È proprio Dorian che nella seconda parte del romanzo prende parola e si fa narratore: lui che, nato in un corpo femminile, non si è mai sentito davvero a proprio agio. La sua ricerca di identità di genere è stata una lotta dura, quotidiana, in una famiglia dove la diversità veniva riconosciuta ma ritenuta motivo di vergogna, dunque qualcosa da nascondere. Emanciparsi e trovare il coraggio di ricostruire, anche chirurgicamente e farmacologicamente, il corpo che si è sempre sentito di avere per Dorian è un calvario. Nemmeno la totale accettazione che Lucija ha sempre mostrato verso di lui e verso la sua storia permette a Dorian di vivere serenamente i rapporti col resto del mondo. Tutto ha richiesto tempo: fidarsi, condividere il proprio corpo, aprirsi agli altri. E la preoccupazione del giudizio altrui permane, anche ora che è un fotografo apprezzato e nessuno, vedendolo, potrebbe capire il grado di inquietudine che si porta dietro.
L'infanzia e il proprio vissuto marchiano, e marchiano a fuoco. Lo sa bene anche la madre di Lucija, eppure non riesce ad accettare che sua figlia stia con un uomo che un tempo era una donna. La discriminazione le viene naturale, inevitabile, benché lei stessa abbia una storia cruda da raccontare. E la sua vicenda porta ad anni prima, a una limitazione di libertà che l'ha portata a condividere per anni la stessa camera da letto con i suoceri, che la comandavano a bacchetta, senza mai darle neanche la libertà di tenere per sé il proprio stipendio. Costretta a crescere i suoi due figli, Tomislav e Lucija, nei ritagli di tempo, cercando di sottrarli all'educazione retrò e deleteria dei nonni, la donna ha compiuto anni di sacrifici che nessuno le riconoscerà mai. E sono stati anni in cui la parola d'ordine è stata resistere, anche facendosi forza di un amore provato per il marito tanto infantile e piccolo e debole davanti alle ingerenze dei genitori.
Lucija, la madre, Dorian: tre storie di emarginazione, tre solitudini. Ivana Bodrožić ha il grande potere di impiegare una lingua tagliente per accompagnare tre punti di vista inusuali, manifestando empatia e simpatia verso i personaggi: vediamo e sentiamo ciò che loro vedono e sentono, ripercorriamo i loro pensieri - anche i più socialmente scomodi - e avvertiamo quanto le loro vite apparentemente minoritarie siano degne di un racconto che si fa quasi epico. Quanto dolore, nelle loro storie! Ma dolore narrato e scritto benissimo, con un talento tale da rendere sopportabile una materia densa e greve, piena di denuncia sociale davanti ai silenzi, alle aberrazioni, alle discriminazioni di società e famiglie che scelgono di fingere di non vedere o deliberatamente oscurano i diritti altrui.
GMGhioni
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