Non c'entra il morire, mi dice. Un pistolero non ha paura di morire, è ovvio. Ha paura di fallire. [...] Sparare è un modo di esistere, un modo drammatico e raro. Scoprire che non ne sei all'altezza, questo fa paura. Al confronto, morire è una passeggiata. (p. 84)
I lettori di Alessandro Baricco, che dal 2015 (anno di uscita di La sposa giovane) aspettano un suo nuovo romanzo, possono gioire: da pochi giorni in libreria è arrivato Abel, una storia ambientata in un West metafisico, in un'epoca imprecisata eppure palpabile. Questo perché il nostro immaginario colma i vuoti che Baricco ha deciso - ben consapevolmente - di lasciare.
Con la sua scrittura essenziale, che non si dilunga in descrizioni precise ma che gioca con pochi dettagli ben selezionati, preziosi per visualizzare quanto avviene in scena, Baricco presenta un protagonista assoluto, l'Abel Crow del titolo, che porta la stella dorata da vicesceriffo ed è considerato da tutti una leggenda da quando, all'età di ventisette anni, ha compiuto un'azione epica. Dunque, non è un pistolero qualunque, ma deve far rispettare la giustizia; non sembra avere timore della morte, perché sparare per lui è quasi un modo per esprimersi, un'arte in cui eccelle.
Occorre tempo per ricostruire la sua storia personale, perché l'autore rifugge dalla narrazione cronologicamente orientata e lineare. Preferisce, invece, lasciare che noi lettori ricomponiamo tessere del passato di Abel attraverso le sue parole o i ricordi, slabbrati dal tempo, resi tuttavia iconici dall'erosione di tutto ciò che è superfluo. E questa scelta narrativa ben precisa sembra essere esplicitata da un passo del libro:
Di tutta la vita che si è vissuta e si vivrà - a saper aspettare, e prima che tutto si dissolva - si incontra il racconto, in attimi speciali, sulla propria strada. È sbagliato aspettarsi qualcosa di lineare, come istintivamente si sarebbe portati a fare. Più facilmente, il racconto di quello che sei stato e che sarai ti viene incontro come una pelle chiazzata di bagliori - pozzanghere lasciate indietro da un uragano in fuga. Vi si specchia il cielo. (p. 113)
Infatti, Abel procede per episodi salienti del presente e del passato, secondo un ordine non sempre intellegibile: sebbene non voglia rovinarvi la sorpresa, anticipo giusto che l'infanzia del protagonista è segnata fortemente dalla presenza ingombrante e poi dall'assenza della madre, creatura inquieta, che sconvolge la nostra mentalità contemporanea per le sue attenzioni incestuose verso i figli maschi e si conferma imprevedibile quando sceglierà di abbandonare i figli. Abel, che è il maggiore, si prende così cura dei fratelli e della sorella, dapprima nella fattoria di famiglia e poi in città.
Se da un lato scopriamo di tanto in tanto la personalità dei fratelli e scelte dolorose che Abel dovrà compiere, dall'altro viviamo da vicino la sua vita erotica e sentimentale. Benché rivendichi la libertà di avere incontri sessuali con altre donne, Abel è legato a Hallelujah Wood - a mio parere, la figura più memorabile del romanzo -, una donna «irresistibile nella sua solitudine e determinazione» (p. 24), con «mani piccole e labbra orientali» (p. 59), che non è destinata a restare sempre accanto a lui, tant'è che spesso si allontana senza dare sue notizie. Hallelujah sa guarire il corpo, mentre suo padre prova a guarire la mente dei pazienti; lei, quasi taumaturgica, mette a tacere molte delle inquietudini di Abel, così come prova a farlo riflettere su alcuni suoi comportamenti che provocano dolore e sofferenza in chi gli sta attorno.
Tra sogni quasi profetici, colpi di scena che porteranno a un'impresa che potrebbe diventare davvero memorabile, incontri con personaggi secondari con una loro storia ben particolare, Alessandro Baricco porta avanti un romanzo essenziale (come ci ha abituato), a tratti onirico e filosofico, in cui rintoccano interrogativi esistenziali, inquietudini e riflessioni sulla vita e sulla morte, sull'infinito, sul senso del proprio passaggio nel mondo.
GMGhioni