«Si chiama epigenetica e studia le modificazione che non riguardano direttamente la sequenza del DNA ma la sua struttura, cioè la sua forma tridimensionale, il modo in cui i geni si esprimono. È una disciplina che studia le interazioni tra fattori genetici e sviluppo embriologico. I processi epigenetici non avvengono solo durante la gestazione, ma anche nel corso della vita adulta, e su di esse hanno influenza il caso, l'ambiente e, crediamo, la volontà del singolo [...]. Stiamo cercando di capire il male suo figlio attraverso quello che è successo a lei. Studiamo la trasmissibilità alle generazioni successive del patrimonio di sofferenze che chiunque di noi ha subìto. Delle esperienze che viviamo resta traccia scritta sulla nostra doppia elica. [...] Potremmo definirla un'eredità emotiva: ogni pensiero che elaboriamo, ogni emozione che proviamo si diffonde nell'organismo, influenzando il sistema immunitario, ormonale, cerebrale e , molto più in profondità, il nostro DNA. È accertato che la psicoanalisi e la psicoterapia svolgono un'azione epigenetica». (pp. 25-31)
Maria si interroga con insistenza sulla propria identità cercando di capire come sia possibile che tutto il dolore dei suoi genitori possa cadere su di lei. Scrive quello che sembra un diario; le pagine di un passato e di un presente che si alternano sistematicamente, facendo oscillare la storia come il braccio di un pendolo. Nonostante questo movimento altalenante, lo sguardo del narratore non sembra cambiare molto nel tempo. Maria infatti è una bambina-adulta e allo stesso tempo un'adulta-bambina, strutturata in due parti sovrapposte ma indefinibili. L'abbandono del padre all'inizio della sua storia personale ha comportato la fine di ogni possibile cura materna, la disgregazione della famiglia, la deriva di Maria stessa, così come quella dei fratelli Pietro e Paolo. È proprio il padre a liberare miracolosamente la sfavorevole sorte dalle sabbie mobile dove era rimasta intrappolata. Siamo a Grado, tra acqua di mare e acqua di lago, tra acqua mossa e acqua ferma, movimento e quiete, melma che tutto rimpasta e sporca.
Solo Maria si salva, nonostante le difficoltà, da tutto questo. È la scrittura che cambia il suo destino. Maria ogni volta fallisce, ma ogni volta si rialza e la storia ricomincia attraverso un sistema a doppio racconto: il pendolo passa continuamente negli stessi punti, a ritmo serrato con cambi di scena che rendono la trama più complicata. La magia di questo romanzo è che Maria mantiene pur sempre qualcosa di leggero. La leggerezza di essere, di sopravvivere, di andare sempre avanti, la leggerezza di ricercare costantemente l'incontro con l'altro. Maria come sua madre va a letto con tutti quelli che incontra ed è così che si plasma alla vita: incontrare altre anime e fuggire alla solitudine. Un sentimento di estrema vergogna pervade ogni sua parola, una vergogna che mai diventa materia, mai si addensa, come l'accettazione di voler ancora bene alla madre:
«Anche quando abbiamo capito che era tempo per noi di essere ingoiati nel libro oscuro in cui galleggiava lei, ci siamo sempre sentiti delle pagliuzze dorate in grado di luccicare se lei ci avesse proiettato la sua luce addosso. non avremmo mai dubbi che l'avremmo basta rifiorire e mettevamo in cena un rituale. Iniziavo io a dire: "E quando mamma si risveglia..." e facevo un cenno con il capo a Pietro che continuava "andiamo a prendere le conchiglie...","...e le friggiamo con le scarpe". Oppure "E quando mamma si risveglia...", "...laviamo le briciole," rispondeva Pietro "...e le dipingiamo con i mattoni". Ci facevamo caldo, attendendo che la mamma tornasse a essere una spada elettrica. Ci manteniamo agili e attenti per quanto saremmo stati di nuovo attori e autori del suo grande amore irradiante. La vegliavamo addormentata percentuale preso avrebbe ripeso l'energia potente di quando distribuiva sul tavolo fogli da disegno ruvidi. [...] Che razza di amore è quello insopprimibile per una pazza che mi ha forgiato e mi ha resto uguale a lei?». (pp. 133-135, 155)
Maria non sembra sentirsi in colpa, contiene piuttosto, in tutta se stessa, l'esigenza di conoscere e scoprire la verità su di sé e sugli altri. Cerca i suoi fratelli, poi suo padre, cercando inconsciamente qualcosa di cui non conosce ancora il significato ma che sembra essenziale per diventare una persona diversa. Epigenetica di Battocletti non ha nessuna morale e nessun insegnamento diretto, è più di un romanzo di formazione, forse la svolta che serviva per immaginare il dolore di una famiglia da un altro punto di vista, è il racconto sugli errori dei genitori scritto finalmente senza franchezza e analisi troppo complesse. Non ci sono, nel romanzo, passaggi superflui con frasi aggiunte a orecchio per stabilire la musicalità dei paragrafi. In questo senso, è un lavoro che si adegua alla linea italiana, sempre più condivisa, secondo cui frasi brevi e una narrazione piana sono un buon punto di partenza per concentrarsi sul contenuto. L'autrice non ricade sul contrappunto del dramma familiare, come hanno già fatto in tanti, né si dilunga in inutili descrizioni. Battocletti rende il dramma più tangibile attraverso una scrittura concisa: l'unica via d'uscita è essere una brava persona. È tutto, ma ciò non significa che il risultato sia olistico.
Maria, è l'essere umano per eccellenza, egoista, radicato ma libero, che per decenni trama la distruzione della sua felicità per poi fare un passo nella direzione opposta cercando segreti, volti e voci familiari, e li trova. Ecco che l'epigenetica funziona. Perché tutto resta, una città desolata, le montagne feroci e una famiglia che è niente altro che un "ceppo infestato":
«Li trovavamo disgustosi quei pesci, erano troppo piccoli per pulirli e le viscere li rendevano amari, ma stavamo zitti perché sapevamo che nel cerchio della felicità perfetta c'è sempre un lato nero». (p. 53)