Per quale motivo qualcuno ha cercato di uccidere Eric Delarue? L'uomo, affascinante imprenditore di origine francese, nella Torino degli anni Ottanta era considerato da molti un benefattore: in più occasioni ha aiutato economicamente e non solo i suoi operai, ha fatto beneficienza, ha alimentato i sogni sportivi di tanti ragazzi sovvenzionando una squadra,... Certo, tutti sapevano che di tanto in tanto Delarue si mostrava in giro con ragazze avvenenti e di sicuro aveva i suoi vizi, ma neanche la moglie sembrava portare rancore per questo. A criticare animatamente il proprio capo ci sono alcuni degli operai che, in qualche modo, condividono le idee dei brigatisti, ma con una certa ingenuità. In ogni caso, il loro odio non sembra sufficiente a sparare alla testa a Delarue sulla porta di casa sua.
Mentre l'uomo giace in un letto d'ospedale, in condizioni molto gravi e con ancora il proiettile nel cervello, vengono chiamati a indagare il commissario Bramard e l'ispettore Arcadipane. Tutto inizia nel più tradizionale dei modi: con la raccolta di più informazioni possibili bussando alle porte degli inquilini degli altri appartamenti. Da un lato gli interrogati ci aiutano a capire qualcosa in più sulla vita di Delarue, dall'altro rivelano dettagli importanti da cui partire per le indagini. Sì, perché qualcuno ha sentito e visto qualcosa...
Chi è giunto pazientemente a questo quinto appuntamento della serie sa che Davide Longo ha scelto per il suo commissario un passato tormentato, che non fa che spingerlo all'autodistruzione. Per Bramard, che ha perso moglie e figlia per mano di un serial killer, l'alcol, infatti, è un problema costante e non di rado il suo giovane ispettore, Arcadipane, fa di tutto per coprire i colpi di testa del suo capo: Bramard, ormai trascuratosi completamente, ogni tanto abbandona tutto e cammina senza meta per le vie di Torino; dunque, Arcadipane deve ritrovarlo e ricondurlo a casa o in caserma, cercando di nascondere i segni dei bicchieri di troppo. In ogni caso, l'incredibile intuito di Bramard non è stato intaccato: chi ha già letto i libri precedenti sa che il commissario non si ferma mai alle prime impressioni e le indagini nascondono sempre un intrico di vicende ben più sotterranee da districare.
Questa volta Davide Longo si è probabilmente superato: più volte i suoi protagonisti incappano in scampoli di verità - spesso ottenuti con metodi non propriamente ortodossi -, che non sono però risolutivi; anzi, aprono a ulteriori diramazioni possibili. Si riuscirà mai a ottenere una confessione o a incastrare uno o più colpevoli? La posizione di Delarue è infatti molto delicata e i superiori di Bramard più volte gli fanno pressioni perché chiuda il caso senza scavare troppo a fondo e infastidire la moglie del ferito.
Pur con estrema difficoltà, occorre ai protagonisti tutta la loro esperienza insieme a un tocco di fortuna e a tanta spregiudicatezza per risolvere il caso. Intanto, come un refrain, Bramard sollecita Arcadipane a laurearsi, tappa fondamentale perché possa poi affrontare l'esame da commissario, visto che Bramard sente sempre più vicino il momento in cui dovrà dire addio al distintivo.
Tra un gommone sukai mangiato per tenere a bada il desiderio di fumare e molte notti insonni, tra una visita spesso non preannunciata ai possibili indiziati e un piatto piemontese consumato prima di rientrare al lavoro, i protagonisti insieme ai loro sottoposti andranno contro tutto, persino contro gli ordini ricevuti. Sì, perché le prime scoperte rendono impossibile fermarsi a uomini moralmente integri come loro. E ciò che emergerà ha in effetti dell'incredibile, in linea col desiderio dell'autore di far emergere le ombre lunghe e inquietanti di molti personaggi.
Davide Longo è sempre attento a far muovere i suoi personaggi in una Torino ben calata negli anni Ottanta, riconoscibile, di cui vediamo i dettagli: dai cartelloni per le prossime elezioni appesi per la città a pubblicità dell'epoca, con attenzione costante al contesto storico-sociale e agli usi. Riconosciamo strade, angoli e palazzi, così come ritroviamo alcuni aspetti caratteriali tipici dei piemontesi, in netto e giocoso contrasto con la visione di Arcadipane, uomo del Sud. Talvolta un'ironia sorniona fa capolino, ma il narratore è molto più impegnato a mostrare le pieghe dell'animo dei suoi protagonisti alla luce della vicenda. Scritto alternando passaggi letterari a battute di dialogo mimetiche, Requiem di provincia lascia dietro di sé un retrogusto di amarezza che solo la giustizia può, almeno in parte, tenere a bada.
GMGhioni
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