di Vito di Battista
Gallucci, novembre 2023
pp. 400
€ 16,50 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
«Non è solo che non hai venduto abbastanza con il vecchio, Pierre, ma che il nuovo è, come dire, elegante, intelligente, davvero ben scritto, originale, intimo, con una voce che si fa rispettare e che è poi il motivo per cui ho insistito tanto per averti qui con noi. Ma sai, forse è troppo intelligente, fin troppo elegante. E tu sei così, è questo il modo in cui scrivi, e io l'ho sempre trovato un piccolo miracolo, però ecco, sì, insomma, è sempre un po' la stessa solfa». (p. 14)
Il secondo romanzo è sempre più difficile e pericoloso del primo. Pierre, scrittore e operatore del settore editoriale nella Parigi degli anni Settanta, sta imparando questa verità. Il suo nuovo titolo viene rifiutato dalla sua casa editrice, ma una lettera provvidenziale cambia tutto: una misteriosa interlocutrice, chiamata Madame, gli propone la disponibilità economica per pubblicare nuovi romanzi. L'unica condizione è che ogni titolo dovrà apparire sotto un nome diverso, con figure accuratamente scelte per rappresentare la parte di autori e autrici. Pierre dovrà muoversi dietro le quinte, diventare un promotore di talenti anche se la penna sarà sempre in mano sua. Sgusciando tra gli altarini e i meccanismi del mondo editoriale, Pierre Renard cercherà di scoprire l'identità di Madame e il perché di questo complesso gioco letterario.
Il buon uso della distanza, secondo romanzo di Vito di Battista, che, oltre che scrittore, è anche operatore del mondo editoriale come editor e agente, sceglie un'impostazione quasi teatrale per raccontare le sue storie. Dalla gaia e frizzante Parigi ai personaggi, sembra tutto studiato per giocare sul bilico tra dramatis personae e personaggi, tra quinte e ambientazione. Non si potrebbe immaginare uno sfondo più adatto della capitale francese per delle vicende sul mondo editoriale, sui suoi salotti e le sue premiazioni sempre intrise di fervore bohémienne, e balconi che si affacciano sui tetti. Pierre è lo scrittore da e di romanzi da manuale, rifiutato nonostante l'indubbio talento, poco propenso a relazioni stabili e con il bicchiere di gin in mano già al pomeriggio; Colette altro non può essere che la tenutaria di un bordello; Madame è il personaggio intorno a cui ruota un mistero che, tentacolare, arriva fino a Firenze, città di origine di Pierre. I nomi parlanti ci aiutano nel decifrare i ruoli dei personaggi e non sarebbe difficile vedere un testo di questo tipo con la regia di Joe Wright e l'esperimento fatto con la narrazione di Anna Karenina del 2012. Ma più dell'intrigo – che per occhi smaliziati si può intuire senza attendere il finale – è il mondo editoriale che fa da padrone nel romanzo.
Ero reduce dal mio primo salotto, dalla prima intromissione in simposi che stordiscono e per i quali bisogna allenarsi, dove è difficile sopravvivere se non si conoscono le regole anche se quasi nessuno sembra intenzionato a insegnartele. (p. 103)
I salotti, le premiazioni, le dinamiche che ruotano intorno alla realizzazione dell'oggetto libro e degli eventuali casi editoriali sono crudeli in modo gustoso. Ogni fase della narrazione sembra mettere in gioco non solo i miti, ma anche le difficoltà e le scelte non sempre edificanti che si celano dietro il mondo artistico-letterario. Si tende a dimenticare che l'editoria, come ogni altro settore, ha tra i suoi scopi quello di realizzare margini di profitto e di intessere relazioni vantaggiose per ogni partecipante che conti qualcosa. Le pressioni e le aspettative qui tratteggiate, anche se l'ambientazione è degli anni Settanta, non sembrano discostarsi poi molto da quelle che governano l'editoria ancora oggi. C'è quindi l'influente critica letteraria di cui tutti aspettano la biografia, ma che ha costruito la sua reputazione e fortuna sui magheggi di famiglia; i giochi di acquisizione tra le varie case editrici passano tra favori di pubblicazione e un pizzico di nepotismo; il successo o meno di un testo viene stabilito sui rapporti intessuti nei salotti e negli ambienti che contano; il lavoro editoriale non sempre viene retribuito come dovrebbe; e via così fino agli incontri fortuiti che si fanno a una presentazione alla quale si arriva per sbaglio, fino alla pressione di chi ha già pubblicato e non è sicuro di voler continuare nonostante le aspettative. L'eccezionalità di questo mondo che, dietro l'affascinante cortina, si rivela essere meno nobile di tanti altri, è che sembra completamente avulso dal rapporto con il pubblico.
«Ma perché? Se sai scrivere, ci sarà qualcuno che ti pubblica. E quando qualcuno ti pubblica, allora qualcun altro ti legge. Mi pare logico. Perché devi fare così? A che serve?» (p. 183)
Così chiede Gabriele, il fratellastro di Pierre, prima di interpretare il prestanome per un nuovo romanzo che Pierre sta per pubblicare sotto l'egida di Madame e con l'ennesimo nom de plume. Gabriele è esterno a quel mondo, non può capire e non saprebbe inserirsi, ed è il rappresentate del pubblico di lettori di questo romanzo: un pubblico che non esiste. Tutto il mondo editoriale e le pubblicazioni sono rinchiusi nella loro torre d'avorio e non c'è alcuna preoccupazione dell'interesse del pubblico o della ricezione di un testo. Gli esterni sono ininfluenti perché il destino di ogni parola scritta viene deciso da quel ristretto gruppo che fa e disfa carriere e innalza e distrugge testi per opportunismo o necessità. Tout pour le peuple, rien par le peuple sembra essere il motto che guida questa intellighenzia che sconfessa la credenza secondo la quale i destinatari e i clienti dell'editoria sono i lettori.
Il buon uso della distanza è una commedia di costume sul mondo editoriale. Se questo mondo sia cambiato nel corso dei decenni e delle latitudini è a giudizio sia di chi questo mondo lo abita e sia di chi lo vede dall'esterno.
Giulia Pretta