Longanesi, settembre 2023
Traduzione di Giuseppe Maugeri
pp. 468
€ 18,60 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
The Turnglass di Gareth Rubin ricorda, nella composizione e nella struttura, la moda che avevano i rilegatori del XVIII secolo, di unire due libri in uno, capovolgendoli. A loro volta, questi furono ispirati dai libri religiosi, con rilegatura dos-à-dos, diffusi tra XV e XVII secolo.
Questa è la particolarità dell’enigma di Turnglass, ma non solo, perché anche il genere è abbastanza difficile da definire e si colloca a metà tra il gotico, il thriller, il mystery e la fiction storica. Si può decidere di leggere iniziando dalla parte blu, che è quella che racconta un omicidio avvenuto nell’Ottocento, ai danni di un marito troppo amato o capovolgere il libro e iniziare dalla parte in rosso, che tratta gli avvenimenti dalla prospettiva di un’altra voce narrante, nella California degli anni Trenta del Novecento. Nel Novecento c’è uno scrittore, Oliver Tooke, che viene trovato morto, apparentemente suicida. I più avventurosi, possono anche alternare le voci e i capitoli, passando da una parte all’altra e svelando il mistero, incrociandone i dati e i racconti. Perché è ovvio che le due vicende, in qualche modo, siano collegate.
In qualunque modo si voglia procedere, l’enigma di Turnglass è affascinante per diverse ragioni. Innanzitutto per l’atmosfera, gotica, surreale, macabra come la Londra del 1881 e la sua campagna circostante, che ci riportano alle magioni dell’Inghilterra dell’epoca e alle inquietanti pareti della celebre Hill House di Shirley Jackson. «Turnglass House ha sempre avuto qualcosa di corrotto e maligno», dicono al giovane medico Simeon Lee, appena giunto in campagna, a casa dello zio, il parroco Hawes, per curarlo. Una notte fitta di nebbia e una palude fangosa da attraversare. Il parroco è convinto, non a torto, di essere stato avvelenato e i suoi sospetti ricadono sulla cognata Florence, segregata in una prigione di vetro, da quando ha ucciso il marito, fratello del curato.
Stessa cosa si può dire per il periodo più moderno: siamo negli anni precedenti al Secondo conflitto mondiale, in California, dove tutto appare consono all’ambientazione, tra feste grandiose, in pieno stile Fitzgerald del Grande Gatsby, balli e famiglie in ascesa. Allo stesso modo anche il linguaggio si apre, si modernizza e diventa più lineare, come il vetro che costituisce le pareti della Turnglass californiana.
Un mistero circonda la vita dei Tooke, imprenditori che hanno fatto fortuna grazie alla fabbricazione del vetro, fino a far emergere il loro capofamiglia come governatore. I due figli del governatore hanno una vita tormentata: Alexander, il minore, è stato rapito e ucciso, Oliver, che porta lo stesso nome del padre, è un ragazzo pieno di interessi e di segreti. A facilitare l’incontro tra Oliver e Ken, aspirante attore e protagonista di questa parte, interviene Gloria, giovane ambiziosa, poi sostituita, nel cuore di Ken, dalla più aristocratica e complessa Coraline, la minore dei Tooke.
Man mano che l’amicizia tra Ken e Oliver si consolida, al giovane protagonista vengono mostrati luoghi reconditi della casa di vetro, come la libreria, molto simile a quella dell’omologa casa di famiglia a Ray, sulle coste dell’Essex, da dove l’intera famiglia proviene. Sarà Oliver a scrivere un curioso romanzo sulla storia della sua famiglia, che svelerà a Ken e a tutti coloro che sono implicati nella vicenda, i contorni oscuri della famiglia, fornendo la chiave per la risoluzione della morte dello stesso Oliver.
Ken seguì i personaggi sull’isola desolata e per le strade tortuose di Londra. Tra rischi e capovolgimenti. Tra amicizie e inimicizie. E quando infine giunse all’epilogo, comprese tutta la tristezza di quella storia: non c’erano vincitori. Nemmeno uno. (p. 102)
Questa è la verità in fondo alla pagina, che si rincorre tra passato e presente, e che rischia di annegare tutta la vicenda tra maree e fango, ovvero che il male, che si annida alle origini di una famiglia apparentemente rispettabile, sopravvive al tempo e allo spazio. Lo stesso ricade sui figli, finché non si ha il coraggio di spezzare il cerchio, di fermare la clessidra del tempo colpevole, in posizione orizzontale, invece che far ricadere la sua sabbia, ancora e ancora, nelle pieghe del tempo, nei granelli minuscoli della verità, che finisce per confondere ogni cosa, ricominciando da capo.
Il libro è dunque un rincorrersi di misteri, che lo rendono affascinante, a tal punto che è stato anche aperto un canale Telegram, che anima il dibattito e procede per tappe. Dal punto di vista critico è una narrazione abbastanza convincente, molto eterogenea, più fiction storica che thriller, quasi una sorta di pseudo-agiografia familiare. Oltre alla tipicità della composizione, infatti, il personaggio di Oliver, che è centrale in entrambe le narrazioni, sembra voler prima costruire una favola mistica sulle origini della sua famiglia, ma in realtà lascia al lettore il compito di svelare i misteri, di capire ciò che è estremamente ambiguo e finto, e in entrambe le costruzioni, di smascherare se stesso. Egli stesso è una rappresentazione di male e bene, si sdoppia, racconta di sé una verità comoda, perché non può accettare la verità. Solo leggendo le pagine della seconda parte, comprendiamo perché lo fa e chi è Oliver, gravato da un senso di colpa che non lo rende sincero.
Svelare la realtà è il compito ultimo del destinatario del libro, compito apparentemente affidato a Simenon nella Londra del 1881, a Ken in quella del 1939 e infine, lasciato al lettore, che ha a disposizione entrambe le versioni. Non a caso è una nuova scienza quella che i Tooke dell'era moderna vorrebbero affermare, l'eugenetica, molto in voga in quegli anni e di cui, tra il 1912 e il 1932 si tennero tre congressi, e che sarà così cara ai futuri nazisti. Secondo questi studi molti dei problemi sociali, come la povertà, erano considerati un risultato di deficit genetici; per eliminarli occorreva quindi impedire la procreazione a quanti non fossero sufficientemente integrati nella società. In California, nel 1935, furono sterilizzate circa 12mila persone, in nome di queste teorie. La genetica diventava così base scientifica della società.
Tornando al libro, l'idea di fondo è quella di una narrazione che possa invogliare i lettori che seguono la fabula, a scegliere un punto di partenza, per poi capire che l'intreccio è un incastro perfetto, non solo tra passato e presente, che possono essere mescolati, ma anche tra piano reale della storia e invenzione. Una profonda critica della società aleggia su tutto il romanzo, che punta al dietro le quinte della vita perfetta, smontando narrazioni comode e slogan politici; la famiglia perfetta non esiste, così come la vita perfetta, e la verità ha un prezzo altissimo.
Samantha Viva