«Eravamo fragili. Scoprivo da un momento all'altro che potevamo cadere, perderci, e persino morire»: "L'età fragile", il nuovo romanzo di Donatella Di Pietrantonio




L'età fragile
di Donatella Di Pietrantonio
Einaudi, novembre 2023

pp. 192
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

A un certo punto la vita accelera. Dopo resta tutto fissato a un'immagine, un suono del momento. Si torna sempre lì. Potrei dire questo ad Amanda, se trovassi le parole. Mi ha chiesto ancora di quelle ragazze. (p. 67)

C'è un momento nella vita di tutti in cui si scopre che la morte può colpire anche i giovani. Per Lucia, protagonista di L'età fragile, questa rivelazione ha una data ben precisa: risale a una notte di trent'anni prima. Anche se adesso è adulta, lavora come fisioterapista nel paese dove è nata e ha pensieri solo per sua figlia Amanda e per il padre anziano, non smette di ricordare che allora anche lei avrebbe potuto trovarsi con le altre tre ragazze, a fare quella gita in montagna che sarebbe, purtroppo, risultata drammatica. E non si è trattato di una disgrazia. No, ma di altro. «Eravamo giovani, ma non invincibili» (p. 78), riflette la protagonista, ripensando, anni dopo, a quella vicenda che l'ha segnata pesantemente. Anche perché tra le tre ragazze scomparse c'era Doralice, la sua più cara amica. 

Da allora quella terra, detta il Dente del Lupo, è rimasta abbandonata: Rocco, il padre di Lucia, ne è ancora il proprietario, ma i genitori di Doralice, che lì gestivano un campeggio, se ne sono andati. Impossibile, d'altra parte, restare dopo il dramma che si è consumato lì vicino. La natura ha provveduto a riappropriarsi della zona e i segni dell'uomo sono stati progressivamente intaccati dal tempo e dagli agenti atmosferici. Stupisce che adesso Rocco voglia disfarsi della proprietà, lasciandola a Lucia, e che ci sia chi desidera acquistarla... 

Intrecciata a questa vicenda, che viene rievocata con un incedere doloroso e, al tempo stesso, incalzante, quasi in presa diretta, con giusto qualche riflessione della Lucia ormai matura, scorre un presente rallentato dalla pandemia. È poco prima del lockdown che la figlia di Lucia, Amanda, torna a casa da Milano, dove si trovava da un anno e mezzo per studiare all'università. La ragazza che rientra in paese è totalmente diversa da quella che l'ha lasciato: con sgomento Lucia osserva il torpore con cui Amanda si trascina per la casa, quasi incapace di uscirne; disinteressata a tutto, non si trova una reale occupazione né studia per i prossimi esami. Condividere la casa richiede mille attenzioni e premure: Lucia studia la figlia di nascosto, cercando di capire che cosa le sia successo, mentre l'altra non vuole parlare di nulla che riguardi la sua vita milanese. Per la madre è inevitabile immaginarsi scenari drammatici e provare angoscia per quella distanza che pare incolmabile. Lucia non può neanche sperare che il marito, Dario, ne sappia di più: lui vive ormai da tempo a Torino e, pur non avendo mai chiesto il divorzio, fa la sua vita, lontano da tutti, anche da Amanda. 

Ecco che, così, al trauma e al senso di colpa del passato di Lucia si intreccia un senso di colpa più recente, perché la madre pensa di aver sminuito un trauma che, invece, deve per forza aver colpito Amanda, o la ragazza non si sarebbe ridotta a essere così passiva e indifferente al mondo. Come starle vicino? Lucia dovrebbe davvero scuotere la figlia, come le suggerisce il nonno (figura, va detto, con una sua rude saggezza)? Può essere che Amanda abbia solo bisogno di essere lasciata in pace, come più volte ribadisce? «È il destino delle madri, non poterli più proteggere, a un certo punto» (p. 95): ammetterlo non è indolore, né è un motivo sufficiente per darsi pace e rinunciare a provare. 

Chissà quante volte la convivenza forzata del lockdown ha portato a questo, a dividersi gli spazi a orari diversi, pur di non prendere atto di quanto un famigliare non conosca l'altro. Potremmo interpretare l'opera di Di Pietrantonio anche come un romanzo sulla comunicazione interrotta, oggi come ieri: il dialogo tra Lucia e Amanda è intermittente, spesso negato dal muro di silenzio della figlia, in altri momenti bloccato dalle reazioni forti che la frustrazione suscita in Lucia; e all'epoca Lucia si è sottratta dal confronto con Doralice, non ha saputo esserci, parlarle davvero, accettare di scontrarsi col dolore altrui. 

Eppure c'è una speranza, e sta tutta in quella terra che il padre di Lucia vorrebbe intestarle, una terra dove Lucia non cammina più, perché vi si nascondono ricordi troppo dolorosi. Ma è una terra che attira l'attenzione di Amanda. E non è detto che proprio tornando nei luoghi del passato non si possa trovare una chiave per aprire anche la porta chiusa del presente.

Se ancora una volta Donatella Di Pietrantonio si sofferma sulla complessità del rapporto tra madre e figlia, dopo Mia madre è un fiume e L'Arminuta, in questo libro riprende il terribile delitto del Morrone che si è consumato sulla Maiella nel 1997. Un po' come era accaduto in Bella mia, la Storia torna, quindi, a ispirare una storia di grande potenza, drammaticamente attuale in questo periodo in cui la cronaca si è riempita di pagine sulla violenza di genere. Ecco che Di Pietrantonio, con un'innegabile maturità narrativa, torna a intrecciare realtà e finzione per portarci a riflettere sulla direzione che sta prendendo il nostro essere uomini e (soprattutto) donne. 

GMGhioni