Le vite degli altri spesso ci appaiono misteriose e insensate. È la libertà che ci rende incomprensibili: ognuno capisce solo la propria e quella altrui gli sembra una forma di pazzia. (p. 283)
Raccontare chi di solito non viene ascoltato: Viola Ardone ha esercitato il suo potere nel dar voce agli ultimi in Il treno dei bambini tanto quanto in Oliva Denaro. Col nuovo Grande meraviglia ci porta tra le mura di un manicomio, negli anni in cui sta per essere approvata la legge Basaglia. Ci vorranno poi altri anni perché effettivamente entri in vigore la chiusura dei manicomi e perché si trovino soluzioni efficaci per i pazienti.
A condurci per mano dentro il manicomio nelle prime pagine c'è Elba, una ragazzina che porta il nome di un grande fiume della Germania, paese di cui è originaria sua madre. Elba è cresciuta dentro al Fascione, dal momento che sua madre era stata internata. Ora tutti le dicono che la madre è morta, ma a lei sembra ancora di avvertire la sua voce e di vederla, di tanto in tanto. Allucinazioni? Semplici desideri di una poco-più-che-bambina? Ciò che è certo è che Elba ha trovato un suo stile di vita lì dentro: è attenta agli altri malati, sfida lo psichiatra Colavolpe a individuare prima di lui le diagnosi dei degenti, ma soprattutto scrive. Tiene un diario in cui prova a mettere in rima la sua vita nel "mezzomondo", mescolando realtà e finzione, spesso senza coglierne la distanza («Che differenza c'è tra quello che è immaginato e quello che è vero? Impazzire può essere un risarcimento, per chi non ha niente di meglio», p. 43). A volte sono rime baciate che, con la loro stramba originalità, con refrain e canzoncine, ci fanno dubitare della salute mentale di Elba; altre volte le sue parole arrivano dritte al cuore, rendendoci molto difficile non scorgere della poesia tra quei muri di cemento.
Fa male questa prima sezione del testo: non se ne esce indenni e, anzi, si comprende che quella apparente leggerezza data dalla rima, a lungo andare, trasuda tristezza e denuncia un bisogno di attenzione. Lo ammetto, ho fatto fatica a percorrere il diario di Elba e ho sperato spesso che arrivasse presto una svolta, perché la sua solitudine, la sua fantasia inascoltata, il suo adattarsi a una vita di reclusione, carezzando la follia, segnano anche la nostra lettura.
Chi vede davvero Elba e si interessa a lei? Forse l'infermiera soprannominata Gillette, per via della sua peluria simile a barba sul viso: la donna, pur dovendo eseguire gli ordini dei suoi superiori e attenersi al protocollo, nutre per Elba un grande affetto. E di affetto da dare, Elba ne ha parecchio: lo riversa sotto forma di protezione sulla Nuova, una paziente magrissima, che non parla; la protagonista non si arrende di certo e fa di tutto per comunicare con lei. Questi sono solo alcuni dei tanti rapporti che si stringono tra le mura del Fascione, alcuni dei quali ci colpiranno per la loro ingenuità, altri per il rischio sotteso a comportamenti decisamente antisociali o masochistici.
Le cose sembrano in parte cambiare con l'arrivo di un "dottorino", uno psichiatra che non ricorre all'elettroshock o ai farmaci, ma che prova la via della psicoanalisi. Stiamo parlando di Franco Meraviglia, un giovane psichiatra che dedica molta della sua vita ai pazienti e che approva le idee di Basaglia. Non è facile neanche per lui prendersi responsabilità inaudite pur di provare ad applicare altre cure e non cercare immediatamente la strada dei farmaci. Elba prova per lui un misto di curiosità e di affetto crescente, a cui si aggiunge un'ammirazione sempre punteggiata di diffidenza: d'altra parte, fin dall'infanzia Elba ha dovuto imparare a cavarsela e non può fidarsi del primo venuto.
Se vi state chiedendo se tutta l'azione si svolga nel manicomio, sappiate che Viola Ardone ha in serbo parecchi colpi di scena nel corso della storia, a cominciare da quello che posso anticipare senza colpevoli spoiler: diversi piani temporali si avvicendano, portandoci ad alternare alle pagine in manicomio altre dedicate alla vecchiaia di Meraviglia e altre alla giovinezza di Elba.
A tratti doloroso, altrove nostalgico, in altre parti ancora colmo di speranza e di fantasia, Grande meraviglia conferma la capacità di Viola Ardone di calarsi nei panni degli altri, anche e soprattutto dei meno fortunati, facendoci comprendere come la fortuna e la libertà siano spesso concetti relativi.
GMGhioni