L'autore e Carolina Pernigo durante l'intervista a Palazzo Maffei |
Ho scritto molto su personaggi storici, artisti, architetti, musicisti,
ed è stato un po' strano affrontare la storia di mia madre dopo aver narrato di
personaggi come Anna Achmatova o Eva Calvino, la madre di Italo. Un giorno,
come ho scritto nel primo capitolo del libro, ho sentito alla radio questo brano
meraviglioso di Godovskij, “I giardini di Buitenzorg”. Buitenzorg era il nome,
in epoca coloniale, di una città molto verde, sud di Batavia, la capitale.
Buitenzorg in francese si può tradurre "Sans Souci”, “senza pensieri”. Era una località dal
clima mite, dove aveva sede il palazzo del governatore. Io non avevo mai sentito
niente di Godovskij, anche se veniva da Vilnius,
una realtà che avevo esplorato all’interno di Anime baltiche. “I giardini di Buitenzorg”, alla radio, sono stati
la mia madeleine: improvvisamente mi
sono tornate in mente tutte le storie che mia madre mi aveva raccontato
sull’Indonesia e io ho ricordato che avevo anche molte sue lettere.
Ho ricevuto queste lettere nel 1992, le ho lette, ma in quel momento non ero in grado di farci nulla. Le ho trovate molto interessanti, molto toccanti, ma al tempo ho deciso di tenerle con me e mi sono detto che quando sarei stato vecchio, il mio ultimo libro sarebbe stato su mia madre e sulle radici da cui sono venuto.
Ma questo
non sarà l’ultimo libro…
No… Ero un po’ spaventato quando è uscito, perché avevo detto a tutti i giornalisti che sarebbe stata l’ultima cosa che avrei fatto prima di morire, così ho iniziato a scrivere molto velocemente un altro libro, e poi altri ancora… (ride) Comunque, quando ho sentito la melodia di Godovskij, improvvisamente ho individuato un modo per scrivere quel volume: potevo legare mia madre, la musica e la figura di Godovskij. Nel 1922 lui arrivò in Indonesia. Era un compositore e un meraviglioso pianista, al tempo il migliore. Gli piaceva viaggiare, anche se all’epoca non era così facile, e portava con sé i suoi pianoforti da concerto, e anche il suo accordatore. Andò in Giappone, in Cina, in Indonesia, ma anche in America Latina, in Australia… girò tanto per il mondo. In questo mi assomiglia molto. Dovunque lui fosse, provava a creare composizioni ispirate alla musica locale. A Giava sentì la musica del gamelan, una forma artistica molto antica, in cui la melodia era accompagnata dalla danza. Nelle cerimonie si utilizzavano fino a venti o trenta percussioni. Godovskij era così emozionato dall’idea di scrivere questa suite su Giava… la compose tra New York e Chicago.
La
curiosità, intesa come apertura verso il mondo, è uno degli elementi che
maggiormente accomuna Olga e Leopol’d Godovskij. La ricerca ti ha portato a
scoprire congiunzioni, e caratteristiche inedite, nell’uno e nell’altro. Come è
cambiata la tua percezione di tua madre, dopo aver letto le sue lettere e
averne conosciuto il periodo giavanese?
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Lo
scambio tra Oriente e Occidente che viene vissuto in prima persona da Han e
Olga si ritrova anche nella figura di Godovskij, nella musica che prova a fare
e che trova la sua massima realizzazione nella suite di Java. Quali sono i
frutti più preziosi di questo scambio, sul piano privato, per i tuoi genitori,
e su quello musicale, nell’arte di Godovskij?
I miei genitori venivano da un paese piccolo e hanno scoperto questo grande mondo. Mio padre era un intellettuale e aveva studiato teologia, specializzandosi sull’Islam. Ma osservare l’Islam in Indonesia è stata una grande esperienza: ha scoperto che c’erano molte religioni, molti pratiche di culto, molti modi di vivere la vita, e che uno non era migliore dell’altro. Uno dei motivi per cui mio padre era stato mandato là era per cristianizzare le popolazioni locali, ma molto presto ha iniziato a chiedersi cosa potesse mai portare a queste persone in termini di fede, visto che loro avevano già dei sistemi di credenze ampi, complessi. Forse non credevano nelle stesse cose in cui credeva lui, ma erano forse più credenti di quanto non lo fossero gli europei… Lo scopo di viaggiare, di vivere in un altro paese, è proprio questo, aprire la mente. Noi siamo di vedute molto ristrette, pensiamo che il nostro modo di vivere sia l’unico possibile.
Uno dei
temi che emerge dalla narrazione è lo scarto che sussiste tra una logica
colonialista, che per molto tempo ha trattato in ottica “predatoria” le isole
dell’Indonesia, e figure di intellettuali, musicisti, artisti e mistici che
invece vi sono approvati con uno spirito diverso, di apertura, e ne hanno preso
tanto quanto hanno dato…
Il colonialismo è stato un sistema economico per
guadagnare in maniera orribile, sfruttando le persone e il paese… per esempio,
in Indonesia c’era un sacco di petrolio, la compagnia Shell aveva base lì ed è
diventata una multinazionale... Grazie alle lettere di Olga, però, ho capito
che i miei genitori, quando sono partiti, avevano buone intenzioni. Pensavano
di avere una missione civilizzatrice, ma dopo alcuni anni hanno capito che non
c’era nulla da civilizzare, perché quella indonesiana era una civiltà antica,
sviluppata.
L’esistenza
di Han e Olga e dei loro due bambini viene travolta dallo scoppio della seconda
guerra mondiale, che è anche il periodo in cui le tracce si fanno più labili,
dato il venir meno delle lettere. L’esperienza dei campi di prigionia
giapponesi incide su di loro, e contribuisce a ridefinire la loro esperienza in
Oriente. Che cosa, dell’entusiasmo iniziale, si è salvato da quegli anni, e
cosa invece è andato perduto?
Tutto è stato perso. I miei genitori sono stati sette
anni in paradiso, il loro è stato un romanzo
d’amore. Grazie alle lettere di Olga, ho scoperto che si amavano molto
intensamente, erano anime complementari. È stato anche un romanzo di formazione, di scoperta della vita. Tutte le lettere
di Olga erano rivolte alla sorella più giovane, Nora, a cui era molto legata. Nora
era fidanzata con il migliore amico di mio padre, quindi le due coppie erano
molto vicine l’una all’altra. Le due sorelle erano molto aperte nei loro
scambi. In una lettera Nora ha chiesto a mia madre: “Com’è essere sposata?”, perché
lei non lo era ancora, e “Com’è fare l’amore ai tropici?”, e lei le ha risposto:
“Molto caldo”, e ha poi spiegato che molto spesso lei e Han andavano insieme
sotto la doccia…
È poi arrivato il tempo in cui loro volevano dei figli
e ci sono state delle difficoltà. Olga ha subito un’operazione, e chiaramente a
Celebes, nella città di Makassar, dove erano in quel momento, la situazione
medica era molto precaria. In seguito lei ha perso una figlia a soli tre giorni
dal parto. L’esperienza è stata terribile, l’ha condotta alla depressione, ma
nelle lettere si può vedere come grazie all’amore del marito sia riuscita a
riprendersi. Infatti un anno dopo, in una lettera, lei dichiara la volontà di
riprovarci. Quella che ho scoperto, alla fine, è stata la storia di una ragazza che è diventata una donna, e di una donna che
è diventata mia madre.
Tutto è cambiato quando è scoppiata la guerra. Lei
aveva già due figli ed è stata per tre anni e mezzo in un campo di prigionia giapponese. Il campo è stato bombardato. Il
marito era lontano, in un campo diverso, a duecento chilometri di distanza, e
non c’erano comunicazioni. Una sola volta mio padre ha provato a inviare una
lettera, ma chi doveva fare da tramite è stato arrestato, e mio padre maltrattato
in una maniera orribile.
Il più grande disinganno è però avvenuto nel momento
dell’arresto: quando mia madre è stata presa, come scrivo nel libro, lei e i
miei due fratelli sono stati stipati insieme ad altre venti o trenta donne e
bambini in un camion, e molte donne locali, mentre passavano, lanciavano pietre
su di loro. Lei conosceva molto bene alcune di quelle donne, perché aveva insegnato
loro a cucire, durante gli anni precedenti; era stata invitata nelle loro case,
aveva chiacchierato con loro nella loro lingua, il makassar. In quel momento
mia madre si è detta: “Queste pietre non sono per me”, ma nel campo continuava
a ripensarci, e alla fine della guerra si è detta: “Quelle pietre erano anche
per me”. Questa è stata la fine di un’illusione.
Questa è forse la più personale tra le tue opere.
In che misura scavare nel passato dei tuoi genitori ha implicato anche un
lavoro di scavo dentro di te?
In realtà ho scritto
più di me in un’altra opera, una sorta di autobiografia [ancora inedita in Italia]. In questo libro io ho scoperto
maggiormente un’altra persona. Questo
è un libro su mia madre prima che diventasse mia madre e questa donna, questa
Olga… io non la conoscevo, e questa scoperta è stata la cosa più importante per
me, a livello personale. Quando il libro è stato pubblicato in Olanda, ho
ricevuto una parte di un documentario registrato nel 1938 a Sulawesi (Celebes).
[ci mostra un video in cui si vedono Olga e Han, giovani e spensierati, che ridono in un giardino, tenendo un mazzo di fiori]
Quando l’ho visto, improvvisamente, ho capito la disillusione che hanno subito durante e dopo la guerra. Questo è un piccolo filmato di felicità e mostra come erano insieme. Puoi vedere l’amore che provavano l’uno per l’altro, come si rivolgono agli altri, la loro apertura mentale. Quello che ho imparato da questo libro, e dalle lettere di mia madre, è chi erano le persone che mi hanno generato. Grazie a questo, sono stato in contatto con loro. E questo è stato il traguardo più importante per me, la conquista più grande.
Un ringraziamento a Valentina Zanoni per la mediazione linguistica durante l'intervista
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