Gli era stato insegnato a essere cortese, ma Cono il dominio di sé spesso lo perdeva, era ancora giovane e impetuoso, un galletto ruspante impertinente, come lo chiamavano affettuosamente i paesani. Peccava in sentimenti esasperati, e molto in orgoglio, non pensava che a scendere in guerra, se ferito, senza preoccuparsi delle implicazioni. (p. 82)
Il nuovo romanzo di Lorenzo Marone, Sono tornato per te, ci porta indietro nel tempo: è il fascismo a condizionare almeno in parte le decisioni del giovanissimo protagonista, Cono Trezza, detto "Galletta", e dei suoi contemporanei. Lui, figlio di contadini, ha fatto della terra e degli animali una scelta di vita: non è mai stato interessato all'istruzione né a spostarsi dal suo paesino, Vallo di Diano, tra Campania e Basilicata. Anzi, quando conosce, Serenella, resta immediatamente colpito dalla sua avvenenza, tanto quanto dalla sua determinazione, insolita per una ragazza all'epoca e spesso scambiata per sfacciataggine. Se molti lo mettono in guardia perché Serenella è la figlia del fabbro socialista del paese, a Cono questo non importa. Anzi, quando scopre di essere ricambiato, nulla, neanche le parole di sua madre, possono fargli cambiare idea: Serenella un giorno sarà la sua sposa.
Se questa parte del romanzo è piuttosto idilliaca, serena e sentimentale, scossa solo dai colpi di testa di Cono, impulsivo e geloso di Serenella, la seconda parte del romanzo cambia totalmente. Cono, infatti, per aver difeso a suon di pugni una ragazza che ha subito violenza da parte del figlio del podestà, viene deportato. Ed è la vita nel campo di concentramento, quella che occupa la successiva metà di Sono tornato per te.
Cono riesce a ritagliarsi un ruolo all'interno del campo: benché sia solo un contadino, sfrutta la sua abilità nel dare e schivare colpi. «Pugile per necessità più che per passione» (p. 224), Cono viene dispensato dai lavori più pesanti all'aperto e sta invece in officina. Mangia pochissimo, ma c'è chi pensa a lui e gli riserva qualche pezzo di pane. Qui, infatti, conosce persone senza le quali, probabilmente, non ce l'avrebbe fatta a sopportare la vita nel campo. Tra gli altri, resta impresso Palermo, un romano che tace volentieri sul suo passato e che, dall'esperienza della sua età adulta, ricorda spesso al suo amico che «qui dentro di eroi non ce ne stanno» (p. 172). Sì, perché anche nel campo di concentramento Cono diventa spesso "Galletta", ovvero fatica a contenere l'istinto di aiutare chi è in difficoltà, pur rischiando a sua volta la vita. E Palermo lo aiuta a tornare con i nervi saldi:
«Galletta, tu sei troppo giovane e mo tutto te pare bianco o nero, ma vedi che non è così. Ogni giorno qui dentro da vivi è un giorno guadagnato, e questo dovemo fa' noi, no? Dovemo campa', perché che ne sai domani che succede?» (p. 206)
Insomma, dentro al campo le questioni di principio vanno abbandonate; occorre maturare una strategia per sopravvivere. A qualunque costo. E se un giorno Cono dovrà battersi contro un tedesco, bisognerà fare i conti, da un lato, con l'istinto di dare soddisfazione a tanti altri prigionieri come lui, che non aspettano altro che una vendetta, perlomeno simbolica; e dall'altro col pericolo che gli altri soldati decidano di sparargli, in caso di vittoria. Questa è solo una delle tante questioni etiche che percorrono questo romanzo di Lorenzo Marone, in cui troviamo piccoli gesti di generosità in grado di scaldare il cuore, così come storie molto particolari che rendono indelebili personaggi secondari. Altro filo rosso, che non subisce alcuno strappo nel corso del tempo, è l'amore per Serenella, che anima il giovane Cono anche quando le forze e le speranze scarseggiano. Tornare nel suo paesino da Serenella e da chi resta della sua famiglia sono uno sprone continuo a non lasciarsi andare.
Ispirato a vicende reali, Sono tornato per te è una storia che colpisce specialmente per l'esperienza concentrazionaria: la prima parte del romanzo è molto morbida, forse troppo; è chiaro il desiderio dell'autore di creare un contrasto brusco e fortissimo tra la vita idealizzata in paese (pur con tutte le difficoltà del quotidiano) e il dramma del campo di concentramento, ma in effetti oltre cento pagine per la prima parte non sarebbero state necessarie, a mio avviso. Quanto allo stile, Lorenzo Marone ha da sempre una propensione a scrivere con una sintassi marcata (su tutte, domina la dislocazione a sinistra), e non solo nei dialoghi. Questo può essere un tratto distintivo ben riconoscibile; chiaramente, deve piacere, perché potrebbe infastidire un po', a lungo andare. Ma non starei a insistere su questo aspetto: le pagine di Cono Trezza nel campo di concentramento costituiscono un esempio narrativo fortissimo ed estremamente equilibrato - si direbbe, forse, più ispirato e narrativamente compiuto.
GMGhioni
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