pp. 112
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Niente di nuovo sul fronte Hollywood, Marilyn Monroe è morta ingerendo una dose letale di pentobarbital, 47 pasticche prese insieme a una dose sconosciuta di idrato di cloralio. Marilyn venne trovata nuda, con in mano la cornetta del telefono. Era notte fonda e dai controlli dell'autopsia si stabilì che la causa della morte era un'overdose di barbiturici ma l'idea che fosse rimasta vittima di un complotto partì subito. Di Bob Kennedy, magari, ma le teorie sulla morte furono davvero svariate e le testimonianze delle persone confermarono tutta una serie di stranezze ed elementi poco chiari.
Io sono Marilyn sembra dire ogni pagina di questa storia straziante, sono fatta di bellezza aliena e sprecata, di amore infinito ed estenuante, la donna più bella che sia mai vissuta, la donna più triste che sia mai esistita. Marilyn è il viaggio tra le lenzuola profumate di un'anima fragile racchiusa nell'ordigno di una bomba atomica, Marilyn desiderata dai potenti perché ambita e irraggiungibile, amante ma mai moglie, santa e demonio. Marilyn tra preghiere e suppliche, tra vita e sogno ad occhi aperti. La Marilyn di Filippo Timi è un'allucinazione comprensiva, è l'intrusione a una psiche poco chiara, è la vita stessa in altri universi, dove il dolore è comune perché tutti siamo un po' Marilyn. Ed è chiaro e normale che Filippo Timi sia innamorato di questa donna nello slancio delle sue fragilità e consapevolezze, perché siamo comunque tutti uguali, tutti diversi.
Filippo Timi non si smentisce, seppure struggente, è sempre chiaro il suo mondo fatto di un vetro sottilissimo come la scrittura delicata ed esauriente che fa da amica alla sua penna. Marilyn è un regalo nel regalo, perché è sì, un racconto dal finale diverso, di quelli che avresti voluto credere, ma è un omaggio anche perché accompagnato dai disegni dello stesso autore. Un'attenzione unica alla donna icona, abbellita ma anche imbruttita e sconvolta dagli eventi col fine di donarle una nuova verve e non una morte. Marilyn di Timi si conclude, infatti, con la diva ancora in vita che scappa a Roma con l'intento di ricominciare una nuova esistenza in essere. La Marilyn di Timi è come tutti noi, in balìa dell'esistenza terrena, padrona di un avanzare artefatto, a volte surreale e allo stesso tempo naturale, dove Norma Jeane divora Marilyn e viceversa, persino un alieno non è così diverso da lei, compassionevole perché sotto lo sguardo di tutti:
«Marilyn, mi senti? Scappa! Scappa da qui, ora. Scappa da tutto questo. Come cazzo ti viene in mente di scoparti il Presidente degli Stati Uniti? Sì, è vero, ognuno ha il suo destino, ma non puoi credere che la vita sia davvero come nei film, anche alle principesse gli si riempie il culo di vermi una volta sottoterra. Non sono bionda come te ma come tutti sono stato un brutto anatroccolo, e anche se adesso m'atteggio a Cino, quando mi guardo quelle pinne di piedi, io mi vedo sempre un anatroccolo ridicolo che fa ridere quando ciabatta il culo in giro. Tu invece sembra che vai in guerra senza armi. Nuda. Attenta Marilyn, gli sguardi delle persone feriscono. Lo sguardo dello scienziato modifica l'esito dell'esperimento. E tu sei un esperimento. Ti hanno cambiato il nome, i capelli, i denti, come camminare, come piangere, come sorridere, come scopare. È normale non capirci un cazzo. È normale sentirsi un Frankenstein. [...] A volte sono così desideroso di essere amato che m'incastro perfettamente col desiderio di chi ho davanti, ma poi mi domando, sarà davvero questo che mi accende o il desiderio di incarnare quello che l'altro si aspetta da me? Dove sta il confine tra la supplica e la preghiera?» (pp. 34-37)
Il racconto di Timi è tutt'altro che una biografia dai tratti salienti sul percorso lavorativo della diva, ma un universo atipico che va da un periodo imprecisato prima della morte ad un possibile epilogo molto diverso da quello che è stata la realtà. In mezzo c'è l'America, ipocrita e bigotta a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, la storia con i Kennedy, il problema con le dipendenze affettive e medicinali, il rapporto con se stessa e anche con il cinema. Timi riesce a fare di tutti questi ingredienti una storia nuova, immagina "come sarebbe se..." e leggendo tutto d'un fiato i colori e gli umori, le gioie, le grida è palese la riuscita di un grande libro per un artista già gigante di per sé. Marilyn riesce ad entrare nel suo lettore perché dietro il costrutto della diva hollywoodiana - bionda, bella, con un grande sorriso - c'è sempre stata Norma, con la sua incertezza, la sua voglia di innamorarsi, la sua paura della solitudine, il suo rapporto conflittuale con la madre. Come descriverla senza rischiare di cadere nella retorica elogiandola proprio per il mito che anche la sua prematura scomparsa ha contribuito a creare?
«Immagino mia madre sfregarsi il pube su uno dei quattro spigoli duri di mio padre, era impossibile pretendere una carezza da un pezzo di cemento armato, o una parola dolce. C'è da esser matti a pretendere una dimostrazione d'affetto da uno scalino di cemento grezzo. Uno scalino ti dimostra il suo amore non crollandoti sotto i piedi. Reggendoti con una salda ringhiera nella discesa e nella salita» (p. 57)
Il grande divario tra l'adorazione del pubblico e lo sforzo per vedersi riconosciuta come donna e come attrice: c'è questo al centro di Marilyn. Una lotta interiore perché alla fine solo il suo personaggio è stato il peggior nemico di Norma Jeane. Il corpo del desiderio, il bisogno fragile, la vita finita e la vita salvata. Noi tutti siamo Marilyn Monroe, sentiamo e soffriamo allo stesso modo, e a volte sarebbe bello spalancare le ali come un'aquila e spiccare il volo:
«tanto cielo tutto intorno fa paura, ovvio, ma il cielo, non dimentichiamolo, comincia dai piedi» (p. 81).
Serena Palmese
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