Quel ramo del lago di Como, appena pubblicato da Neri Pozza, è un esperimento narrativo e in parte saggistico decisamente imprevedibile: l'autrice, Maria Teresa Giaveri, maneggia con consapevolezza materia narrativa e storica per costruire una sorta di "crossover" ardito e molto colto.
L'idea, in sé, è semplice: dovendo aspettare nella bottega del suo libraio-editore Baudry, Alexandre Dumas inganna il tempo leggendo le bozze di un tale autore italiano, Alessandro Manzoni. Non ci vuole molto perché Dumas si accorga di una coincidenza: i Promessi sposi iniziano proprio «laddove oggi si chiudono i miei Moschettieri» (p. 11), nel novembre 1628. Per queste e per altre ragioni, Dumas desidera ricevere una copia del «libro milanese» o almeno le bozze, per proseguire subito la lettura. E alla sera lo scrittore francese legge fino ad addormentarsi sulla copia.
È allora, con il più celebre degli escamotage narrativi - perché in sogno tutto può accadere - che proprio nel 1628, i Moschettieri compiono un viaggio in Italia e, lungo il loro cammino, incappano nell'arcinota scena con don Abbondio e i bravi che dà inizio al romanzo manzoniano. E i cavalieri francesi, completamente ignari del momento di tensione, chiedono indicazioni per una buona locanda al parroco e ai bravi. Fin da questo primo capitoletto si capisce tutta l'ironia che intride questo racconto lungo (parliamo di poco più di cento pagine in formato ridotto), che culmina spesso in note in calce a ogni capitolo in cui l'autrice commenta o postilla quanto è appena accaduto.
I successivi incontri con i personaggi manzoniani avvengono, perlopiù, all'insegna dell'equivoco: scambi di persona, errori e successive agnizioni rendono i Moschettieri un po' macchiettistici, perché completamente avulsi dal contesto storico-sociale e culturale in cui sono immersi, per cui i fraintendimenti sono all'ordine della pagina. Tornano soprattutto l'Innominato (chiamato per nome), la monaca di Monza (con alcuni gustosi colpi di scena) e ovviamente Renzo e Lucia (non così protagonisti come potremmo immaginarci). Le virate narrative sono decisamente imprevedibili e alcune sembrano dar voce al carattere e ai desideri dei personaggi manzoniani con qualche scelta un po' estrema.
Poi, una svolta ci porta a parlare della storia secentesca, con una missione che riguarda i Moschettieri e che poco ha a che fare con i personaggi manzoniani, eppure... Eppure Maria Teresa Giaveri, quando sembra allontanarci dall'idea originaria per raccontare quasi un'altra storia chiusa nella principale, tiene tutto quanto ben unitario con il suo stile, il suo sorriso e il suo savoir-faire narrativo: occorre fidarsi perché sembra strizzarci l'occhio e prometterci che le fila del discorso torneranno poi tutte quante a combaciare.
Forse questa non è una storia per tutti: sarà pienamente apprezzata da chi conosce il mondo dei due romanzi di partenza e un po' della mentalità secentesca. Solo così si può penetrare a fondo, andando oltre la mera storia per godersi gli elementi metanarrativi, trovare una velata critica sociale e cogliere appieno il gioco di specchi tra le due storie originali e questa nuova stravagante versione.
GMGhioni
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