Per lui, la pace interiore era raggiungibile attraverso il lavoro, tutto il resto era depressione e inquietudine: non in senso melodrammatico, no - questi stati d'animo erano semplicemente il rumore di fondo della sua mente quando viveva fuori dello studio, qualcosa che sentiva come una specie di esilio. (p. 227)
Sono pochi gli autori che sanno raccontare i rapporti umani toccando il perturbante tanto quanto sa fare Patrick McGrath, senza strappi, senza forzature o ricerca di sensazionalismi. In Port Mungo, uscito per la prima volta nel 2004 e ora riproposto dalla Nave di Teseo con la traduzione di Alberto Cristofori, si verifica anzitutto uno strano triangolo amoroso, che coinvolge un aspirante pittore, Jack Rathbone, una pittrice affermata e decisamente fuori dagli schemi, Vera Savage, e... la sorella di lui, Gin. Infatti, la dipendenza di Gin dal fratello, l'ammirazione cieca per la sua vocazione la portano ad allungare denaro perché lui persegua i suoi sogni, ad aprirgli la porta ogni volta che ha bisogno e a non farsi mai una vita sentimentale. Se aggiungiamo che Gin prova (e dichiara in un paio d'occasioni) una vaga invidia per la sua storia d'amore con Vera, capiamo bene che Gin non è una narratrice affidabile. Se dovessimo riassumere in una frase il sentimento di Gin per suo fratello, potremmo citare questa: «Un'ondata di amore e ammirazione - e anche invidia - sorse in me, insieme al riconoscimento del fatto che era rimasto fedele alla sua decisione di diventare un artista» (p. 121).
È attraverso il suo sguardo, i suoi ricordi e soprattutto quegli scampoli di verità concessi da Jack che Gin osserva lo scoppiare di una relazione spesso simbiotica, il più delle volte tossica, tra Jack e Vera. Non è tanto la differenza di età tra la donna, già affermata, e il giovane studente universitario Jack a turbare Gin, quanto il potere dirompente, talvolta distruttivo, che uno ha sull'altra. Oltre a un'innegabile attrazione sessuale, i due pittori sanno come ispirarsi, conducono una vita bohémien senza freni e quando sentono che è tutto difficile in città, decidono di ricominciare daccapo. Approdano a Port Mungo, una cittadina fluviale isolata in Honduras, e qui creano da zero la loro vita di artisti, all'insegna della sregolatezza, dello sballo da alcol e droghe e dell'ambizione («Che tipo di rapporto era? Quello che prevedibilmente nasce fra persone bianche che vivono in posti caldi con molto tempo a disposizione e una passione per i liquori», p. 111). E della frustrazione, per mostre che non vanno come si vorrebbe, tele che non trovano fine, progetti che all'improvviso sembrano irrealizzabili.
Gin è lontana, non conosce Port Mungo e ci andrà di rado, così come di rado saprà direttamente da Jack cosa sta accadendo nella sua vita di artista, di compagno, poi anche di padre. Sì, perché Vera ha partorito prima Peg e poi Anna, ma la maternità non l'ha calmata per nulla, tant'è che Jack si fa spesso carico delle figlie, mentre la madre si trova chissà dove. Gin può solo ricostruire a posteriori ciò che è successo, perché Jack riappare o si fa sentire nel momento del bisogno, mostrando più e più volte un egoismo straordinario nel dare sempre per scontata la sorella. Sorella che, manco a dirlo, non si rende conto dell'opportunismo di Jack e resta in attesa di sue notizie, dedicando la sua vita alla contemplazione del fratello.
A sua "discolpa", possiamo giustificare quel legame decisamente fuori dagli schemi dicendo che Jack e Gin sono sempre stati molto uniti, fin dalla loro travagliata infanzia, e hanno condiviso tutto, compresa la reciproca nudità, segno di una crescita inarrestabile, così come i loro primi interessi artistici. Jack è stato un modello inarrivabile per Gin, che è rimasta bloccata in una mediocrità spaventosa per chi, come lei, aveva l'arte nel cuore. Patrick McGrath, oltrepassando il filtro idealizzante della narratrice, trova il modo per presentarci il narcisismo, l'irresponsabilità e i vari retroscena della vita di Jack. Lo fa principalmente attraverso i suoi gesti e le sue parole: Gin tende a giustificarli, ma noi lettori no, possiamo leggervi la grettezza di un uomo mai davvero cresciuto. Se Vera appare quale l'apoteosi dell'artista che per tutelare la propria libertà è disposta a distruggere tutti i punti fermi della sua vita, Jack le tiene dietro in modo forse meno palese ma ugualmente rovinoso. O forse anche di più.
A rendere ulteriormente inquietante le relazioni presenti nel romanzo, ci si mettono le prime pagine: sì, perché Jack si rivolge a Gin dopo che è stato trovato il cadavere di sua figlia sedicenne Peg nel fiume. Cosa è successo?
Rispondere a questa domanda è solo uno dei tanti elementi che ci spingeranno a proseguire con la lettura, ma McGrath dilata di molto il flashback sul passato di Jack e Vera, al punto che talvolta ci dimentichiamo il mistero della morte di Peg. Non è forse il romanzo di McGrath più memorabile, perché capita di avvertire una certa stasi nel ripetersi delle sbronze e delle abbuffate di sesso dei due pittori, nelle loro quotidianità distorte ma pur sempre ripetitive, ma poi accade qualcosa e il narratore riprende le fila del discorso affondando ancora una volta la penna nel perturbante e noi lettori torniamo a sentirci coinvolti, fino alla svolta drammatica che prenderà la narrazione. Port Mungo non è il romanzo per conoscere McGrath, ma resta una prova interessante di quanto l'imperativo "l'arte per l'arte" semini dietro di sé disperazione e infelicità.
GMGhioni
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