La parte orientale dell’Ucraina - e cioè, per essere più precisi, quell’area che viene definita con il toponimo “Donbas” - è probabilmente la regione ucraina più mitizzata e allo stesso tempo più demonizzata. L’immagine del Donbas è intrisa di miti e stereotipi, forgiati dai vertici sovietici e poi rafforzati e tramandati dai vertici politici locali dell’Ucraina indipendente. (p. 12)
Kateryna Zarembo, analista politica, docente universitaria e ricercatrice presso la Techincal University di Darmstadt in Germania, prova con la sua «prosa documentaria» (p. 19) a fare luce e chiarezza sul Donbas, un’area sulla quale sono stati puntati i riflettori di tutto il mondo il 24 febbraio 2022, in seguito alla “operazione militare speciale russa” di Putin. La rigorosa ricostruzione della storia socio-culturale e linguistica di quell’area, che nel giro di poche ore si è posta al centro dell’attenzione dei media, si è resa forse ancora più doverosa, vista la confusione che si è generata (complice anche la propaganda russa) intorno al lessema-toponimo Donbas. In queste settimane, mentre l’attenzione internazionale si è spostata in Palestina, è giusto ritornare a pensare anche quell’area e a tutta l’Ucraina martoriata, perché lo spargimento di sangue non è finito. Ho trovato allora davvero utile e illuminante questo saggio-documentario che si sforza di dare un’«interpretazione molto vicina alla verità» (p. 19) - così alcuni interlocutori di Zarembo hanno definito il suo lavoro documentario - dei fatti e delle voci che ci parlano di Donetsk e di Luhansk.
La studiosa, sin dalle prime pagine, ribadisce la necessità di delimitare geograficamente l’area in questione: la parola "Donbas", infatti, non definisce nulla, è un termine coniato nel XIX secolo da un ingegnere russo per indicare il bacino carbonifero di Donetsk e che non corrispondeva agli attuali confini amministrativi dei due oblast sopracitati, anche perché una parte di quest’area mineraria allora era situata in Russia. Il Donbas è quindi un’area industriale non una regione amministrativa: una zona troppo appetibile per riconoscerne l’identità ucraina. Lo stesso Lenin disse:
Senza il Donbas […] la costruzione socialista sarebbe rimasta semplicemente una buona intenzione. (p. 28)
In questo territorio ogni tentativo di costruire una identità nazionale ucraina è stato stroncato con diversi mezzi, e la ricercatrice ce lo spiega in maniera impeccabile ricorrendo a svariati documenti, tutti riportati a fine libro (da leggere con attenzione anche la nota della traduttrice). Prima di tutto, l’Unione Sovietica ha cancellato la storia di quella regione, coltivando e promuovendo il mito del perfetto minatore, espressione dell’industriosità sovietica. È stata fatta, dunque, tabula rasa della complessità storica e culturale dell’area e soppiantato anche la storia cosacca di quelle regioni, riducendole a una realtà monolitica.
In quelle regioni il “mito del minatore” e il culto della forza fisica continuarono a essere fomentati dai governi locali anche nell’Ucraina indipendente. L’identità regionale legata al settore minerario veniva posta in maggiore risalto rispetto all’identità nazionale ucraina. Per esempio, ogni ultima domenica di agosto la giornata nazionale del minatore veniva festeggiata in pompa magna e le veniva dato un rilievo ben maggiore rispetto al giorno dell’Indipendenza dell’Ucraina, la ricorrenza annuale che si celebra il 24 agosto. (p. 32)
Si potrebbe quindi pensare che l’industriosità dei minatori e la redditizia estrazione mineraria avessero reso particolarmente ricca quell’area: nulla di più errato. I dirigenti locali corrotti non hanno saputo amministrare i ricavi, intascandoli a vario titolo e rifiutandosi di promuovere innovazioni e riforme volte a mettere in sicurezza le vite dei lavoratori, con la conseguenza che, nel primo decennio del Duemila, miniere e minatori erano in numero così sparuto da far sfumare quell’identità costruita ad hoc dalla propaganda post-sovietica per Donetsk e Luhansk.
Per quanto riguarda invece la questione linguistica e culturale di quell’area, ben analizzata da Zarembo in un ampio studio (interamente riportato nel volume), ci si rende immediatamente conto che fermarsi a leggere i risultati delle recenti ricerche demoscopiche, da cui risulta che il russo sia parlato quotidianamente da oltre l’80% della popolazione del Donbas, non rendono valore alla verità storica. Il Donbas non è sempre stato russofono, tutt’altro. Quell’area, che parlava in buona parte l’ucraino, è stata vessata in ogni modo già sotto Stalin. Non tutti hanno sentito parlare dell’Holodomor (il termine è ucraino) - i nostri libri di storia spesso non ne fanno cenno - ma è stato uno dei periodi più bui e atroci della storia dell'Ucraina. Tra il 1932 e il 1933 i contadini di quel Paese vennero letteralmente fatti morire di fame: una carestia voluta dall’Unione sovietica, che provocò la morte di milioni di persone. Insieme all’Holodomor venne comminato anche un vero genocidio culturale: i sovietici con soprusi e violenze provarono a cancellare la lingua ucraina dal Donbas. Molti docenti dell’Università di Donetsk che facevano lezione in ucraino vennero allontanati, i corsi soppressi, i dissidenti deportati.
Non solo il Donbas ha forti radici ucraine, ma […] quella regione avrebbe potuto arricchirsi artisticamente se non fosse stata “dannata dalla materia prima“. L’espressione “dannazione della materia prima” viene usata per indicare la priorità industriale promossa dai vertici sovietici per quella regione: infatti, è proprio per la presenza della materia prima che quella regione è stata non solo intenzionalmente colonizzata, ma anche scrupolosamente deucrainizzata. (p. 39)
La studiosa riferisce, a beneficio della ricchezza documentaristica, che in realtà in quelle regioni donbasiane la differenza tra russofoni e ucrainofoni non è netta, poiché esiste una lingua autoctona ibrida, un ucraino arricchito di termini russi chiamato surzhyk parlato in tutto il Donbas. Prima dell’invasione russa del 2014, essere russofoni non significava essere per forza anche russofili, infatti le persone intervistate da Zarembo hanno affermato di non aver desiderato l’indipendenza dall’Ucraina. Le origini del separatismo in quell’area sembrano piuttosto pilotate dai media e comunque non partirebbero dalla popolazione civile, ma dai vertici politici donestskiani sotto l’egida della Russia:
«Il 28 novembre 2002, cinque giorni dopo il secondo turno delle elezioni politiche, fu organizzata una riunione di deputati, la maggioranza dei quali erano rappresentanti del Partito delle Regioni, nella quale fu avanzata la proposta di fondare una Repubblica sudorientale autonoma ucraina che avesse il suo centro a Kharkiv. La nuova Repubblica autonoma avrebbe dovuto includere otto regioni dell’Ucraina orientale e meridionale e la Crimea». (p. 49)
Parlare della storia del Donbas, ricostruendone le origini culturali e i legami con la storia europea, vuol dire dimostrare la complessità di quella regione, che anche dal punto di vista religioso presenta una situazione stratificata: nella realtà di Donetsk e di Luhansk è possibile trovare chiese greco-ortodosse, protestanti e comunità islamiche. Un’altra questione affrontata dal libro è la radice filo-europea di queste regioni dell’Ucraina orientale: la scoperta e i primi investimenti nel bacino carbonifero sono stati europei, soprattutto belgi in primis, poi inglesi, francesi e tedeschi.
Sono stati gli europei occidentali a creare le basi del futuro”orgoglio industriale” del Donbas. La storia delle miniere donbasiane nacque nel 1865 con l’arrivo dell’imprenditore gallese John Hughes nella città di Yuzivka, l’odierna Donetsk […] nel 1899 una società belga impiantò a Kostyantynivka la fabbrica di vetro Avtosklo, che in seguito sarebbe diventata un vero orgoglio del Donbas. (p. 107)
Con la Prima guerra mondiale, il regime zarista riconvertì tutta l’industria, indirizzandola verso la produzione bellica e, dopo, con la rivoluzione bolscevica, i capitali europei vennero ritirati dal Donbas. Tuttavia era proprio attraverso le miniere che era stata aperta una finestra sull’Europa, poiché se non proprio i minatori, almeno i loro figli conobbero, primi in tutta l’ex URSS, gli oggetti simbolo della cultura occidentale dell’epoca: i jeans e lo stereo. L’Europa è stata vista sempre in maniera ambivalente: da un lato la si guardava con scetticismo e sospetto, dall’altro la si agognava come miraggio di una vita alternativa, desiderabile. Più specificamente, l’atteggiamento verso il modello europeo cambia a seconda delle generazioni: nei primi anni del Duemila erano i giovani tra i 19 e i 29 anni i più aperti al dialogo con l’Europa e a un ingresso dell’Ucraina nell’UE, semplicemente perché, rispetto ai loro genitori e ai loro nonni, avevano avuto la possibilità di viaggiare e studiare nel vecchio continente e ne erano rimasti affascinati, consapevoli dell'esistenza di uno standard di vita più desiderabile.
Nel poderoso lavoro di Kateryna Zarembo è possibile per la prima volta conoscere meglio da vicino i movimenti culturali dei giovani studenti universitari, sia in Donetsk che in Luhansk, che, con estremo coraggio hanno provato a cambiare il nome delle loro università e a difendere l’ucrainità del Donbas. Correnti musicali, teatrali e letterarie apparse in quelle regioni nei primi anni del Duemila hanno dato linfa alla protesta e alla resistenza culturale ucraina.
Donbas è Ucraina è una raccolta di documenti e testimonianze che finalmente gettano luce su un’area di questo Stato su cui è stato detto tutto e il contrario di tutto, e lo fa con un linguaggio accessibile e incisivo che la rende, in un mondo fatto di informazione e propaganda, un lavoro prezioso e necessario.
Marianna Inserra