Sensazione assoluta di smarrimento e di perdita di identità, oscurità e catene, confusione e desolazione insieme. Tutti questi elementi sono quelli che il protagonista di Vertigine trasmette al lettore già dalle prime pagine.
Chi sia il protagonista, all’inizio, poco importa, sappiamo che è in trappola, che il luogo in cui si trova è buio e roccioso e che niente di quello che gli sta intorno gli è familiare, tranne il suo cane, che insieme a lui è stato prelevato e drogato.
Vertigine di Franck Thilliez Fazi, 2023 Traduzione di Daniela De Lorenzo pp. 312 Vedi il libro su Amazon |
Man mano si capisce che si chiama Jonathan Touvier ed è un ex alpinista, ma non è solo in questo posto, insieme a lui ci sono altri due uomini, Farid giovane maghrebino con un passato oscuro e Michel, un uomo che lavora in un macello. Cosa lega questi tre uomini ad un comune destino di morte? Jonathan e Farid sono legati al polso con una catena, mentre Michel ha una maschera di ferro con un dispositivo esplosivo. Dietro la loro schiena ci sono tre inquietanti cartelli, che recitano “Chi sarà l’omicida?”, “Chi sarà il bugiardo?”, “Chi sarà il ladro?”. Un gioco mortale congegnato per annientarli mentalmente e fisicamente, che metterà alla prova il loro istinto di sopravvivenza e rischierà di portarli oltre ogni limite.
Sussulto. Sussultano anche Michel e Farid. Per la seconda volta, una frana risveglia l’oscurità. È come se il baratro si comprimesse, si richiudesse sopra le nostre teste. Pok inizia a ringhiare. (p. 84)
Come sempre, Franck Thilliez utilizza le parti descrittive in maniera magistrale, tutto ciò che ci racconta non chiarisce ma complica, ogni oggetto assume significato per l’enigma ma ingarbuglia la trama. E ancora una volta, come dentro ad ogni suo romanzo, inizia il gioco.
Gli elementi a disposizione sono pochissimi, rispetto agli altri thriller dello stesso autore, e questo ci fa capire subito che Vertigine è un libro che si discosta dai precedenti. Stessa cura per i dettagli, stessi indizi che sfuggono ad una prima lettura, ma stavolta la scena è ridotta all’osso, solo tre protagonisti, una grotta buia, delle catene che ci fanno sentire subito in trappola, movente e autore del rapimento sconosciuti.
In un’atmosfera che ricorda il famoso film di James Wan Saw, l’enigmista, ma che non manca di varie citazioni letterarie, più o meno velate, dall’Inferno dantesco, con la discesa di Dante verso il mondo infernale, che è anche una salita, costellata di vari gironi e prove, al Conte di Montecristo di Dumas, che si vendicherà dei suoi nemici, assumendo varie identità, fino al “Viaggio al centro della terra” di Verne e al mito della caverna di Platone, con evidenti riferimenti anche al mondo mitologico, quello che Thilliez costruisce è un labirinto mentale, un inganno congegnato per far precipitare anche l’uomo più avvezzo alle più alte vette, verso la profondità delle proprie paure e angosce. Una sfida di sopravvivenza che ci ricorda, in un mondo fatto di tante cose superflue, come siano davvero poche le cose indispensabili, quelle in grado di farci emergere dagli abissi, di liberarci dalle catene e da tutto ciò che non possiamo accettare.
Questo libro si discosta dalla trilogia (composta dal Manoscritto, C’era due Volte e Labirinti) e anche dalle altre opere tradotte finora in Italia, ma che in generale continua a giocare sul tema della memoria, della colpa, dell’inganno e del passato, come chiave fondamentale per costruire il futuro e comprendere il presente. Un abile inganno che apparentemente è molto semplice da condurre, ma che per ammissione dello stesso autore è stato molto difficile da concepire, proprio per la mancanza di elementi facilitatori, in primis il luogo, che è assolutamente scarno e totalmente buio, poi i tre personaggi, che sono ben delineati psicologicamente ma con pochi tratti fisici.
Interessante è la tematica dello spazio, che è un luogo privo di riferimenti ma nello stesso tempo una scena orizzontale con evidenti movimenti verticali, verso il baratro, da cui i protagonisti sembrano essere attratti, pur costretti in qualche modo a non servirsene del tutto, per via delle catene. Deprivazione e amplificazione, modulate secondo vari toni, creano suspense, in una maniera incredibilmente spaventosa, pur nell’immobilità dei tre protagonisti. Un romanzo geniale, al confine tra thriller e noir, al confine tra reale e irreale, nelle zone grigie della memoria e della morale, con cui Thilliez gioca sempre magistralmente, pronto a catturare il lettore e a lasciarlo ancor più spaesato nel finale.
L’INCONTRO A MILANO CON FRANCK THILLIEZ
La casa editrice Fazi ha organizzato, in occasione della presentazione del nuovo romanzo Vertigine a Milano, nell’ambito degli incontri per Bookcity, una tavola rotonda con Franck Thilliez, in cui l’autore si è molto generosamente concesso a domande sul suo ultimo romanzo e anche sui precedenti. Ecco cosa ha detto, sollecitato dalle curiosità dei presenti.
Con cosa gioca Franck Thilliez quando scrive?
“Con le paure dei lettori. La paura di essere rinchiusi, quella di non sapere cosa c’è all’esterno e cosa succederà o anche quelle che abbiamo da bambini, la paura del buio, per immergere i lettori nell’ambientazione del thriller”.
Per raccontare delle cose che non si provano sulla propria pelle, occorre confrontarsi con il lato oscuro. Lei come fa?
“Quando ero giovane ero attirato dai thriller e dagli horror, quando si è adolescenti si vogliono provare queste emozioni per dimostrare di essere più forti di quella paura; volevo quindi portare i miei lettori in territori oscuri per permettere loro di provare le stesse emozioni. Poi nel genere di cui scrivo ci si interessa al malfunzionamento della nostra società, mi chiedo cosa spinge qualcuno a commettere omicidi e cerco di entrare nella loro testa, immagino le emozioni e faccio anche tanta ricerca, su processi criminali e serial killer, mi chiedo se è la società o l’ambiente o ancora il Dna a trasmettere questi impulsi”.
Le è mai venuto in mente di scrivere davvero di un serial killer esistente?
“Quando ho iniziato a scrivere romanzi mi interessavo molto alle storie dei serial killer, però ho sempre inventato le mie storie, basandomi sulla psicologia di personaggi reali, non ho mai preso spunto da un vero fatto di cronaca reale ma ho sempre creato da zero le mie storie”.
Nel suo processo creativo c’è un libro che è pesato particolarmente per temi trattati e per la psicologia dei personaggi?
“Tutti sono libri difficili per me e affondano le radici in cose che potrebbero succedere, per esempio le più difficili sono le storie in cui sono coinvolti bambini, perché essendo padre mi immedesimo molto e ho parlato con diverse famiglie a cui è successo; è sempre molto difficile”.
Qual è il suo processo di scrittura? Come nasce l’idea e come si sviluppa?
“Per prima cosa bisogna trovare una buona idea, questa è la fase più difficile, perché stai lì davanti al pc e pensi a quale possa essere questa buona idea. La seconda tappa è documentarmi e iniziare a creare i personaggi, per Vertigine mi sono interrogato su cosa succede a chi è rinchiuso al buio, e mi sono ispirato ad un esperimento, che uno scienziato ha sperimentato negli anni Settanta, consistente nell'aver vissuto in una grotta per molti giorni, solo restando lì dentro e raccontando poi in un libro tutto ciò che avviene nel corpo. Mentre leggevo il libro mi annotavo alcune cose per i miei personaggi. La terza tappa è scrivere, cercando di tenere conto di quello che avevo immaginato, cose che cambiano a volte in corso d’opera; bisogna stare lì a scrivere per giorni e settimane, è una tappa lunga e difficile ma anche di sicuro la più bella, per la magia della scrittura”.
Se ha dei libri e autori preferiti e cosa ne pensa di Stephen King
“Sicuramente Stephen King è uno dei miei autori preferiti, ho avuto la fortuna di scoprirlo quando ero adolescente ma mi piacciono anche degli autori italiani come Donato Carrisi, ad esempio Il Suggeritore è un esempio di romanzo perfetto”.
Il protagonista del romanzo è un alpinista, c’è anche un dato autobiografico dietro questa passione?
“Amo la montagna ma non pratico perché ho le vertigini, ma amo molto le storie e le serie di montagna proprio per la capacità di andare oltre i propri limiti”.