La nuova quartina di Tetra-, dopo il numero “tondo” della precedente che presentava i numeri dal 17 al 20, sembra avere un tratto in comune: in qualche modo in tutti i racconti troviamo momenti di epifania e fragilità, durante i quali i protagonisti si trovano a dover fare i conti con delle certezze che d’un tratto non sono più tali. In questo limbo sospeso fra il prima e il dopo, i quattro quadretti raccontano – ognuno a proprio modo – ciò che si è perso e ciò che avverrà.
Il bisogno e la necessità di Demetrio Paolin
Sente una strana calma. Mentre Luca e Marco continuano a brindare all’accordo, fuori nell’acqua fredda del fiume, ora che è buio, ora che ogni cosa della vita si è assopita, e nello stupito silenzio le trote stanno nascoste e immobili e i loro occhi neri come le pietre che nessuno vede. (p. 68)
Il racconto di Demetrio Paolin ci parla di fragilità. È la fragilità di un uomo sposato e con figli, con una vita ordinaria nonostante gli alti e i bassi; una vita talmente priva di colpi di scena da far apparire enorme – infinitamente mastodontico – il male di alcune cartelle esattoriali non pagate. È questo banalissimo segreto, le cui motivazioni alla base non sono chiare neanche al protagonista Antonio Silieri, la miccia che porta alla dissoluzione di una vita ordinaria. Da qui, da questo momento esatto, ogni cosa viene messa in discussione, tutto crolla. E l’Antonio che conosciamo a inizio storia è una persona nuova quando chiudiamo l’ultima pagina. Paolin – che ama indagare gli spazi vuoti dell’animo umano – pur in poche pagine riesce a scandagliare il senso di colpa e la fragilità di una persona ordinaria, affacciandosi appena sull’abisso insondabile dei desideri, delle paure e della mostruosità che albergano in ognuno di noi.
Picnic a Kenwood House
di Alessandro De Roma
Il matrimonio è così: un magnifico incontro fra due rinunce, per la sopravvivenza della specie. (p. 24)
La fragilità insita nel racconto di Alessandro De Roma è legata alla perfezione: la perfezione di una famiglia borghese della Londra contemporanea, nella quale i ruoli sono assegnati in un modo talmente esatto che basta una macchia – letteralmente: la macchia sul volto del terzogenito – a far saltare il puzzle. La protagonista Clarissa è una donna che nelle proprie torte mette tutto il proprio ingegno e la propria personalità: De Roma sceglie questo tratto – saper preparare delle torte invidiabili – per delineare non solo una personalità bensì un’intera categoria di persone – anzi, di famiglie – che della perfezione etica ed estetica fanno il centro della propria vita. Tutto va bene finché qualcosa non va storto: con questa tautologia si potrebbe riassumere la lezione morale dietro il libretto di De Roma. Nella tragicommedia che si mette in atto, osserviamo Clarissa e Paul tentare di rimettere insieme i cocci mentre vedono la vita della propria famiglia andare alla deriva. E tutto per colpa di una (assolutamente non) infamante macchia sul volto di un bambino appena nato, venuto, sembrerebbe, a spezzare un equilibrio costruito con tanta fatica.
Tipo psicanalisi di Marta
Cai
Perché non c’entriamo mai un niente con nessuno, mai, noi tre? Non siamo normali, nemmeno questi son normali, ma stan bene perché ne han trovati altri non normali come loro. (pp. 63-4)
Forse non tutti sanno che Marta Cai, divenuta famosa per il romanzo Centomilioni edito da Einaudi, ha esordito con i racconti (ne abbiamo parlato proprio qui, in tempi non sospetti, nell’ormai lontano 2020). E nella forma breve l’autrice sguazza bene, portando in 70 pagine la vita di una famiglia all’apparenza problematica ma, a ben guardare, affetta da problemi ordinari. Un lungo viaggio in Svizzera in un’epoca in cui non esistano smartphone e Google Maps a dare indicazioni, e ci si spostava con le conoscenze dei padri che soltanto sapevano leggere le enormi mappe srotolate sui cruscotti, è l’occasione per carpire i segreti di una adolescente alle prese con i primi amori e di due genitori il cui matrimonio sembra vacillare da un po’. Anita, in questo viaggio, comprenderà in un istante come la loro anormalità sia in realtà soltanto una versione peculiare della normalità delle famiglie. È la loro anormalità a renderli normali, in fin dei conti banali. La scrittura di Marta Cai è un esempio di come si possano unire l’intrattenimento narrativo e la più alta forma di indagine letteraria, quella cioè che racconta bene cosa siano gli esseri umani messi a nudo.
Sedici passeggiate con Kuma di Dario Voltolini
Non sta nemmeno ad ascoltare. Prende la mira per pisciare. (p. 16)
Un uomo porta a spasso il cane. Nella ripetitività di questo gesto quotidiano – e soprattutto: nel tempo che ci si ritaglia lontano dal fluire della vita, che scorre intorno nonostante tutto – ecco che l’uomo ha la possibilità di osservare, riflettere, conversare con se stesso e con l’animale anche se quest’ultimo non può rispondere. Ma l’animale, che non accenna mai a interessarsi perché interessarsi non può, è forse l’interlocutore più adatto per questo tipo di conversazione. In sedici brevi capitoletti, Dario Voltolini affronta argomenti diversi, le cui risposte spesso non soddisfano perché, si sa, in certi momenti la domanda è ben più rilevante. Il dubbio: quello sì che soddisfa.
L’epifania, si è detto nel cappello, è il trait d’union di questi quattro racconti. C’è poi l’elemento della fragilità, che si connette subito al dubbio e all’indagine di sé. Altra cosa che sembra legare tre delle quattro storie è il tema centralissimo della famiglia, questo luogo composto da estranei che ci uniscono per formare qualcosa di nuovo in cui tutto accade, nel quale si gettano i semi di ciò che verrà.
David Valentini
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