«Preferibilmente no»: il misterioso mantra di Bartleby lo scrivano

 

Bartleby lo scrivano
di Herman Melville
Neri Pozza, 2023

traduzione di Enrico Terrinoni
illustrazioni di Antonello Silverini

pp. 112
€ 20,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Chi è Bartleby? La letteratura e la critica se lo chiedono dal 1856, anno in cui il racconto venne pubblicato in due parti sulla rivista «Putnam's Magazine». Questa nuova e preziosa edizione di Neri Pozza, collezione Spleen, non viene a dare ovviamente una risposta al mistero Bartleby, ma dona visibilità all'insondabile ambiguità del personaggio attraverso le splendide illustrazioni di Antonello Silverini, dai toni seppia e dalle atmosfere cupe e inquietanti. 
Mi sento di affermare che chiunque voglia provarsi a dare di Bartleby lo scrivano una lettura univoca o, dio ce ne scampi, un’interpretazione definitiva, non è che un illuso. Perché Bartleby ci sfugge come la sabbia al vento tra le mani. (p. 7),

scrive Enrico Terrinoni, che ne cura la traduzione. Ed effettivamente, il personaggio di Melville appare fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni: è enigmatico, assurdo, perturbante, anticipatore delle atmosfere kafkiane e dell'assurdo camusiano. Ugualmente inspiegabile e illogica e la sua formula I would prefer not to, da Terrinoni tradotta Preferibilmente no. Questa formula, talmente reiterata da risultare ossessiva non solo per il lettore ma anche per gli altri personaggi del romanzo, che iniziano inconsapevolmente a utilizzarla, manifesta il rifiuto di Bartleby di assumere qualsiasi ruolo nella vita, qualsiasi scelta, se non quella di non scegliere. Come ha notato il filosofo Gilles Deleuze (nel saggio Bartleby o la formula) proprio per l'assolutezza del rifiuto dello scrivano, la formula Preferibilmente no è devastante perché rifiuta tanto il preferibile quanto il non-preferibile. Ma questa formula devasta soprattutto il linguaggio, relegando all'indicibile qualsiasi risposta dell'avvocato, che ammette:

Niente fa irritare una persona onesta quanto la resistenza passiva. Se l'individuo a cui la si oppone non abbia una tempra disumana, e se chi resiste sia perfettamente innocuo nel suo mostrarsi passivo, allora il primo, quando di buon umore, proverà a spiegarsi con la fantasia e la dovuta compassione quel che il raziocinio invece giudica irrisolvibile. (p. 47)

Bartleby è l'irrisolvibile, il vulnus al pensiero utilitarista e alla società dell'efficienza. Vive silenzioso nel suo ufficio, 

unico spettatore di una solitudine che egli stesso aveva visto affollata: una sorta di Mario innocente e trasfigurato, che medita sulle rovine di Cartagine. (p. 57)

Bartleby è il folle, che spinge a meditare sulla ratio dominante. Diviene quindi il doppio dell'io narrante: un avvocato di Wall Street che ha per copisti due impiegati che sono già dei doppi rovesciati: Turkey e Pince-Nez, uno attivo la mattina e ubriaco il pomeriggio, l'altro che sta male la mattina ed è  produttivo il pomeriggio. Quando assume Bartleby, lo sistema nella sua stessa stanza, dietro un paravento. Un doppio, ma anche un suo sé invisibile, inconscio, che pian piano con la sua negazione occupa lo spazio della produttività e della razionalità dell'Io narrante. 

Di cosa si occupava Bartleby prima di giungere a Wall Street? Le notizie non sono certe, ma probabilmente di dead letters, cioè le lettere in giacenza. Terrinoni, nella prefazione, suggerisce che questa attività presunta di Bartleby è non solo indicativa del suo temperamento, ma anche emblematica dello stesso significato di letteratura.

Direi che tutta la letteratura è un'enorme lettera morta, se vogliamo, qualcosa che è scritto non per una persona in particolare ma per lettori ideali, e quindi non reali. Vivi o morti, poco conta. Sono lettori che potrebbero poi non essere gli effettivi riceventi. (p. 11)

Il consiglio che mi sento di dare è di diventare gli effettivi riceventi di questa dead letter che è questa nuova edizione del capolavoro di Melville, perché come la buona letteratura sa disorientare e affascinare.

Deborah Donato