«Nella vita nulla è più forte della vita»: "Stramalora" di Gian Antonio Cibotto, dentro la tragedia del Vajont

 

Stramalora
di Gian Antonio Cibotto
La Nave di Teseo, ottobre 2023

pp. 208
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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Completamente ignaro dell'accaduto, e forse equivocando su quanto mi passa per la testa, Guido in segno di protezione mi allunga un braccio sulla spalla, e invitandomi a bere un goccio di di whisky: "Coraggio," esclama, "c'è sempre un Vajont che pesa sull'orizzonte della nostra memoria." (p. 187)
Sessant'anni dopo il disastro del Vajont di Vajont si parla ancora molto. Per fortuna.
L'anniversario della tragedia avvenuta il 9 ottobre 1963 è l'occasione per un ripensamento generale su molti aspetti che le sono connessi: il rapporto tra uomini e paesaggio, la progettazioni delle grandi opere, la sottovalutazione dei rischi idrogeologici, l'assunzione della responsabilità, la memoria come spinta che attiva un cambiamento collettivo. 
Anche le arti hanno avuto un ruolo decisivo in questo ripensamento. Cinema, teatro, letteratura, musica si sono misurati tante volte nel corso del tempo con il ricordo del Vajont - si pensi all'opera di Marco Paolini, per citarne solo una - perché quella frana rappresenta un punto preciso di rottura nella valle della storia italiana, per usare la metafora.

Tra le voci più intense e meritevoli di attenzione c'è quella di Gian Antonio Cibotto (1925-2017), giornalista, critico letterario e teatrale che dell'evento ha scritto tra i primi, inviato da subito nei territori colpiti per raccontare al resto d'Italia cos'era successo. La Nave di Teseo è impegnata nella pubblicazione della nuova edizione delle sue opere ed è così che riaffiora Stramalora, libro che sembra emergere dal fango e dai detriti di quell'evento come un gioiello che si è salvato. Il volume presenta la prefazione di Gian Antonio Stella, la postfazione di Cesare De Michelis e in Appendice riporta due articoli che Cibotto scrive nelle prime ore dopo la frana. 
Quando in quella notte di ottobre viene incaricato di partire per la valle del Piave sono tanti i sentimenti che si affollano in lui: l'incredulità, la tristezza, il mesto ricordo dell'alluvione del Polesine del novembre 1951 che aveva già vissuto e raccontato. Posto ancora una volta di fronte alla cruda devastazione operata dall'acqua - in questo caso dalla montagna d'acqua che il crollo ha scaraventato sui paesi della valle - l'autore racconta di getto quello che i suoi sensi percepiscono: il fango che ha mangiato le case, i corpi ritrovati e quelli per sempre perduti, i pianti dei sopravvissuti, la disperata opera dei soccorritori («Singhiozzano quelli del posto e singhiozzano gli alpini: forse qualcuno di loro ha scoperto la morte per la prima volta, e l'impressione dev'essere stata di una brutalità imprevista...»).
Stando al racconto di chi era lì, scrive Cibotto, l'agonia del Vajont durò esattamente sei minuti. Sei soli minuti bastarono ad annegare tutto sotto le onde d'acqua e di detriti, mentre "la nera ala della morte" stendeva un'ombra su tutta la zona di montagna. 
Le ferite del suo Veneto (Cibotto era nato a Rovigo) emergono dai primi articoli scritti a caldo e da tutte le testimonianze che poi ha costruito, riflettendo per anni e anni su quella tragedia.
Ci sono pagine che sono pura intensità in cui gli abitanti sono trasformati in fantasmi e i luoghi vengono distrutti e ricostruiti attraverso le parole, così impotenti e insieme così necessarie in momenti come questo. 

La Stramalora del titolo è la maledizione pronunciata da un ubriaco, di notte
, lungo il canale della Giudecca: «Questa no' xe più 'na malora, ormai la xe deventada 'na stramalora...». 
Una difficile ricerca di senso di fronte alla tragedia, al caso, alle varie concause
Benché le voci che nel libro parlano davvero non siano poi molte, il testo è corale perché raccoglie l'eco di tutte le voci di questa storia. A volte sono flebili, infantili e simili a pianti, sembrano quasi allucinazioni. Non le si sente sempre distintamente, così come chi era lì faticava a sentire e vedere sotto la nube e la polvere calcinosa che toglievano il respiro: «Mi pareva di camminare in un luogo che non avevo mai visto, perché era cambiato tutto, e se non fosse per i lamenti, per i cadaveri disseminati un po' dovunque, avrei potuto credere di trovarmi sulla luna.»

Stramalora
è una cronaca-ricostruzione perché letteralmente cerca di ricostruire e riedificare a partire da ciò che resta dell'umano. Tutta la dialettica del libro sta nel silenzio che si alterna al dire, sempre nella ricerca di un massimo rispetto per chi è stato colpito
Il Vajont e le sue persone non sono scritti e ricordati come il frutto di un casuale destino avverso mandato da chissà chi. A Guido si affidano alcune delle parole più commoventi del libro: 
Non si tratta d'un cataclisma naturale, ma d'una tragedia degli uomini, che ancora una volta hanno sacrificato tremila esistenze al vitello d'oro [...] D'altronde la colpa non è da imputare tutta agli uomini, ma a chi ha inventato la beffa ignobile della vita: una cosa tremenda. Per sopportarla uno deve velarne gli aspetti più crudi, le immagini più spietate, gli episodi più brutali, come faccio io, che attraverso il culo del bicchiere la vedo rimpicciolita, distante, inoffensiva. (p. 187-188)

Con la pietà e l'equilibrio propri dei grandi giornalisti, Gian Antonio Cibotto scrive una storia che va oltre la cronaca e diventa un romanzo che parla degli uomini, del modo con cui affrontano le frane dell'esistenza, della consistenza e dell'inconsistenza morale di fronte ai drammi, della ricerca di un insieme quando ci si sente soli, della morte che è capace di mangiare la vita di una valle in sei minuti. 
Ma parla anche dei bambini che tornano a giocare, delle donne che stendono i panni nei cortili, degli operai che vanno al lavoro: della vita che, nonostante tutto, resiste agli urti con se stessa. 


Claudia Consoli