“Lui era un brav’uomo e rimane un brav’uomo al di là di quello che ha fatto, se l’ha fatto”, spiegherà il portiere non mancando di ripetere a tutti come Tullio Ravasi fosse dedito al lavoro: “Lavoro lavoro lavoro, solo quello, fino a tardi, dalla mattina prestissimo, e quando torna a casa si ritrova quel muso buio di una moglie ingrata, eternamente insoddisfatta”. Al radio giornale pure la madre di lei a mezza bocca dovrà ammettere che ce ne vuole per esaurire la pazienza del marito di sua figlia. “Come può un uomo che lavora tutto il giorno per garantire l’inedia della sua signora non esplodere?”, chiederà un passante senza nome e cognome da scrivere nel sottopancia del servizio televisivo. (p. 28)
La moglie “ingrata”, Frida, è stata uccisa dal tanto paziente marito che da molto tempo ormai, non le dedicava alcuna attenzione, rincasava tardi, stanco, così lui riferiva, ma nessuno sapeva che Tullio abusava nel suo ufficio, ma anche altrove, delle stagiste che avevano bisogno di lavorare e stavolta la nuova ragazza aveva avuto il coraggio di denunciare tutto. Il pericolo dello scandalo e le conseguenze legali del suo comportamento lo avevano incattivito e capro espiatorio di tanta tensione era stata sua moglie che già da tempo si era confidata con la madre, manifestando preoccupazione:
«No, mamma, non posso stare sempre zitta. […] Questa volta è diverso. Tullio non è stanco, è diventato cattivo. Ieri sera è tornato a casa, puzzava di alcol, la camicia increspata e i capelli schiacciati. […] Te lo giuro, mi guardava con odio. Odio». (p. 22)
Frida, Sonia, Clara e altre donne sono state uccise dai loro compagni, ossia dalla persone cui un giorno avevano deciso di affidare la propria vita. È la cronaca nera che dà in pasto al sensazionalismo dei media storie e retroscena di violenze, stupri e femminicidi. Nella nazione di DF, quello stato immaginario che abbiamo già visto nei romanzi Carnaio e Nuovissimo testamento, Giulio Cavalli osa provocare per l’ennesima volta, e forse anche di più rispetto ai precedenti libri della trilogia, creando una situazione paradossale: il femminicidio è ammesso dalla legge. È legale uccidere donne. A DF il femminicidio è parificato all’attività venatoria: l’uomo, il cacciatore per eccellenza, va a caccia di donne e le uccide, allo scopo di combattere l’esuberanza numerica della popolazione di sesso femminile. Quello che conta è rispettare le normali regole igieniche, seguire le istruzioni dettate dal ministero evitando di uccidere la donna in presenza di minori che possano assistere allo spettacolo di caccia. Questa è l’unica “delicatezza” concessa, per il resto l’utilizzo o meno di brutalità, l’abuso sessuale prima o dopo la caccia non è neppure tenuto in considerazione dalla normativa. L’oggettificazione della donna raggiunge allora il culmine: non solo il suo consenso non è richiesto in nessuna occasione, ma è qualcosa di cui disfarsene quando diventa molesta. È come dire che il bene-donna, nel libero mercato della nazione di DF, è un surplus di cui non se ne fa nulla, non è parificato alla persona, ma alla selvaggina ed è necessario disfarsene seguendo regole di smaltimento ben precise: eliminare donne per rispettare l’equilibrio sociale e demografico di DF.
Decreto Legge n. 55/4231 Misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidio
IL PRESIDENTE
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione, […] Decreta:
Articolo 1 - FinalitàIl presente Decreto Legge stabilisce misure straordinarie per la regolamentazione della caccia al fine di preservare l’ordine pubblico e i principi etico-sociali, nel rispetto delle nome igienico-sanitarie.
Articolo 2 - autorizzazione all’attività venatoria specialeè consentita la pratica venatoria volta all’equilibrio dei generi, secondo i protocolli e le modalità stabilite nel presente Decreto Legge. L’autorizzazione alla caccia è subordinata al possesso di una licenza rilasciata dalle autorità competenti, previo superamento di un esame attestante la conoscenza delle norme igienico-sanitarie e delle regole di sicurezza. (p. 123)
“Come le fa brutte le donne, l’isteria”, disse allora ammiccando storto verso la telecamera. […] Dismette la postura da damerino.“Guardi Clementina…”“Merlin”, lei lo interrompe.“Signorina”, dice Corti, “non vorrei sbagliarmi, poiché le indagini sono ancora in corso, ma questa Frida non era propriamente un’eroina. Quel che sappiamo, lo può leggere sui giornali, è che questa Frida, pace all’anima sua, ha potuto comodamente dedicarsi al solo mestiere di moglie, senza doversi alzare per andare a fare un lavoro normale. E il suo dovere non lo ha esercitato molto bene se il povero marito è stato trascinato dall’ esasperazione fino a compiere un gesto inimmaginabile a detta di chiunque lo abbia conosciuto. […] (pp. 46-48)
Discorsi maschilisti, frasi e commenti sessisti però non si leggono, ahimè, solo nei libri distopici! E Frida, come si è già detto all’inizio, in questo romanzo non è l’unica vittima di uomini violenti. Uomini che non sanno accettare un no, che non si capacitano della fine di una storia, uomini che chiedono a una donna di licenziarsi dal proprio lavoro e di dipendere solo dal maschio, uomini che approfittano dell’occasione e diventano ladri di corpi di donne, usandoli a proprio piacimento per poi disfarsene, uomini che continuano a pensare che la donna sia “roba” loro, uomini che temono la donna forte. Uomini mangiafemmine, appunto.
Un romanzo davvero provocatorio, forte, dissacrante, scritto da un artista libero, che non ha paura di esporsi, che sa dominare le pagine con uno stile davvero interessante, fluido e chirurgico insieme, volutamente freddo a volte, laddove il freddo serve per agghiacciare le coscienze.
Il problema non sono solo gli uomini che uccidono o che stuprano, il problema sono anche gli uomini che non uccidono e non stuprano ma hanno il terrore di avere prima o poi il bisogno di farlo. Nella loro testa è sempre la reazione sbagliata a una rabbia giusta. E se non delegittimiamo quella rabbia, la nostra salvezza dipenderà sempre dal buon cuore del nostro nemico. (p. 151)
Voglio chiudere la mia recensione con questa citazione, che è uno stralcio del discorso di Clementina Merlin, nel romanzo democratica e giornalista attivista per i diritti delle donne, perché trovo che sia emblematica, in quanto in essa è condensata l’essenza del patriarcato, che, ci piaccia o meno ammetterlo, ha profonde radici nella nostra tanto evoluta cultura. Tra le righe si legge infatti: «io, uomo, posso aver bisogno di farti del male, ucciderti anche, se mi dai motivo di farlo». La donna vittima di violenza - lo dicono i dati - si colpevolizza, si sente causa del suo male, prova verso sé stessa disgusto e vergogna e questo circolo vizioso che si crea è alimentato proprio dal maschilismo che continua a considerare la donna un essere inferiore e più debole bisognoso di essere guidato, mero oggetto di soddisfazione sessuale. Questo retaggio medievale, duro da combattere, ha dato sfogo alla frustrazione dell’uomo che in età recente ha visto diventare la donna sempre più libera, sempre più indipendente. La violenza è la punizione per aver osato emanciparsi. Per cominciare a fare davvero qualcosa di concreto, non bastano leggi e decreti, c’è bisogno di una rivoluzione culturale, di un nuovo paradigma su cui impostare una nuova visione del mondo veramente inclusiva e paritaria.
Marianna Inserra