nel resto del mondo sono date per scontate, è un modo per portare attenzione alla causa, darle
linfa, farla durare.
Vivere da sola, nubile, non dipendere da un uomo, fare jogging, truccarsi, mettersi lo smalto sulle unghie, avere un piercing, dei tatuaggi, indossare il velo lasciando vedere i capelli, o non portarlo affatto, indossare abiti colorati, mettere dei leggings o una giacca originale, guidare uno scooter o una moto, lavorare, essere indipendente, suonare, cantare, fumare, bere alcol, flirtare, viaggiare sola, non avere figli, andare a letto con un uomo o con una donna… Essere libera!
Tutti questi piccoli gesti, alcuni proibiti e severamente puniti dalla legge, non sono banali. Come recita un famoso proverbio persiano: “tante gocce fanno il mare”.L’arte della rivolta è una lotta quotidiana. (p. 205)
Quella di Donna vita libertà è una lettura che non può lasciare indifferenti, che prende alla gola, allo stomaco, e tocca diverse corde intime e vitali. Se ne esce con l’impressione di aver imparato qualcosa, ma anche con un senso di urgenza rispetto all’idea che ci sia da fare qualcosa, che il movimento trascinante, coraggioso, degli uomini e delle donne iraniane che vogliono cambiare il loro paese sia qualcosa di giusto e sacro.
Carolina Pernigo
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