«La via più breve per l’eleganza è la semplicità»: nel volume "Givenchy. Sfilate" le 179 collezioni da sogno della maison francese

Givenchy. Sfilate
di Alexandre Samson e Anders Christian Madsen
L'Ippocampo, novembre 2023

Traduzione di Matteo Cartoni, Maura Parolini e Paola Salvadori

pp. 632
€ 49,90 (cartaceo)

Givenchy, nella storia della moda e nell’immaginario collettivo, è stata ed è tutt’ora la maison che incarna per eccellenza l’eleganza e la squisitezza dell’haute couture francese. Siede certamente nell’Olimpo del lusso, accanto a brand come Dior, Chanel o Chloé, eppure sfogliando il volume Givenchy. Sfilate, appena pubblicato da L'ippocampo, ci si accorge di qualcosa di sorprendente: le collezioni degli anni ’50, disegnate da un Hubert de Givenchy ventiquattrenne, e quelle degli anni 2020, a chiusura del libro, arrivate con nuovi direttori creativi e molti anni dopo il ritiro del fondatore, si assomigliano in modo strabiliante. Con i necessari adattamenti alla contemporaneità – l’uso del jeans, del jearsey e della pelle per gli abiti, urbanwear e sportswear, o look formati da gonna e reggiseno reinventato – la coerenza e l’identità del brand restano ben decise anche a distanza di settant’anni dalla sua nascita: la stessa idea di look femminile che coniughi raffinatezza, celebrazione delle forme del corpo e praticità di movimento si trova nei modelli di allora come in quelli di oggi. 
In questo viaggio inedito nei settantadue anni della maison siamo guidati dai commenti e approfondimenti di Alexandre Samson – curatore delle collezioni contemporanee del Palais Galliera, il tempio della moda a Parigi – e Anders Christian Madsen – critico e autore per le principali testate mondiali di moda. Le loro descrizioni puntuali e i racconti dei retroscena accompagnano un incredibile repertorio di 1200 immagini originali che ritraggono 179 sfilate, tra haute couture e prêt-à-porter.


Allo stesso modo, anche la sperimentazione con tagli, tessuti e stampe che Givenchy portava in passerella, e che lo distingueva dal "New Look" incarnato dalle gonne a ruota e alle vite strette di Dior, è ancora oggi fonte di ispirazione e reinvenzione per l’attuale direttore creativo, Mattew M. Williams, ed è ciò che continua a rendere la maison Givenchy incisiva nel panorama della moda. 
In questo volume si rende omaggio al genio di Givenchy attraverso una raccolta con commento puntuale di tutte le collezioni realizzate dallo stilista e da tutti i direttori che gli sono succeduti dopo il 1995: John Galliano, che ha portato in passerella abiti scultorei, acconciature settecentesche e total look leopardati; Alexander McQueen, tra mitologia e zoomorfismo; Julien McDonald, che ha scelto un ritorno alle forme fascianti create dal suo fondatore; Riccardo Tisci, che ha coniugato il bon-ton con un twist darkClare Waight Keller, ideatrice dell’abito da sposa di Megan Markle; e infine il già citato Mattew M. Williams, designato da Anders Christian Madsen come «il più atipico» fra gli stilisti a guida della maison


Ciascuno di loro ha portato il marchio nel presente, rispettando però sempre gli elementi chiave del concept voluto da Givenchy: semplicità, raffinatezza, un tocco di stravaganza. Infatti, seppur la citazione dello stilista posta in apertura all’introduzione di Alexandre Samson reciti «La via più breve per l’eleganza è la semplicità», Givenchy quando crea il suo brand nel 1951 trova la propria identità in una reinvenzione tanto della classicità degli abiti di Dior quanto nell’uso, sapiente e mai eccessivo, di alcuni elementi surrealisti, con cui ha familiarizzato negli anni da direttore della boutique di Elsa Schiaparelli. Un esempio? La geometria delle forme che struttura gli abiti di Givenchy negli anni '70 è equilibrata da decorazioni che vengono stampate, cucite o intessute sulle fodere: cappotti strutturati con motivi a quadri, abiti che terminano in «griglie di ciniglia» (p. 232), o mantelle chiuse sotto la nuca da grossi fiocchi vaporosi e un po' ironici. È a cavallo degli anni '80, invece, che arriva una collezione indossata quasi interamente da modelle di colore: pellicce dalle tinte fiammeggianti e imprimé animalier dominano la passerella, rinforzati nell'effetto da un make-up di impatto che fa risaltare il volto delle indossatrici.


Le prime collezioni di Givenchy sono una sfida a quanto di già visto, sia dalla stampa sia nelle boutique parigine: all’abito intero sostituisce un due pezzi, spesso gonna e blusa intercambiabili, mentre ai tacchi e agli abiti da sera affianca comode mise composte da abiti scamiciati e cestini di paglia. Hubert de Givenchy apre dunque il suo marchio all’insegna del prêt-à-porter, mantenendosi sempre in equilibrio tra aspetto sofisticato e praticità: qualcosa che contraddistingue anche le ultime collezioni della maison, che non risultano mai aliene, inutilmente complicate, ma offrono allo spettatore l’invito a immaginare di indossare quel lusso nella propria quotidianità. 


Forse uno degli aspetti in cui si è distinto lo stilista è la creazione di stampe originali, definite dalla stampa dell’epoca «le più belle stampe di Parigi» (p. 42): la collezione primavera/estate 1953, per esempio, presenta abiti con stampe vegetali (baccelli di piselli, pomodori, limoni e ananas), bluse con un motivo ricamato a ostriche (con tanto di perla cucita nel mezzo), mentre sono ancora più audaci le stampe tromp l’œil per l’esterno o la fodera interna dei cappotti della stagione precedente. Ecco che quella che sembra una pelliccia è in realtà una stampa che riproduce un pelo grigio, mentre l’interno di un semplice cappotto nero rivela delle fiamme gialle, rosse e bordeaux. Sono pagine particolarmente preziose quelle di questo volume, perché oltre a riunire le foto d’archivio di questi abiti spettacolari propongono accanto a ciascun’immagine in bianco e nero un quadrato a colori che ci mostra la vera natura innovativa di quelle stampe, che si ritrovano poi un decennio dopo, ripensate, nella collezione p/e 1964. 

Pagina dopo pagina di questo straordinario volume da collezione ci innamoriamo dello stile di Givenchy e scivoliamo nel miraggio di un’eleganza senza confini, tanto da non stupirci affatto quando leggiamo che Audrey Hepburn, che indossa Givenchy nel film Colazione da Tiffany, è stata una musa ispiratrice per la maison e proprio a lei è dedicato l’iconico profumo L’interdit. Quando la incontriamo a pagina 49, mentre posa divinamente con indosso un «sontuoso abito da sera in organdi bianco ricamato con motivi floreali neri» (p. 42), siamo ormai completamente conquistati da un sogno al contempo principesco, di finezza e di forza nell’affermazione di sé.

Michela La Grotteria

Tutte le immagini presenti nell'articolo sono pubblicate su gentile concessione della casa editrice L'ippocampo.