Prima che chiudiate gli occhi
di Morena Pedriali Errani
Giulio Perrone Editore, ottobre 2023
pp. 222
€ 18 (cartaceo)
€ 18 (cartaceo)
Agli ultimi non viene concessa la grazia dell’oblio. Chiedo aiuto al vento. Non basta morire: devo raccontare, prima che la morte venga a prendersi tutto, prima che il plotone esegua l’ordine, prima che voi chiudiate gli occhi. E li chiuderete, vi prometto che li chiuderete. (p. 7)
Morena Pedriali Errani, artista circense di famiglia sinta e attivista per le minoranze romanì, esordisce con questo romanzo che ha per protagonista una donna ispirata a Fiammetta Pedriali, la nonna realmente esistita dell'autrice, partigiana durante la Seconda guerra mondiale.
Il libro le dona il nome di Jezebel (anche se uno dei personaggi principali la ribattezzerà Fiamma, e qui qualcuno più accorto noterà la mano della donna in copertina): la storia si apre con un flash-forward, incontriamo Jezebel già adulta mentre riflette, si corrode nei ricordi del suo popolo perduto, forse sapendo già cosa l'aspetta all'alba, poi la narrazione balza indietro nel tempo, nel 1936, quando le cose erano tristi ma non così tanto, quando lei poteva contare su una famiglia raccolta intorno alle kampine, sulle favole raccontate dal suo babo, sui giochi con Benjamin, e, più importante di tutte, sulla consapevolezza che i gagé - qualsiasi estraneo alla popolazione romanì, i non-sinti - odiavano quelli "come loro".
Ci troviamo negli anni prima dello scoppio della guerra, e il luogo dove si trova Jezebel e il suo gruppo è un luogo di confine: il doppio smacco che devono subire non è solo quello dovuto all'essere cacciati perché sinti o circensi, ma anche perché i gagé non ritengono che siano "davvero" italiani. Eppure, quando è arrivato il momento, gli uomini del suo popolo hanno fatto la propria parte.
Forse siamo già al mare, forse è solo la festa del tendone, i bambini curiosi in fila di là dalla strada, una giovane coppia mano per mano in fila al botteghino, mio padre che spezza il pane con i parenti ritrovati, Elena con un paio di orecchini nuovi che intreccia i capelli e, per due minuti, non sta piangendo suo marito. [...] La guardo, le afferro il polso. «Elena…». «Uscite, sappiamo che siete lì dentro!». Silenzio. «Usciamo. C’è la polizia». (p. 29)
Sono costretti a spostarsi in un luogo ancora più inospitale, senza più la possibilità di sostenersi attraverso il circo. Negli anni della crescita, Jezebel conosce il razzismo, la persecuzione, la violenza; conosce anche l'amore nella persona di Libero, un uomo gagé che fa parte di una famiglia di peso, ben posizionata a livello politico, dettaglio che sarà fondamentale per l'evoluzione della storia.
A un certo punto infatti, Jezebel perde tutto. O quasi. Pochi punti fermi, i ricordi, le storie e le leggende del suo popolo, i racconti di suo padre. I capitoli del romanzo, a questo proposito, si presentano in modo alternato e musicale: l'autrice ci parla attraverso i capitoli che vedono Jezebel protagonista e narratrice in prima persona e i capitoli intitolati "Canta vento gelido", piccole incursioni letterarie che rievocano leggende, storie antichissime e mitologiche, favole, reiterando più volte la nenia «c'era una volta e non c'era» e così introducendo un universo popolato di creature straordinarie - uccelli magici, principi e regine, il violino di Frinkelo, un re che non era un re, fate, spiriti della neve - tutto un legendarium ricchissimo e prezioso che l'autrice sceglie di raccontare come fossero soffi di vento.
C’era e non c’era una volta un sinto circense di nome Kamaripen. Nel circo si racconta la sua storia da quando ne abbiamo memoria, da quando le prime ossa del primo di noi sono state soffiate nel vento dal Barea Devla. Ma non posso parlarvi di lui, senza parlarvi di parlarvi di lei. E non posso parlarvi di lei se non vi parlo delle farfalle (p. 91-92)
Il custode e il portatore di queste storie è proprio il vento, un elemento chiave nella narrazione che si fa simbolo delle voci degli antenati, sia nelle parti a esso dedicate che in quelle raccontate in prima persona da Jezebel. Trovandosi nella disperazione più totale, tradita, sola, senza mezzi né denaro, non le resterà che unirsi alla Resistenza partigiana.
La struttura narrativa segue una forma circolare, i capitoli finali si ricongiungono al primo.
Lasciando da parte per un attimo la trama, la scrittura dell'autrice è molto evocativa, agevolata per natura dai "capitoli del vento": si percepisce chiaramente quanto la storia sia sentita, quanto la sofferenza descritta nel testo sia in effetti reale e attuale, soprattutto in termini di chiusura politica, sociale, di persecuzione razziale che, purtroppo, viene ancora eseguita oggi ai danni di minoranze, tra cui quelle sinte e romanì.
Certamente l'intento dell'autrice era di restituire dignità a un popolo che ha fatto parte della Resistenza e sulle cui battaglie molto spesso viene stesa una cortina d'indifferenza e silenzio, ma ciò che emerge maggiormente è l'amore per quella donna che era sua nonna. Il libro è dedicato a lei e per quanto sia romanzato, ci lascia pensare che tutto ciò che è successo a Jezebel sia successo anche a Fiammetta.
Non empatizzare appare impossibile.
Un testo che presenta diverse chiavi di lettura, con una scrittura ricca, suggestiva, e una serie di testimonianze sia a livello storico (seppure, come dicevo, romanzate) che a livello di memoria, di tracce che vanno raccontate per far sì che non si perdano di nuovo.
Deborah D'Addetta
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