Bompiani, settembre 2023
Traduzione di Tiziana Lo Porto
pp. 400
€ 25,00 (cartaceo)
Il 20 marzo 2018, equinozio di primavera, ho postato la mia prima foto su Instagram. Mia figlia Jesse mi aveva suggerito di aprire un account Instagram per distinguere il mio da quelli fraudolenti che adescano a mio nome. E poi Jesse trovava che fosse una piattaforma perfetta per me che scrivo e scatto foto tutti i giorni. Così abbiamo creato insieme la pagina. Cercavo un modo per fare sapere alle persone che ero veramente io a contattarle, così ho deciso per un approccio diretto: thisispattismith, questaèpattismith. (p. 9)
È una quasi banale interazione madre-figlia a fornire le basi per l’ultimo lavoro della multiforme Patti Smith: artista, autrice e performer visionaria, icona del punk rock newyorkese anni ’70, la quale trova la sua personalissima dimensione, come fosse un’utente qualsiasi, nel social media del visual storytelling per antonomasia. Realizzato pressoché totalmente durante la solitudine della pandemia, A Book of Days, infatti, prende le mosse a partire dal quel formato “foto con didascalia” ormai così familiare per la gran parte di noi, raccogliendo 365 - +1 «per i nati nel giorno bisestile» (p. 10) - istantanee, una per ciascun giorno dell’anno, accompagnate da annotazioni esplicative dell’immagine proposta, dato che, è la stessa interprete di People Have the Power, nella valida presentazione iniziale del volume, a scrivere: «le didascalie e le immagini sono le chiavi per sbloccare i pensieri» (p. 10).
Vecchie polaroid, scatti d’archivio o realizzati con quel cellulare che, grazie all’esempio di Annie Leibovitz, artefice di numerosi ritratti iconici, le ha permesso di unirsi «al collage esplosivo della nostra cultura» (p. 10), si alternano, a colori o in bianco e nero, lungo una sorta di calendario emotivo che si sviluppa attraverso i decenni, tra infanzia, fama e memoria. Le immagini, essenziali, asciutte, ma non senza una punta di magia, si susseguono, accompagnate da frammenti di testo che ne completano il significato, come finestre in miniatura che affacciano su un mondo, esterno e interno, tanto quotidiano e familiare - caffè, taccuini, portachiavi, viaggi, figli, paesaggi, pranzi, macchine da scrivere, occhiali da vista, il gatto di casa, un filo di perle - quanto intellettuale.
Si moltiplicano, ad esempio, fotografie che ricordano anniversari di nascita (o di morte) relativi a scrittori, poeti e musicisti: da Virginia Woolf, il cui busto «regna silenzioso» (p. 36), a Baudelaire che «riteneva che il genio fosse la capacità di tornare all’infanzia a piacimento» (p. 115), da Anna Achmatova, «una delle voci più significative e coraggiose della poesia russa» (p. 161), a Vladimir Majakovskij che «ci ha regalato poesie rivoluzionarie quanto lui» (p. 221), passando per Emily Brontë col capolavoro Wuthering Heights che, «rispecchiando la sua anima inquieta, ha immortalato i fantasmi che infestano le brughiere» (p. 232), senza dimenticare Mary Shelley che «ha creato il mostro più complesso della letteratura, la Creatura che citava Coleridge e piangeva per il proprio orrido aspetto» (p. 264); da Lev Tolstòj che «ha impresso il concetto di amore universale e pacifismo» (p. 275) a un primo piano di Joan Didion, «una scrittrice pura» (p. 367), per arrivare a Joan Baez, «nostra farfalla nera» (p. 21) e a Bob Dylan, il «re delle maschere» (p. 162).
Nel commemorare chi di loro ha lasciato questa terra, l’elemento scelto più di frequente è forse quello del luogo di sepoltura: così avviene, tra gli altri, per Camus, «un uomo fiero e singolare» (p. 16), per Susan Sontag, nel cui caso «la lucida superficie della lapide riflette alberi e cielo» (p. 214) e per Percy B. Shelley, il cui «spirito indomito è sembrato elevarsi ed entrare nell’inquadratura» (p. 238). Del resto, questa sorta di pellegrinaggio sentimentale fra i morti viene ritratto secondo un’ottica già evidenziata nelle considerazioni d’apertura più personali:
una lapide può fare da eco ad altre persone compiante e ricordate. Avendo perso io stessa tante persone amate, trovo conforto nel frequentare i cimiteri della gente che amo e ne ho visitati molti, offrendo preghiere, rispetto e gratitudine. Mi sento a mio agio con la storia e ripercorro i passi di chi ha realizzato opere che mi sono state di ispirazione; molti dei post sono dedicati al ricordo. (p. 11)
Inanellando lettere e note, tra foto dall’alone spesso vago e misterioso, c’è spazio, da Parigi a Torre del Lago, per la rinomata Shakespeare and Company, «la preziosa libreria che da più di settant’anni si prende cura di scrittori e amanti dei libri» (p. 176), così come per «il pianoforte su cui Giacomo Puccini ha composto le sue opere più celebri» (p. 360). A corredo del libro si trova, peraltro, una preziosa lista di letture consigliate dall’autrice, come a suggerire di continuare, in autonomia, l’esplorazione di tutta una visione estetica che, fra ricordi personali e riferimenti culturali, prende corpo dalle pagine e dagli scatti che la definiscono, secondo una peculiare fusione di testo e immagine.
Si tratta, in effetti, di cogliere la possibilità di guardare un intero anno attraverso gli occhi e la percezione di un’artista dirompente e sensibile a un tempo; in tal senso, la fruizione di questo volumetto, dalle dimensioni di una piccola scatola, quasi di un portagioie, ben si presta per una lettura (non necessariamente) rapida e immersiva, oppure dilatata e scandita giorno per giorno, lasciandosi accompagnare dallo scorrere del tempo, valutando anche la possibilità di tornarvi, magari guidati semplicemente dal caso, per rintracciarvi tracce sparse qua e là nella data prescelta. Nel complesso, risulta avere i contorni di un testo
«offerto in segno di gratitudine, come luogo di conforto, anche nei momenti più tristi» (p. 11), dal momento che «ogni giorno è prezioso, perché stiamo ancora respirando, commossi dal modo in cui la luce piove su un alto ramo, o al mattino su un tavolo da lavoro, o sulla lapide scolpita di un poeta amato» (p. 11).
La nascita, la morte e la quotidianità si configurano, quindi, come tre grandi aree tematiche intorno alle quali celebrare i piccoli romantici dettagli dell’esistenza umana e riconoscerne le fasi cruciali, nella consapevolezza che salutare un nuovo giorno (immagine a cui rimanda anche l’esergo tratto dai versi di Christina Rossetti) nel pieno della propria indipendenza è il vero privilegio di cui si può beneficiare: «ogni giorno mi ricordo di quanto io sia fortunata a essere il comandante della mia stessa nave, padrona del mio sostentamento» (p. 157).
A Book of Days, come ha scritto (non a caso, in una didascalia postata su Instagram) la Morgana Chiara Tagliaferri, «è un diario di parole e fotografie», raccoglie, insomma, un universo inquieto, vagabondo, disseminato di poesia, letteratura, arte e musica, in un perpetuo colloquio tra i vivi e i morti, costantemente proteso tra il ricordo più elegiaco e la più fulgida speranza. È al suo interno, dunque, che il lettore viene invitato a entrare, per incontrare ispirazioni, passioni, devozioni, se non ossessioni, di un’artista dalla vita piena e dalla notevole sensibilità, così da poter raggiungere il «cuore comune delle cose» (p. 11).
Chiara Tolomei
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