pp. 408
€ 12,99 (ebook)
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Attesissimo, ad alcuni anni
di distanza da I Kill Giants (di cui
abbiamo scritto qui), esce per Bao il nuovo graphic
novel della ormai rodata coppia Joe Kelly e Ken Niimura. Come già nel
precedente volume, il duo riesce a conquistare fin da subito il lettore grazie
all’eccellente caratterizzazione dei
personaggi, in un’opera che presenta però tratti ancora maggiori di
complessità.
Il protagonista, Jim
Sargent, è un detective affermato, ormai alle soglie della pensione. Dopo aver
immolato la sua vita al lavoro, non riesce ad accettare l’idea di un tempo in
cui questo non sia centrale e respinge con ostilità tutti i consigli più o meno
beffardi di amici e colleghi che lo invitano a dedicarsi al golf e alle “donnine”.
Uomo cinico e beffardo, grande bevitore, politicamente
scorretto e orgogliosissimo della propria aria da duro, nonché della
propria Cadillac Coupé De Ville del ‘72, Jim è una figura decisamente ingombrante per chi gli sta intorno. Certo non lo è per
il figlio Michael, che è quanto di
più diverso da lui si possa
immaginare. Ideatore di videogiochi inconcludente, ostaggio un po’ del padre
padrone, un po’ della moglie avvocato, sempre più sicura e decisa di lui, il
giovane – ma neanche poi così tanto, considerando che ha a sua volta tre bambini
– subisce e non reagisce,
appoggiandosi a mantra fallimentari e inutili manuali di autoaiuto per restare
zen in mezzo alla carambola disordinata che è la sua famiglia.
È quasi per caso che i due
si trovano coinvolti insieme in una
pericolosa missione on the road:
Jim ha infatti l’occasione di risolvere un caso che lo ha perseguitato per
anni, nella forma della presenza ossessiva di una scarpetta di bimba, che lui
ricompone nella sua memoria al corpo esanime che l’ha perduta. Michael si trova
costretto a decidere se seguirlo o meno e, benché tutto gli faccia pensare che
si tratti di una pessima idea, cede di fronte all’inaspettata, quasi inaudita, richiesta d’aiuto del padre.
Mentre macinano miglia,
all’inseguimento di un bus diretto in Georgia, Michael per la prima volta
riesce a vedere in Jim qualcosa di nuovo: ne nota l’attenzione agli altri sotto
i modi ruvidi, la capacità di leggere le storie altrui oltre l’apparenza («Vedi quel bus? […] Ogni cosa è un bus,
quando non sei accecato da una testa piena di stronzate»). Tuttavia non è
facile cancellare anni di
mortificazioni, di battute sgarbate, di disattenzione. Non è facile
superare le differenze ideologiche e
il razzismo neppure troppo velato
dell’altro, fondato su stereotipi accumulati caso dopo caso in una carriera
decisamente lunga («Ogni parola che hai
appena detto è il motivo per cui tutti al momento odiano gli sbirri.»). Non
si riesce a non pensare alle implicazioni di quella che si configura sempre di
più come una spedizione punitiva
dagli esiti prevedibili e infausti.
Date queste condizioni si
può – il lettore se lo chiede continuamente, e continuamente ne dubita – ricominciare da capo, con un rapporto
nuovo, da impostare su nuove fondamenta? Tutto farebbe pensare di no, perché
Jim è posseduto dal suo incubo, e le figure di Michael e della bambina morta di
sovrappongono e si confondono nella sua mente in modi che non si possono dire.
Come in I Kill Giants, gli autori si rivelano abili nell’esplorare gli abissi di dolore che si annidano
nell’essere umano, così come le diverse maniere in cui vengono proiettati all’esterno, e si
ripercuotono sull’intero universo relazionale. In Sergente immortale la trama noir
si mescola sapientemente a quella di formazione, a una storia di padri e di
figli, ciascuno dei quali ha qualcosa da imparare su se stesso e sull’altro.
La famiglia di Jim, nel suo
complesso, ha tratti talmente estremi da creare situazioni tragicomiche, pur in
una trama che si mantiene seria nelle intenzioni e nel messaggio. A farsi portavoce
della verità è Rhoda, ex moglie di Jim, ora sposata con un’altra donna:
“Strati. […] Siamo tutti
composti da più identità. Alcune buone, altre meno… Accettarlo in me mi ha
permesso di accettarlo negli altri. Non sono stupida. Non sono debole. Non sono
cieca. Scelgo di aiutare il mio ex, nonostante i suoi difetti, perché con me ha
fatto il meglio che poteva. Non è colpa sua se è rotto, e non è colpa mia se
gli ho spezzato il cuore.”.
Jim è un uomo con molti demoni, incapace di esprimere e dar forma al proprio
sentire. Le parole sono usate come armi, proiettate contro
tutti. E le abitudini di una vita sono dure da sradicare. Può aiutare, forse,
trovarsi di fronte alle proprie peggiori paure, guardarsi dall’esterno per
vedersi davvero e fare, se non un vero e proprio cambiamento, impossibile dopo
una vita, almeno qualche timido passo.
Per comprendere appieno la
storia, e i motivi per cui riesce a essere così forte e così vera, bisogna
leggere la postfazione di Joe Kelly, che riconduce a una matrice autobiografica prima insospettata, ma al tempo stesso
permette di inserire la narrazione nel
contesto di una società complessa, di un tempo in cui le forze dell’ordine,
il loro uso della forza, gli stereotipi e i pregiudizi che ne alimentano spesso
la mentalità sono oggetto di attenzione e spesso protagonisti di brutte notizie
di cronaca. L’intento di Kelly e Niimura non è certo quello di disinnescare un
importante tema sociale, semmai quello di accendervi sopra un riflettore che ne
riveli le contraddizioni. Torna qui il
tema, centrale, della stratificazione dell’essere umano, in qualunque
contesto sia inserito:
Il personaggio del sergente è stratificato. Crede profondamente nella giustizia, ma è accecato da pregiudizi rinforzati da una visione limitata del mondo. […] Nonostante l’età, il sergente sta finalmente, e quasi inconsapevolmente ragionando sul proprio ruolo di uomo bianco complice di un sistema implicitamente razzista e disumanizzante. A volte gli riesce, altre no. La storia non cerca scuse per il suo comportamento. Comprensione e perdono (o meno) sono appannaggio del lettore.
Sergente immortale non è un’opera
semplice, né da scrivere (il terreno è sdrucciolevole e agli autori costa
infatti quattro anni di lavoro), né da leggere (poiché obbliga a confrontarsi
con un personaggio scomodo e sgradevole). Al contempo, riesce però a essere
spiazzante e commovente per il modo in cui costringe chiunque a interrogarsi, a
scavare per vedere cosa si nasconde oltre la superficie, e il grande lavoro di
resa fatto dagli autori.
Carolina Pernigo