di Diego Marani
€ 7,99 (ebook)
anni fa sulle tracce di Italo Svevo in una Trieste scomparsa ma ancora rintracciabile. La sua trama si sovrappone a quella dei personaggi sveviani e forma una storia che è come un'infilata di stanze. Quelle di un museo, di una scuola chiusa per le vacanze, di una fabbrica dismessa, di un grande appartamento vuoto della città vecchia sul cui parquet sconnesso scorrono le ombre dei personaggi che li hanno abitati e con la stessa velocità delle ore passano gli anni. (p. 13)
L'idea interessante proposta da Marani è che i personaggi sveviani siano in realtà da considerarsi come «un'unica persona cui un fato generoso aveva dato la possibilità di vivere più vite» (p. 16); che in realtà vi sia un unico immenso personaggio, costituito da sei personaggi in cerca di un dottore: Giorgio-Alfonso-Emilio-Zeno-Italo-Ettore. Sì, anche Italo Svevo è in realtà un personaggio creato da Ettore Schmitz, passando attraverso il primo alter-ego Ettore Samigli. Ancor prima di Samigli, Schmitz si firmava Erode e
la psicoanalisi conviene che cercarsi uno pseudonimo equivale a rinnegare il proprio nome, la propria persona. È un suicidio sulla carta, insomma. Ma anche nella ricerca dello pseudonimo, Ettore Schmitz vuole punirsi, come se avesse qualcosa da espiare. E lui, ebreo figlio di ebrei, sceglie il nome di uno degli ebrei più invisi al mondo cristiano: Erode. (p.17).
Il nome Samigli prospetta già nell'autore la medesima identità dei suoi personaggi: dallo yiddisch Schleimihl, che significa buono a nulla, inetto. Marani azzarda che anche il titolo del suo secondo romanzo, Senilità, sia una deformazione di Schlemilità.
Seguendo l'ipotesi di avere davanti un unico malato, un essere "abominevole" dalle sei teste, Maroni conclude il capitolo introduttivo dicendo che
in questo libro seguiremo le tracce di questo essere abominevole nei luoghi che lo hanno visto vivere, amare, uccidere e morire: Trieste, la città dove, come disse Raffaele La Capria, qualcosa che doveva succedere non si è mai compiuto e sempre incombe sulle sue strade, sulle sue piazze come una minaccia misteriosa o come una promessa dimenticata. (p. 18)
I luoghi di Trieste vengono setacciati secondo questo ordine (che è quello dei capitoli): i luoghi dell'amore, i luoghi della paura, i luoghi della vecchiaia, i luoghi della pazzie, i luoghi nascosti. Cartina alla mano, scopriamo che Svevo ripropone i medesimi luoghi per ambientare vicende simili nei suoi romanzi: ad esempio, il corso Italia è sempre lo spartiacque tra l'amore e il dolore, fra la lucidità e la pazzia, fra la vita e la morte. Lungo questo corso vagano l'assassinio di via Belpoggio, ma anche Emilio Bentrani e Alfonso Nitti, quando sono preda del rimorso, dell'angoscia, della paura.
Sembra che una forza oscura, una freccia avvelenata soffiata dalla cerbottana di chissà quale stregone, colpisca i personaggi sveviani quando si avventurano nel canale buio e ventoso del corso Italia. (p. 37)
Del resto, una cupa leggenda cittadina narra che lungo il corso, un uomo più alto del normale, vestito di nero, con il pallore della morte in volto vaga tra la folla e che se posa il suo sguardo atroce su qualcuno, lo sventurato è destinato a una prossima morte. In questo e un altri passi, Marani lega le leggende, i pettegolezzi, le abitudini della città alla poetica di Svevo mostrando l'intreccio indissolubile fra l'immaginario dello scrittore e la città natale. In queste pagine si pedinano davvero Svevo e i suoi personaggi per le strade di Trieste, e questo vagare è insieme un frugare nella sua coscienza e nella sua vita. Si raccolgono le dicerie che ancora circolano tra i vecchi in città sulla figura stramba di Italo Svevo, sulle sue abitudini e i luoghi in cui passaggiava.
Non un saggio critico, ma una chiacchierata, una passeggiata a zonzo con la fantasia di un autore, A Trieste con Svevo è uno di quei libri che porta in sé il germe della frenesia di leggere ancora, di tornare da Alfonso, Emilio, Zeno, forse convinti davvero che altri non siano che Ettore.
Deborah Donato